Un barcone di profughi soccorsi a Lampedusa.

«Ecco cosa possiamo chiedere all'Europa»

Decine di morti solo nelle ultime ore. Con gli sbarchi dei profughi dal Nord Africa che si fanno sempre più frequenti. E che l'Italia da sola non è più in grado di gestire. Parla Mario Mauro, che da ministro ha avviato l'operazione Mare Nostrum
Alessandra Stoppa

Gli sbarchi sempre più frequenti, senza paragoni rispetto all’anno scorso, che portano con sé vite su vite da accogliere, richieste d’asilo, appelli, polemiche e tanta carità che non si vede. Fino a quando non succede come ieri, a un centinaio di miglia a sud di Lampedusa: per ora, i corpi recuperati sono quindici. Nemmeno l'operazione Mare Nostrum, che da ottobre scorso ha messo in salvo 19mila persone, ha potuto evitare la tragedia di ieri. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, invoca l’aiuto dell’Unione Europea, dicendo che l’intervento della Marina militare è temporaneo e ora non basta più. «Mare Nostrum è la postura stabile che dobbiamo avere nell’area centrale mediterranea», chiarisce Mario Mauro, il suo predecessore, che ha voluto e promosso l’operazione: «Se l’Italia, come credo sia scontato, si sente responsabile di quanto avviene in questa zona, non può che agire sul piano dell’intervento coordinato dei ministeri degli Interni e della Difesa».

In concreto?
Mare Nostrum ne è un esempio, perché è realizzata con i fondi ordinari della Difesa. Sono i soldi che comunque verrebbero utilizzati per l’addestramento durante l’anno. Non sono fondi aggiuntivi. Al posto di decidere che una nave sta al largo di Trieste, si decide che sta al largo di Lampedusa. Una scelta condizionata da quello che avviene nell’area Sud del Mediterraneo.

Non è stata concepita come un’azione temporanea?
Lo è, ma non nel senso: quando finiscono i soldi, finisce. È temporanea perché in Libia non c’è uno Stato. Noi ci dimentichiamo la cosa più semplice: in Libia non c’è un interlocutore con cui stringere accordi per creare soluzioni sul piano bilaterale. Dopo la guerra, ci sono una trentina di brigate, di ribelli e di fondamentalisti, che si contendono il potere. Ovviamente, questo si riflette sui proventi dei traffici di esseri umani. Perché non c’è dubbio che le consorterie di criminali traggono profitto non solo dalla partenza dei rifugiati e dei profughi dalle loro coste, ma anche dall’ingresso di chi fugge dall’area sub-sahariana. Molti di questi criminali gestiscono il percorso delle persone disperate che vengono dal Mali, dall’Eritrea, dal Centrafrica... Poi si aggiunge la situazione siriana, che rischia di durare per anni e che trova il suo centro di smistamento non in Libia ma in Egitto. Su questo centro di smistamento, l’intervento delle navi italiane in alto mare è stato particolarmente efficace. Quindi un’operazione è temporanea, perché non sappiamo quando si sistemano le cose in Libia. Noi abbiamo una forza militare che fa da interposizione tra palestinesi e israeliani in Libano. È un’operazione temporanea: e siamo lì da 38 anni... Non c’è dubbio che l’Italia deve ormai imparare a convivere con una percezione di sé come sentinella del Mediterraneo.

Percepirsi così chiama in causa il rapporto con le istituzioni comunitarie. Ma la richiesta di un aiuto all’Europa è veramente perseguita dai nostri politici? Ed è ascoltata? Cecilia Malmström, commissaria per l’Immigrazione, dice che l’Unione ha fatto tutto il possibile, ora serve più solidarietà da parte degli Stati membri.
C’è una contraddizione nel percorso del progetto d’integrazione europea. Abbiamo abolito le frontiere all’interno dell’Unione ma, paradossalmente, laddove più dovrebbero essere considerate frontiere europee - cioè sul bordo esterno - vengono considerate frontiere nazionali. Questa è una contraddizione che può essere risolta solo in sede politica, implementando il progetto d’integrazione e concependo una politica, estera e di difesa, comune. Questo, naturalmente, è un obiettivo a media-lunga scadenza.

Ora, cosa può chiedere l’Italia all’Unione Europea?
È necessario chiedere la cooperazione europea evidenziando non l’aspetto monetario, ma di sicurezza.

Perché?
Pensiamo al caso di Atalanta (la missione Ue contro gli attacchi pirati lungo le coste dello Stato del Corno d’Africa; ndr). La condivisione materiale, condotta a sud del Canale di Suez, ha fatto sì che la pirateria è stata quasi annullata dall’intervento dalle forze della marina dei Paesi membri. Ma è stata possibile un’operazione comunitaria perché la competenza sui meccanismi d’immigrazione clandestina e di accoglienza dei rifugiati è degli Stati membri, mentre la competenza su operazioni antiterrorismo può essere condivisa con l’Unione. Allora, nel rapporto con la Ue bisogna chiarire che a trarre vantaggio dal traffico umano sono anche le reti terroristiche, non solo criminali. Questo obbligherebbe a condurre un’operazione analoga ad Atalanta.

Questa è la strada?
Sì. Questa è la condivisione europea che si può chiedere. Così come si può chiedere la condivisione Nato. Ma non si può chiedere che l’Italia si sottragga alle proprie responsabilità. Perché il dato principale è che il flusso di questi clandestini e di richiedenti asilo è per l’Italia ben superiore rispetto ad altri Stati membri. Ma la comunità internazionale si deve mettere in testa una cosa: la solidarietà non è fatta di chiacchiere, ma di principi di convenienza. Se noi non contenessimo questo dramma che è legato alla guerra e a tragedie umanitarie dei Paesi di provenienza, non faremmo altro che determinare milioni di vittime. Bisogna esserne consapevoli. Quando sento la gente lamentarsi dei richiedenti asilo in numero spropositato dalla Siria, allora delle due l’una: o facciamo un intervento militare in Siria o ci occupiamo di prenderci cura di coloro che vengono cacciati dall’uso delle armi.

Non ha senso, quindi, l’obiezione di chi propone di bloccare le partenze dalle coste di imbarco.
La Libia non è in grado di gestire la permanenza di queste persone all’interno di un non-Stato, si metterebbe solo a repentaglio la vita di queste persone. C’è una dinamica nel fenomeno degli arrivi che è a cavallo tra la richiesta d’asilo e l’immigrazione clandestina: uno lascia il Paese dove c’è un conflitto, ma facendolo chiede una vita migliore. Sono fenomeni epocali, che in passato hanno deciso il tramonto di società, ma hanno anche permesso la nascita di nuove. Noi dobbiamo guardare con fiducia al futuro certi di ciò in cui crediamo.

Che cosa?
Se io ho una visione dell’uomo positiva, so che da un male, da una grande difficoltà sullo scenario internazionale può nascere un bene. E affronto con questa consapevolezza i problemi che si presentano alla comunità internazionale e al nostro Paese, comune per comune, parrocchia per parrocchia. Perché uno dei riscontri più importanti è dato dalla comunità cristiana. Riguardiamo la nostra storia: noi abbiamo avuto flussi migratori straordinari verso altri Paesi, abbiamo portato ricchezza ma anche difficoltà. Come la malavita organizzata dal Mezzogiorno. Allora, in America c’era la sensazione che potesse nascere uno Stato nello Stato, ma c’è stata la risposta degli Usa e anche quella delle comunità italiane che lì hanno maturato un’integrazione autentica e hanno aiutato a superare quello stallo. Oggi, gli italo-americani sono un fondamento della comunità americana. Questo può succedere anche in Europa, se siamo disposti all’accoglienza e in grado di avere un’attenzione ai fenomeni migratori che sia la proposta di ideali credibili.

Sempre la Malmström ha dichiarato che l’Unione è disposta a dare fino a 6mila euro per rifugiato e a procedere con “ingressi protetti”, ma che manca la decisione e la concretezza delle capitali.
Questa è una forma di ipocrisia, di entrambe le parti: della Ue e dei singoli Stati. I soldi del bilancio europeo vengono dai Paesi membri, i quali si sono dati come regola di non dare più dell’1 per cento del Pil. Ma i Governi devono avere la consapevolezza che bisogna mettere di più in questo paniere e che gran parte di esso sarà usata nei prossimi anni da Grecia, Italia, Spagna e Portogallo, perché sono i Paesi che fronteggiano, sul bordo sud, il grosso del fenomeno migratorio. Ma, per esempio anche dalla Bulgaria, per l’altro grande flusso - per lo più sconosciuto dalla nostra opinione pubblica - che va dalla Turchia alla Bulgaria, dove arrivano dall’Iraq e dalla zona mediorientale.

Ma anche l’Unione ha responsabilità in quest’impasse?
È una delle grandi ragioni per cui l’Europa stufa. Il problema dell’Europa oggi non sono gli euroscettici, quanto piuttosto il fatto che gli euroconvinti, se non ci credono fino in fondo, fanno la figura degli “eurocretini”, perché sembrano i difensori di qualcosa che nella realtà è impotente. Bisogna crederci fino in fondo e trasformare in azioni quella che è l’aspirazione di tutti. Se c’è un enorme flusso migratorio che va dal Sud del mondo verso l’Europa, è chiaro che Lampedusa non è la frontiera della sola Italia, ma è la frontiera di tutta l’Europa.

Quindi, come si supera questa impotenza?
Le misure concrete dipendono dalla determinazione politica degli Stati, che le attuano attraverso le istituzioni comunitarie. Se qualche stato del Nord Europa ha la speranza di risolvere il problema perché vede, nella fattualità del presente, che si scarica sul Paese più vicino alle coste dell’Africa, si sbaglia: non fa altro che rimandare nel tempo, con conseguenze ancora più gravi, un dovere di solidarietà e di condivisione, con il pericolo che la situazione possa anche schiantare la struttura degli Stati.

Senza l’Europa, l’Italia come affronterebbe il problema?
Non riuscirebbe. Un conto è rivendicare un maggior grado di assunzione di responsabilità da parte europea, ma in tutto quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo il fatto che a sostenere il peso dei flussi migratori sia - se pur in minima parte - il contesto europeo è un dato indispensabile. Pensiamo solamente a cosa vuol dire la gestione delle banche dati, del monitoraggio degli spostamenti o i problemi legati alla sicurezza e al terrorismo, alla collocazione dei minori richiedenti asilo. In questi aspetti, la collaborazione delle istituzioni europee è l’unica cosa che ci permette di reggere un fenomeno epocale.