Joseph Weiler.

Quale Europa cerchiamo?

La democrazia vera ha ancora una chance? E cosa possiamo fare noi, nel quotidiano? È possibile non delegare la propria salvezza? Al Centro Culturale di Milano, Joseph Weiler in dialogo con Maurizio Ferrera e Bernhard Scholz
Paolo Perego

Parte dal profeta Michea, Joseph Weiler, per rispondere alla prima di una serie di domande che hanno animato il dibattito “Quale Europa cerchiamo?” proposto dal Centro culturale di Milano nella serata del 15 maggio, nella Sala di via Sant’Antonio a Milano. Weiler è un grande conoscitore dell’Europa: classe 1951, ebreo, detentore della Cattedra European Union Jean Monnet presso la Scuola di Legge dell’Università di New York, oggi è presidente dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, nel fiorentino. «O uomo, Egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?». Non evasiva, come risposta, sottolinea il professore americano, rispetto alla provocazione di Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, seduto al suo fianco al tavolo dei relatori. «Si parla sempre di economia e di politica. Ma la crisi che viviamo, alla voce Europa, lascia intravedere, ancora una volta, una dimensione culturale del problema», aveva detto Scholz: «È già successo in passato, e riaccade ora. Quando grandi parole come “economia” o “politica” vengono idolatrate, allora iniziano ad essere contro lo Stato, la società e la persona. D’altra parte ognuno di noi incide in ogni azione sulla vita sociale. È davvero possibile non delegare la propria salvezza?».

Weiler non ha dubbi: «Se c’è una crisi culturale il primo passo è assumercene la responsabilità». Andare a cercarne le cause in luoghi come la famiglia o l’educazione, per esempio. «Io non vorrei mai vivere in uno Stato dove non ci sono i diritti. Ma la cultura dei diritti stessa può portare a questa idolatria. Chi ha permesso che questo accadesse in Europa?». Il compito del singolo, aggiunge Weiler, è in quella frase del profeta biblico.

«Ma nessun sistema politico starebbe in piedi senza un sistema di regole che dica cosa è giusto e cosa no», obietta subito il terzo relatore, Maurizio Ferrera, docente di Storia politica e firma del Corriere della Sera: «Solo che la gente pensa che non esista una giustizia europea». Esempio su tutti, la disuguaglianza distributiva, ovvero il fatto che ci sono Paesi che stanno meglio e altri peggio. Dove sta la solidarietà del “buon vicinato”, per cui tra prossimi non si tira su il prezzo? «E invece vediamo Paesi che fanno i loro interessi. E la percezione diffusa è che la giustizia che arriva da Bruxelles sia ingiusta».

Weiler si riarma di microfono. «Non si deve delegare, come ha detto Scholz. Ma se non c’è uguaglianza distributiva è perché nessuno mai ha messo in piedi un'Europa fiscale». E racconta del Texas di quindici anni fa, quando a «due millimetri» dal default, il Governo Usa, dopo un acceso dibattito interno, stabilì di sostenere le banche: «Nessun californiano ha mai detto: “Perché aiutarli coi soldi della California?”». Il motivo? Anzitutto per una diversa idea di cittadinanza "americana" rispetto a quella che noi abbiamo di “europea”. Ma, principalmente, perché quei soldi erano degli Stati Uniti. Non della California o di New York: «È più democrazia pagare le tasse che votare», dice ancora il professore. E che la democrazia Europea sia imperfetta lo dirà spesso durante la serata. «Non è facile fare l’unione fiscale. Si tocca la sovranità degli Stati. Ma poi non si può recriminare».

«Non è facile anche per una diversità di concezioni molto profonda», riprende Ferrera, spiegando anche solo il fatto che linguisticamente, nei Paesi latini la parola “imposta” ha insita l’idea di “togliere”, mentre nei Paesi nordici lo stesso concetto ha alla radice l’idea di un tesoro comune. «Per quello penso che si debba lavorare sul tema della giustizia europea», torna a dire Ferrera: «Per esempio iniziando a dire chi investiva in Grecia per portare a casa interessi altissimi. Tutti, e tra i primi i tedeschi. E i miliardi dati dai Paesi europei ad Atene per evitare la bancarotta? Alla fine sono tornati anche in Germania per ripagare gli interessi degli investitori». «Attenzione all’ipocrisia, però», risponde Weiler: «Si può anche accettare un’analisi come questa. Ma chi ha creato il sistema? Chi lo ha votato? Chi lo ha voluto? Sono responsabili sempre gli altri. E se anche i tedeschi non avessero fatto nulla ai greci, e tutte le colpe fossero imputabili a questi ultimi, la carità cristiana di aiutarli che fine dovrebbe fare?».

È tutto molto complicato e complesso, spiega Scholz, rilanciando una domanda: «Ma allora la democrazia vera, in Europa, ha ancora una chance?». Weiler cita Churchill: «La democrazia? Sistema tremendo, ma non ce n’è di migliori». È imprescindibile, non c’è alternativa. «Rinunciarvi vuol dire rinunciare alla dignità umana. Non è perfetta, vero. Ma si può correggere». Il problema, il 25 maggio, non sarà chi vince, ma chi andrà a votare. «Nel 1979 con un Parlamento senza potere andarono a votare il 60% dei cittadini». Si era illuso, allora, che con un sempre maggiore potere dell’Europarlamento, negli anni la percentuale sarebbe aumentata: «Nel 2009, con molti più poteri, ha votato il 35%. Perché? Il problema è che la gente intuisce che il voto non determina chi governa e come. Forse le cose in Italia quest’anno saranno diverse». Se prima le europee erano un indice di gradimento del governo del momento, oggi scelte diverse indicano anche differenti vedute sull’Unione, con antieuropeisti, da un lato, ed europeisti che «sì all’Europa, ma a un’Europa diversa», dall’altro. «Certamente le strutture istituzionali europee oggi non sono difendibili, ma d’altra parte rinunciare all’Europa non sarebbe solo un errore pratico. Sarebbe rinunciare a un assetto di valori che i padri fondatori, partendo dal loro passato terribile, hanno costruito sull’idea di perdono, di speranza, di futuro».

«Invece spesso si dà per scontato che l’Europa è uno spazio di libertà, di benessere, di welfare unico a livello mondiale», dice Scholz: «Non abbiamo l’umiltà di riconoscerlo come dono. Per questo qualcuno può pensare di abbandonare l’Unione». La domanda, continua il presidente Cdo, è come deve essere l’alternativa, quanta responsabilità dare all’Europarlamento e quanta ai rapporti intergovernativi della Commissione. «Qual è l’equilibrio?».

«Già esiste», risponde Weiler: «La questione è da un’altra parte. Bisognerebbe politicizzare il governo europeo. È un rischio, ci sarebbe un governo di destra o di sinistra. Ma almeno le decisioni non sarebbero frutto di un bilancio istituzionale ma espressione di una volontà popolare». E invece, continua, quando si arriva all’Europa, la politica sparisce. «Dunque la Commissione dovrebbe essere espressione del Parlamento?», incalza Scholz. «Sì», risponde secco Weiler: «Non esiste democrazia senza la politica. E una identità è necessaria».

«Ma la democrazia ha bisogno anche di informazione», fa eco Scholz, richiamando il ruolo dei media che troppo spesso giocano a mettere in luce solo le contrapposizioni. «Si può usare l’intelligenza per costruire. È per far funzionare meglio le cose, non solo per trovare quello che non va», conclude Weiler: «Cosa possiamo fare noi nel quotidiano? Dico una cosa. Ho un desiderio: quello di arrivare alla fine della mia vita avendo trascorso almeno dieci giorni in cui sia arrivato a sera senza essere in imbarazzo con Dio, senza averlo “tradito”. Ecco, io affronto così la quotidianità. Poi non so se la cosa risponde alla domanda...».