Giovanni Di Lorenzo, direttore di "Die Zeit".

Di Lorenzo: «Che la politica recuperi la sua vocazione originaria»

Il 25 maggio si vota per l'Europarlamento. Il direttore di una delle più importanti testate tedesche, "Die Zeit", legge e commenta il volantino di giudizio di CL sull'appuntamento con le urne di domenica prossima
Martino Cervo

Giovanni Di Lorenzo, 55 anni, dirige dal 2004 Die Zeit, uno dei più seguiti settimanali tedeschi. Come altri protagonisti di diverse lingue, nazionalità e culture in queste settimane, accetta di farsi coinvolgere nel dialogo sorto dall’iniziativa del movimento in occasione delle elezioni europee. Un input che Comunione e Liberazione intende propagare anche al di là dell’appuntamento per il rinnovo del Parlamento europeo, tante e tali sono le tematiche abbracciate dal volantino “Un nuovo inizio”. Di Lorenzo risponde alle domande di Tracce nel giorno di “chiusura” del suo giornale, che è in larga parte impegnato proprio dalla questione elettorale.

Direttore, ha letto il volantino diffuso dal movimento di Comunione e Liberazione? Qual è la prima sensazione che ricava?
Devo dire che condivido l’analisi che ho letto, soprattutto per quanto riguarda il richiamo alla necessità di un ritorno all’origine dell’idea costitutiva dell’Europa. L’idea stessa di Unione è venuta meno e necessita di quella che io definirei una “nuova narrativa”. Ciò che era sentito e coinvolgeva i leader politici fino a Schmidt e Kohl (l’ideale di pace, di assenza di frontiere, il tentativo di realizzare un maggior benessere per tutti) oggi non tocca più le generazioni più giovani.

Da cosa dipende questo? Forse dal fatto che la dimensione europea, specie sotto i colpi della crisi, è percepita come un problema piuttosto che una soluzione?
Direi che alla base c’è una carenza politica, che diventa soprattutto sotto elezioni un imbarazzo per la difficoltà a ricostruire questo ideale.

Il fatto che l’Europa oggi sia vissuta come un fardello può avere ragioni solide.
Mi pare che l’anti-europeismo sia già divenuto un calcolo politico, una sorta di gioco con lucrare consensi e potere. Ad alcune forze politiche fa comodo incolpare l’Europa per evitare di ammettere la propria responsabilità. Per esempio, in Italia ma non solo dire che la colpa è della Merkel assomiglia molto a una via di fuga... La realtà dei fatti è piuttosto chiara. Ci sono al mondo poche grandi superpotenze, e a tutti giova che l’Europa mantenga questa dimensione per giocare alla pari con America, Cina, Russia.

Non per tutti, però, sono nelle stesse condizioni. Anzi, gli squilibri paiono aumentare proprio in questi anni di crisi. Da dove ripartire dunque?
Occorre abituare le persone al fatto che non sono bambini. Non si possono avere solo vantaggi dall’integrazione europea. Le scelte, del passato e del presente, hanno conseguenze anche amare. Non ho difficoltà a dire che fu un errore, ad esempio, l’allargamento rapido e indiscriminato ai paesi dell’Est. Nessuno è in grado di integrare stati in fretta e furia che non sono all’altezza: da tedesco ho esperienza diretta di cosa questo significhi. E, dopo che è stata rivelata la grana dei conti di Atene, anche sull’ingresso di Atene ci sarebbe molto da dire...

Ecco, proprio la crisi ha sfidato le ragioni profonde della dimensione comunitaria. I sondaggi rilevano che per milioni di persone l’Europa è una struttura inadeguata. Le chiedo: perché questo accade? E soprattutto: c’è speranza che questa percezione cambi? Cosa deve accadere? Dove si possono sorprendere, nell’esperienza personale e nella vita politica, fatti in grado di sfidare il pessimismo?
Certamente ci sono intere aree che hanno sofferto meno la crisi economico-finanziaria, e se oggi la situazione è più stabile almeno guardando certi indicatori, il merito è della Banca centrale guidata dall’italiano Mario Draghi. Proprio quest’ultimo ha dovuto dire negli ultimi tempi cose che sarebbe toccato dire a politici di grande carisma. Ma la politica si è in qualche modo messa tra parentesi. Giustamente il manifesto di cui stiamo parlando richiama anche le ragioni politiche dell’Europa. Ma guardiamo a come si stanno svolgendo le campagne elettorali. Io vivo immerso in quella tedesca: sa quanto si parla di Ucraina, cioè il tema politico più pesante e urgente? Zero.

Dunque la politica è venuta meno ai suoi compiti? Lei nel suo lavoro che conseguenze trae da questo giudizio?
Direi che il tema europeo è stato radicalmente “spolicitizzato”, e il vuoto lasciato dalla politica è stato colmato da persone dotate di capacità tecniche e di conoscenze adeguate. Il mio impegno tenta soprattutto di rivolgere un invito alla politica, perché recuperi la sua vocazione originaria.

In Italia non si ha la percezione che questo fenomeno di “ritirata” della politica coinvolga un Paese egemone dell’eurozona come la sua Germania. Invece è così?
Per certi versi, sì. Non c’è dubbio che la risposta alla crisi del 2008 fin qui non è stata convincente, ma le rispondo con una nota che apparentemente non c’entra. Anche qui ci sono forze ostili all’integrazione europea. Posso tranquillamente dirle che Alternative für Deutschland, la formazione euroscettica, entrerà al Parlamento di Strasburgo. E sa cosa sfrutta? L’impressione - qui molto diffusa - che Angela Merkel faccia di tutto per aiutare l’Europa del Sud... Capisce cosa intendo?.

Si capisce che non dipinge un quadro molto ottimista: i Paesi sembrano andare in direzione opposta rispetto a quella prevista dal manuale europeista...le chiedo ancora: da dove può venire una speranza?
I partiti tradizionali verranno certamente penalizzati. Se non sapranno cogliere questo segnale, se non verrà compresa questa esigenza di politiche più efficaci e coerenti, allora davvero non so cosa potrebbe accadere. Purtroppo spesso le elezioni europee sono un’occasione per sistemare personale politico con crediti nei confronti dei partiti, e non la vetrina per la miglior classe politica. Questo acuisce molti problemi di qualità della risposta politica. Per questo se mi chiede da dove è possibile ripartire, rispondo: da uno sforzo di tutta la classe politica, e non solo per un fatto morale ma anzitutto per un motivo di pragmatismo.

Ma può venire solo dalla politica una risposta accessibile a tutti? Il volantino indica nella tradizione cristiana un contenuto culturale e di esperienza proposto come cruciale per la riscoperta della dimensione europea. Crede che questo sia possibile?
No. Il calo di influenza della proposta del cristianesimo nella politica e nelle istituzioni europee riflette la crisi morale e il calo di influenza che la chiesa ha in tutta la società. Vale sicuramente per la Germania, credo valga per quasi tutta l’Europa.