L’incontro “Passione imprenditoriale e strategia <br>aziendale” in Bocconi.

Per fare economia bisogna essere uomini

Alcune visite tra le aziende, la proposta di uno studente per approfondire cos'è il mondo imprenditoriale. Fino a sfidare degli esperti in un incontro: «Cosa vuol dire fare impresa oggi?». Tra cacao e cucine, ecco perché «management significa persone»
Francesco Graffagnino

Money never sleeps. Un monito per chiunque entri nell’Università Bocconi, polo milanese di eccellenza quando si parla di formazione economico finanziaria. E il 15 maggio l’incontro “Passione imprenditoriale e strategia aziendale”, organizzato dall’associazione studentesca Obiettivo Studenti, ha cercato di restituire un volto più umano e concreto a un mondo, quello dell’economia, che oggi più che mai, spesso è ridotto a spread, mercati e cifre astronomiche.

Nell’aula Maggiore dell’ateneo milanese siedono al tavolo dei relatori il professor Carlo Salvato, direttore del corso di laurea di Economia e Management, Plinio Agostoni, amministratore delegato della lecchese Icam, produttrice di cioccolato, Roberto Gavazzi, leader della Boffi, cucine, e Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere e direttore della Scuola d’Impresa per Pmi. A presentarli, Massimiliano Pozzi, studente del secondo anno. Un incontro, quello della Bocconi, che arriva a conclusione di una serie di visite che ha portato molti studenti sul campo, a conoscere aziende virtuose nel campo dell’abbigliamento, dell’alimentare e dell’arredamento. Con una domanda a fare da fil rouge: «Cosa vuol dire fare impresa oggi?».

Il primo invitato a parlare è Salvato: «È partito tutto da una provocazione, quando al Welcome, la giornata di presentazione del corso alle matricole, mi chiedevo come poter coinvolgere direttamente i nostri studenti con il mondo dell’imprenditorialità». La risposta arriva il giorno dopo, con una mail di Massimiliano e la proposta della serie di visite. «Management significa “persone”», continua il professore: «Se questa coscienza viene meno, perdiamo il punto più importante. Non possiamo affezionarci e fidarci veramente di un prodotto se non conosciamo chi lo ha realizzato».

Proprio come per Massimiliano, che spiega la sua ipotesi di lavoro con un passo tratto da Il denaro di Charles Péguy: «La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. E ogni parte che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali». Ma allora, continua lo studente, «l’unico modo per imparare qualcosa è incontrarlo, in un dialogo con persone appassionate. Un’esperienza imprenditoriale è in grado di portare un cambiamento nel contesto in cui l'impresa opera? E se sì, come?». Questa la domanda emersa durante le visite degli studenti alle aziende, la stessa provocazione lanciata da papa Francesco qualche giorno prima in un incontro con gli imprenditori: «Non si riesce, o non si vuole, studiare veramente in che modo i valori etici possono diventare in concreto valori economici, cioè provocare dinamiche virtuose nella produzione, nel lavoro, nel commercio, nella stessa finanza».

Una dinamica da ricercare anche nel passaggio che da un seme porta a una barretta di cioccolato. Nei luoghi manzoniani di Pescarenico, alle porte di Lecco, a volte l’aria profuma di cacao. Qui, tra il lago e le montagne, ha sede la Icam, ad oggi tra i leader della produzione e lavorazione del cioccolato, nata dall’intuizione semplice del padre di Plinio Agostoni di estrarre zucchero dalle barbabietole. Da lì, la prima fabbrica a Morbegno, all’imbocco della Valtellina, e, negli anni a seguire, il commercio in tutto il mondo. Una passione, quella per il buon cioccolato, che si è tramandata di padre in figlio. Così racconta Agostoni: «Péguy dice una cosa vera oggi, lavorare è ubbidire a qualcosa di più grande. Un’idea, un progetto e un’esigenza reale. A partire agli anni Ottanta abbiamo iniziato a lavorare con la Repubblica Dominicana. In un rapporto diretto con i contadini, una partnership per migliorare la qualità e la quantità del cioccolato». La conseguenza di una “buona economia”? I coltivatori della Repubblica Domenicana sono diventati primi produttori al mondo di cacao biologico. Agostoni continua: «Un altro esempio, in Uganda prima facevano seccare il cacao sui tetti. Li abbiamo aiutati loro a costruire degli essiccatoi, con il risultato di migliori condizione di vita per loro intanto, perché i tetti si arrugginivano a usarli in quel modo. Ma non solo: ne è venuta fuori una migliore qualità per noi». L’etica professionale è produttiva, l’economia è sorretta da questa semplice regola: un bene per me è un bene per te. «Si chiama responsabilità sociale».

La parola passa a Roberto Gavazzi, amministratore delegato di Boffi: «Non so a casa vostra, ma da me il luogo in cui tutta la famiglia si riunisce è la cucina, con le gambe sotto la tavola, per mangiare. Noi vendiamo qualità e piacere di stare in un ambiente, qualcosa di utile che si perpetua nel tempo. Il successo di un’azienda è un progetto complessivo, un network, una collaborazione tra persone». Un esempio su tutti: cinque anni per fare una cucina a una stilista tedesca. Uno spazio che è cresciuto insieme alla casa. Esagerati cinque anni? «No, è un tempo che dice di una cura al lavoro». E che la bellezza, per essere definita tale, ha tempistiche che non seguono necessariamente le logiche del “breve termine”.

«Quali sono le sfide e le esigenze imprenditoriali oggi?», risuona ancora la domanda dei ragazzi. Risponde Bernhard Scholz: «Ho visto nelle piccole e medie imprese italiane una forte spinta a rinnovarsi, ma allo stesso tempo una carenza manageriale. Prendiamo l’esempio Boffi. Un’impresa è la capacità creativa, ingegneristica e imprenditoriale che nasce dal contributo di molti. È difficile lavorare insieme, eppure è possibile». Fare impresa significa creare un bene comune, prosegue Scholz: «Perché in Italia c’è questa tendenza a fare impresa, a rinnovarsi di continuo? Perché la qualità italiana è così ricercata nel mondo? L’Italia è un museo a cielo aperto! Uno cammina per strada ed è immerso nella bellezza e non può fare a meno di riproporla nella sua opera».

Ripartire dall’uomo, dalla sua genialità. E valorizzare dove questa meglio si esprime: il lavoro. Suona così la risposta a quale possa essere un punto di speranza nella crisi. E risuona in un incontro come questo, in cui ci si ricorda che per fare economia non bisogna diventare né squali né tori, ma essere uomini. Una cosa del genere in Bocconi? Niente di scontato.