Giotto, <em>Sposalizio della Vergine</em>.

Se il matrimonio perde la bussola

Quarant'anni fa il referendum sul divorzio, segno che i tempi stavano cambiando. Oggi, una proposta di legge vuole ridurre da tre anni a sei mesi le tempistiche per mettere la parola "fine" all'unione. Ma perché due persone dovrebbero dire quel "sì"?

«L'amore è eterno finché dura» recita un detto reso celebre da un film di Carlo Verdone. Sembra che questo modo di dire sia diventato il criterio con cui giudicare le unioni che oggi si formano, consacrate dal prete in chiesa o officiate dal sindaco in comune.

Un recente disegno di legge, approvato dalla Camera dei deputati e attualmente al vaglio del Senato, abbrevierebbe il tempo tra separazione e divorzio. Da tre anni a dodici mesi per la separazione giudiziale, sei mesi per quella consensuale. Così facendo, si vorrebbe dare la libertà alle coppie di accelerare i tempi della burocrazia per mettere un punto definitivo alle loro unioni.

La legge Fortuna-Baslini (898/1970), quella sul divorzio approvata esattamente quarant'anni fa con il referendum del 12 e 13 maggio 1974, segno dei tempi che cambiavano, secondo i benpensanti dell'epoca, stabilisce che chiunque voglia divorziare debba attendere un periodo di tre anni. In questo periodo di tempo la coppia avrebbe la possibilità di verificare (strano verbo, sebbene a noi così familiare), se non ci sia proprio nulla da fare, se quelle promesse fatte davanti a Dio e alla Chiesa, e a tutti i parenti e gli amici presenti alle nozze, hanno perso il loro valore nella realtà quotidiana e concreta della coppia.

Nella società di oggi, in preda al mito della velocità, in cui «ogni aspirazione personale diventa fondamento del diritto», come ci ricorda don Julián Carrón nel quartino sulle elezioni europee, i tempi si abbreviano. Da tre anni si passa a sei mesi, un sesto del tempo. Si è persa la ragione ultima di quel periodo di verifica in cui, seppure a volte con fatica e con dolore, i due coniugi erano costretti a stare davanti a un dato reale: ci sono dei problemi tra noi, abbiamo perso la bussola, non sappiamo più dove stiamo andando. E come nelle questioni più importanti si confidava nel tempo come alleato, perché magari, da soli senza l'altro si scopre che, se prima l'ago della bussola era un po' instabile, ora è uscito del tutto dal suo supporto. E si ritornava sulla questione, ci si faceva aiutare, si chiedeva consiglio agli amici più cari, si intraprendeva un cammino vero di domanda.

Oggi l'impressione è che questo cammino pieno di domanda sia finito nell'oblio, sommerso dalle incrostazioni depositate sul nostro cuore, il vero ago della bussola che punta "verso la stella polare fissa e sicura", come recita, non a caso, un noto canto di chiesa. Viene allora da chiedersi a cosa tutto ciò stia conducendo e dove stiamo andando. Stiamo dimenticando che ciò che regola la nostra vita, non nel senso di regolamenti e decreti ma nel senso originario di "ciò che regge", non è una legge, non è la possibilità di decidere della propria vita e, in un rapporto coniugale, anche dell'altro e dei figli, in via autonoma e personalistica. Ciò che regge ha sede nel nostro cuore, nella ragione ultima del suo battito, del suo orientamento stabile verso la stella polare, che nella nostra esperienza si identifica con il fattore della vita. Si sta dimenticando che l'altro è dato per il nostro compimento e che è naturale che ci siano delle incomprensioni e delle difficoltà (don Giussani diceva che gli sposi sono due egoismi che si incontrano, in fondo). Ma queste situazioni sono date non per separare, ma per cementare ancora di più il legame. E la consapevolezza che esso non si esaurisce in se stesso. Né costruisce barriere con la realtà circostante, ma è per me, per aprirmi al mondo e alla realtà tutta. E per accompagnarmi verso Chi fa il mondo e dà consistenza e fondamento al rapporto amoroso.

Forse prima di approvare questi discutibili segni di progresso, bisognerebbe tornare all'origine di che cos'è il matrimonio, alla riscoperta della ragione ultima per la quale un uomo e una donna scelgono di stare insieme e di pronunciare il fatidico "sì" davanti l'altare o in una stanza del municipio.
Roberto, Monte San Giusto (Macerata)