Le donne del laboratorio tessile di Wachipa.

Tra le gemelle, l'oceano

In Italia si discute la riforma del Terzo Settore. Ma le opere sociali non aspettano. Esempio? Un incontro a Lima, tra realtà sudamericane e italiane, epilogo di un lavoro iniziato mesi fa. Perché nella crisi «si può marcire o cambiare fiorendo»
Paolo Perego

Le linee guida per la riforma sono state presentate dal Governo Renzi il mese scorso. Una vera e propria necessità, per il Terzo Settore, il non profit, da sempre imbrigliato tra norme poco chiare e non omogenee. È un inizio, sia chiaro: ora bisognerà farla davvero, la riforma, e rimane anche spazio per lavorarci. E sul numero di Tracce di giugno c'è un'ampia riflessione in merito. Insomma, le basi ci sono, a partire da una stabilizzazione del 5 per mille fino alla modifica del Codice Civile in materia. Nel mentre, tante realtà del non profit, alle prese anch'esse con la crisi nonostante la continua crescita negli ultimi dieci anni, non restano con le mani in mano. Un esempio? Prendiamo la settimana di lavoro a Lima, organizzata da CdO-Opere sociali presso la Universidad Catolica Sedes Sapientiae dal 18 al 23 febbraio di quest’anno. A tema, “L’esistenza dell’opera nel tempo: il cambiamento e la sostenibilità”, per una serie di lezioni, esercitazioni e racconti di esperienze legate ad alcune realtà che operano nel campo del sociale. «Ma il meeting peruviano è stato l’epilogo di un lavoro di mesi», precisa Monica Poletto, presidente della associazione di oltre 1.400 opere non profit: «L'anno scorso avevamo pensato di “gemellare” dodici realtà italiane con altrettante latino-americane».

Spunto, le difficoltà, sempre più stringenti anche per la crisi economica, di tante esperienze di questo genere. Dai fondi pubblici che vengono meno alla necessità di relazionarsi con la società e, in tanti casi, con i mercati, quando si sviluppano piccole attività produttive, è un contesto, quello odierno, che appare sempre più difficile e in cui si è costretti a “cambiare”, «perché o marcisci tra le tue quattro mura o fiorisci», dice ancora la Poletto. Quello che ha messo sul piatto CdO è un lavoro comune che in Italia già si fa da tempo, con la Scuola delle Opere. Così ci è voluto poco perché parole come governance, fund raising, sostenibilità diventassero protagoniste degli incontri o dei dialoghi via internet tra le opere coinvolte.

I pantaloncini di Wachipa.
«Abbiamo proposto abbinamenti non legati alle affinità di mission delle singole realtà, provando a ragionare su quali aspetti si sarebbero potute dare una mano a vicenda». Così, capita che in web conference si siano trovati faccia a faccia Walter Sabattoli, della Cooperativa Pinocchio, che nel Bresciano si occupa di recupero e reinserimento lavorativo di ex tossicodipendenti e disabili psichiatrici, con Sara Flores e Maria Eléna Roca, responsabili di Casa de Costura Siray Wasi, a Wachipa, periferia est di Lima. «Un posto dove fino a dieci anni fa l’unica attività era fare mattoni. La ong Cesal, partner di Avsi, dieci anni fa, iniziò un’opera educativa, un asilo, per combattere il lavoro minorile e per aiutare le famiglie, anche con dei corsi di cucito e confezionamento di abiti», racconta Maria Eléna. L’opera cresce nel tempo, anche per l’aiuto di benefattori. Viene aperto un centro di formazione a cui, poco dopo, si affianca un laboratorio tessile allo scopo di mantenere l’attività educativa. «Abbiamo insegnato un lavoro a 1.200 persone in questi anni. E di questo ne godiamo oggi». Cioè? La chiave di tutto sono proprio i dialoghi con gli amici italiani. Le due peruviane, con loro, non fanno sconti, sono piene di domande: «Come gestite, voi, le attività produttive? Perché? Come vi rapportate con istituzioni e imprese?». Fino a chiedere consiglio sulla commessa di una catena di supermercati per produrre 4.800 pantaloncini in tre settimane: «Da soli non saremmo riusciti. Abbiamo coinvolto alcune imprese famigliari locali, laboratori tessili nati nelle case della gente cui avevamo insegnato il mestiere. E abbiamo diviso il lavoro, riuscendo a fare tutto con un livello di qualità tale che anche altri hanno iniziato a cercarci per lavori più grandi». Ma questo, dice la Poletto, «è il frutto di uno sguardo sulle cose che stimola intelligenza e creatività». E che spinge a riguardare al proprio lavoro, al modo di farlo, a smontarlo se necessario per fare passi indietro o prendere nuove strade.

«Da quella settimana non si poteva tornare a casa come prima», dice Adele Tellarini, responsabile di Casa Novella, opera che accoglie minori e giovani madri in difficoltà nel Bolognese. Era scettica all’inizio, lo ammette. «Gemellati con un’associazione educativa che si occupa di disabili e inserimento? Target diverso e dimensioni diverse, noi piccoli e loro grandi». Ma già solo rapportarsi con loro ha voluto dire riflettere su di sé: «Soprattutto, per noi, su cosa voglia dire il coinvolgere nella responsabilità i dipendenti». E i giorni a Lima, dice, sono stati l’ennesima sorpresa. «Come si fa un bilancio, come si strutturano organizzazione e rapporti interni, come ci si presenta “fuori”».

A che serve un cda?
Non solo teoria. Ciascuna opera, dal Banco Alimentare italiano alla piccola cooperativa messicana, era chiamata a mostrare nei fatti come lavora quotidianamente. «Non ci si conosceva, ma tutti i tentativi che ciascuno metteva sul tavolo parlavano la stessa lingua: quella di un metodo ragionevole nel muoversi nella realtà che nasce dall’esperienza cristiana. Modalità diverse di uno stesso metodo... Torni da Lima e dici: “Bene signori, prendiamo le agende e rivediamo le cose”». Per esempio? «Il rapporto con le imprese. Abbiamo un laboratorio per la produzione di pasta. Vedi come fanno gli altri. Magari potremmo investire meglio le risorse».

Perché «il primo modo di essere responsabili di qualcosa è farla bene», dice Ian Farina della Cooperativa sociale In-Presa di Carate Brianza: «Noi, che ci occupiamo di formazione professionale, con una piccola attività produttiva, gemellati con la Clinica San Rafael di Asunción, Paraguay. Siamo partiti a “frequentarci” prima dell’estate. E ci siamo confrontati su tanti aspetti: il modo con cui cerchiamo fondi, per esempio. Oppure come ci mostriamo all’esterno e come coinvolgiamo i volontari». E poi l’incontro a Lima, compagni di banco durante le “lezioni”, ad ascoltare esperti come Bernhard Scholz sulla mission, la stessa Poletto sul bilancio, Stefano Gheno e Natascia Astolfi sulla comunicazione, solo per citarne alcuni: «Non c’erano opere di serie A e opere di serie B. Tutti eravamo oggetto di attenzione, perché imparassimo ad andare a fondo di quello che facciamo», dice ancora Farina, fino a riscoprire, per esempio, la natura del rapporto con un consiglio di amministrazione, partendo dal suo scopo: «Lo davo per scontato, se non addirittura dimenticato. Non è che se sei non profit sei un po’ di meno degli altri. Sei nel mondo, e ti giochi la partita. Come riesci, ma di certo non in difesa».

Una compagnia che ti tiene sul pezzo, insomma: «Sul tuo pezzo, sulla tua responsabilità», fa eco ancora Adele Tellarini. «Su ciò di cui, cioè, sei chiamato a rispondere per come lo curi, non perché è tuo. E questo è ciò che ti rimette continuamente in moto».