L'incontro con l'Arcivescovo in Bovisa.

L'Università, e il problema della vita

Il secondo appuntamento dell'Arcivescovo di Milano con il mondo universitario. Come sono paradigma di vita buona gli anni dopo il liceo? Scola sfida gli studenti con Maritain: «La cultura comincia con il porsi del soggetto»
Davide Ori

«In che senso il tempo vissuto in università è paradigma di una vita buona? Cosa significa che questi anni consentono di fare un'esperienza di vita autentica?». Le domande del secondo incontro organizzato dalla Diocesi di Milano, e in particolare dall’arcivescovo Angelo Scola, sono una provocazione per il mondo universitario. Dopo la lectio magistralis del 27 novembre 2013 nell’Aula Magna della Bicocca, il 19 marzo il secondo appuntamento nei padiglioni di via Durando, al Campus Bovisa. L’Aula de Carli è piena, seicento persone sedute con gli occhi puntati al tavolo dei relatori. A fare gli onori di casa Giovanni Azzone, rettore del Politecnico, che ha aperto la serie di interventi di studenti, docenti e personale dell’università.

L’Arcivescovo di Milano è l’ultimo a prendere la parola, ma «non sono la ciliegina da mettere sulla torta». Non ha alcuna intenzione di esaurire le domande poste, «ma piuttosto di far emergere gli aspetti che più mi hanno colpito e che mi orientano a dire in che senso l'università sia un paradigma di vita nuova». È soddisfatto del lavoro che è continuato dallo scorso novembre, ma la «provocazione che veniva dalla Bicocca implicava anche un mostrare in che senso la vita in università può essere un paradigma per la vita come tale, dentro tutta la società, a qualunque età e a qualunque livello».
Il cammino continua, perché «resta un altro passo da fare: in che senso la parola paradigma trova in università un potenziale espressivo molto significativo così che vi renda soggetti di una interazione edificatrice della vita sociale».
Il Cardinale ha ripreso alcuni degli interventi che l'hanno preceduto. Come quello di Lidia, studentessa di Architettura. Nell’incontro con una realtà nuova, quella universitaria, è stata portata a porsi delle domande: «Chi sono io? Chi voglio essere? Cosa sono chiamata a fare?».
«Questi interrogativi sono l’humus su cui nasce e vive l'università», dice Scola: «Rispondere significa rispondere all'unità della mia persona, del mio io dentro la molteplicità e la diversità dei compiti a cui l’università vi conduce». Il problema dell'unità dell'io è un problema capitale per qualsiasi università, sottolinea ancora Scola, perché è il problema della vita. «Se manca l'unità del mio io come posso stare in piedi?». Non c'è da avere paura di fronte a queste domande, nella ricerca non si è abbandonati a se stessi: «Abbiamo un grande aiuto in questo», spiega l'Arcivescovo: «La sorpresa del Dio incarnato. C'è un antefatto. E l'antefatto è il carattere della sorpresa. Dio ci sorprende ogni giorno attraverso la comunità cristiana».

L’unità dell’io si persegue anche attraverso una relazione. Un tema messo in luce nei racconti di diversi intervenuti, come cuore della vita buona. In particolare dalla professoressa della Liuc, Eliana Minelli. La docente di Castellanza ha iniziato la sua riflessione, non a caso, con un video che mostra l'accoglienza matricole nel suo Ateneo. «Il fattore decisivo dell’università è la persona, perché irripetibile», spiega la Minelli: «Da qui deriva un’attenzione, una passione, un bisogno di ascolto degli studenti per i professori e viceversa per la crescita di tutti».
L'università è il luogo della ricerca, dello studio e dell’insegnamento. «Tutti voi dovete incontrare questi tre fattori ogni giorno», incalza Scola: «Dal loro intrecciarsi, affrontando i quali ognuno mette dentro tutto se stesso, nasce una communitas tra noi».

Il terzo elemento che ha ripreso l’Arcivescovo partiva dalla riflessione di Edoardo Buroni, in Statale con un assegno di ricerca nel settore umanistico. Il giovane ricercatore aveva raccontato non solo gli aspetti di vita buona in università, ma anche le difficoltà: «L'ingessatura del sistema e l'attività di ricerca che è spesso tesa soltanto alla massima efficienza quantitativa, all’immediato, mentre il soggetto è sempre più escluso».
Lo spunto del ricercatore ha permesso al Cardinale di introdurre il tema della solidarietà, della gratuità. «Non si costruisce niente senza», spiega Scola: «Senza la relazione appassionata all'altro che si lascia muovere e commuovere. E ci può essere gratuità anche sui libri, verso l’oggetto di studio».

L’Arcivescovo, poi, è tornato sull’intervento del professore di Ingegneria aerospaziale Luciano Galfetti, che aveva osservato come la molla da cui ripartire in università sia «la condivisione di dubbi e domande, che rappresentano una straordinaria opportunità di incontro tra la società laica e quella credente». Questo incontro-scontro quotidiano in università diventa «possibilità perché l'uomo venga restituito alla sua pienezza». Ed è proprio la domanda di senso il fine e la direzione dello studio.

«La cultura comincia con il porsi del soggetto, col chiedersi cosa interessa e rende affascinante la vita», dice Scola riprendendo Maritain. Questo porsi implica sempre anche un opporsi. Incontro ha dentro la parola contro. Se si è spalancati al bene personale e comune non c'è da avere paura del confronto. «La verità non è anzitutto l’oggetto della nostra ricerca, ma è l’opposto: la Verità viene incontro a noi. Allora è tutta un’altra cosa se mi pongo con il cuore spalancato perché mosso da una Verità vivente e personale dentro le circostanze dello studio e dei rapporti quotidiani».

L’ultima riflessione del Cardinale prende l’abbrivio dall’intervento di Ellis Sada, direttrice delle biblioteche in Cattolica, che aveva testimoniato la centralità della persona in un lavoro di collaborazione, come nella costruzione del Duomo di Milano. Così, Scola ricorda di come «l'università sia nata come comunità di studenti e docenti». La personalizzazione, l’impresa dell’unificazione dell’io, che ha come punto di partenza la sorpresa del Mistero, vede l’uomo immerso in una comunità. «Dobbiamo fare esperienza, però, che questa comunità conviene. Bisogna mettere tra parentesi l'io quando studio la chimica, la fisica...».
L'università è una grande risorsa, chiude Scola. E la passione della Chiesa è che «voi viviate qui una vita talmente buona da diventare paradigmatica per tutta la città e per il mondo».