Mondiali di calcio, Brasile 2014.

Tra bellezza e contraddizioni

Tutto è pronto per la grande festa. Comincia oggi il Mondiale di calcio in Brasile. Con decine di migliaia di persone coinvolte in un Paese preso tra l'orgoglio nazionale e le proteste verso i governanti (da Passos, giugno 2014)
Rafael Marcoccia

Il campionato mondiale di calcio 2014 in Brasile, a sessantaquattro anni di distanza dall'ultimo ospitato nel Paese. Il calcio può piacere o meno, ma nessuno può passare immune attraverso la Coppa. I giornali dedicano inserti speciali all’evento, gli esperti calcolano chi ha la possibilità di vincere e a chi invece andrà male, mentre i siti internet danno rilievo a qualunque notizia abbia il minimo rapporto con il campionato mondiale... A scuola, sul posto di lavoro e in famiglia i discorsi ruotano intorno ad argomenti calcistici. I giochi sono fatti. Bambini e adulti - perlomeno i ritardatari - corrono in edicola o cercano di scambiare le ultime figurine per completare le raccolte. Sulle automobili e alle finestre sono già comparse le prime bandiere e striscioni.

È tutto pronto per una grande festa! Sì: trenta giorni praticamente ininterrotti di palloni che rotolano, belle partite e goal. Le otto selezioni campioni del mondo saranno presenti in questo torneo, un fenomeno senza precedenti nella storia. Sui nostri campi erbosi sfileranno le principali star del pallone, con l’eccezione dello svedese Ibrahimovic e del gallese Bale.

Una grande festa che promette bene, tanto più che si svolgerà in Brasile, noto in tutto il mondo come “il paese del calcio”. Anche Passos ha qualcosa da dire in merito a questo evento.

IL CALCIO E LA CHIESA
Attualmente, quando si pensa al rapporto tra Chiesa e calcio, c’è chi cita papa Francesco, notoriamente amante dello sport e tuttora tifoso della sua squadra, l’argentina San Lorenzo, che in diversi interventi ha già tracciato varie analogie tra fede cristiana e atteggiamento umano e lo sport di origine britannica: come quando ha detto che per risolvere i problemi della vita bisogna guardare in faccia la realtà come il portiere di una squadra di calcio, pronto a parare la palla da qualunque parte arrivi (Omelia del 13 aprile 2013).

Ma il rapporto tra la Chiesa e il calcio è molto più antico e profondo di quanto molti possano immaginare, compresi tanti appassionati di questo sport.

In un libro dal titolo Visão de Jogo: primórdios do futebol no Brasil (Visione di gioco: i primordi del calcio in Brasile) lo storico José Moraes dos Santos Neto affronta le origini del calcio brasiliano riportando un’ampia documentazione (fotografie, atti, documenti scolastici, diari di alunni e insegnanti). Dal 1879 al 1881 i gesuiti del Collegio San Luigi della città di Itu, nello stato di San Paolo, visitarono i grandi collegi europei per venire in contatto con esperienze interessanti in vista dell’introduzione delle pratiche sportive nei loro collegi, «affinché tutti i muscoli funzionassero in maniera armoniosa, mentre le lezioni morali derivanti dallo spirito sportivo sarebbero state assimilate attraverso giochi divertenti e ricreativi» (p. 14).

In Francia visitarono il collegio di Vannes, dove già si praticava il calcio, ed entrarono in contatto con padre Du Lac, grande sostenitore dell’introduzione del football inglese nelle scuole, dal momento che secondo lui questo sport era un giusto equilibrio di virilità e morale, atto a formare giovani sani e buoni cittadini.

Seguendo il consiglio del sacerdote francese, in Inghilterra i gesuiti di Itu conobbero il calcio che si giocava alla Harrow School. Poi si trasferirono in Germania, dove gli educatori si servivano di questo sport insieme alla ginnastica tedesca. Vale la pena sottolineare che in vari paesi d’Europa erano stati proprio i pionieri gesuiti a introdurre il calcio, come nel caso del collegio gesuita di Utrecht, nucleo a partire dal quale questo sport si diffuse nei Paesi Bassi.

Di ritorno in Brasile i religiosi introdussero il football nei loro collegi, identificando in esso uno strumento di supporto pedagogico. A partire dal 1894 il nuovo rettore fu padre Luís Yabar, profondo conoscitore della storia e delle regole di questo sport. Da questo momento in poi il calcio cessò di essere un gioco e la pratica sportiva divenne più organizzata: i gesuiti istituirono addirittura il titolo simbolico di fuoriclasse del football per l’alunno che si sarebbe maggiormente distinto durante le partite.

Nel 1895 se lo aggiudicò il giovane Arthur Ravache, che due anni più tardi avrebbe dato inizio alla sua attività come uno dei pionieri del calcio brasiliano. Diversi alunni del San Luigi diffusero questo sport nell’interno del Paese e a San Paolo, e poi a Uberaba (nello stato di Minas Gerais) e nel centro del Brasile, come pure nel Nordest, in particolare a Bahia.

E Charles Miller, considerato il “padre del calcio brasiliano”? Iniziò a praticarlo nel 1894 all’interno di un club. Lo sport scavalcò le mura dei collegi e assunse un carattere esplicitamente competitivo, cosicché le sue regole divennero più conosciute. Ma prima di allora veniva già praticato in vari collegi brasiliani, per la maggior parte diretti da gesuiti.

LA COPPA DEL MONDO COME STRUMENTO DI INTEGRAZIONE
Una caratteristica importante del calcio - che è poi il motivo che ha inizialmente indotto i gesuiti a introdurlo in Brasile - è la sua capacità originale di riunire le persone. Questa è anche la proposta del campionato mondiale: l’integrazione dei popoli. Nel nostro Paese durante i Mondiali si verifica una delle rare occasioni in cui la gente sente di appartenere a un popolo, dotato di un’identità chiara e di orgoglio nazionale. Una manifestazione interessante di questo fenomeno - a cui certamente assisteremo nei nostri stadi - è il fatto che, quando gioca il Brasile, la tifoseria brasiliana canta decisa e a gran voce l’inno nazionale dall’inizio alla fine, a cappella, anche dopo che la musica si interrompe, come da regolamento della Fifa.

Il calcio inoltre può sempre essere vissuto come spazio di incontro, vincolo di solidarietà e ammirazione per il valore altrui. San Giovanni Paolo II diceva che «il senso di fratellanza, la magnanimità, l’onestà e il rispetto del corpo - virtù indubbiamente indispensabili ad ogni buon atleta - contribuiscono all’edificazione di una società civile dove all’antagonismo si sostituisca l’agonismo, dove allo scontro si preferisca l’incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale. Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mezzo; può divenire veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a se stessi o agli altri». (Udienza ai partecipanti al convegno internazionale “Nel tempo del Giubileo: il volto e l’anima dello sport”, 28 ottobre 2000).

All’inizio di maggio, nel ricevere le due squadre italiane finaliste di Coppa Italia, papa Francesco ha ricordato: «Da ragazzo sono andato parecchie volte allo stadio e ho dei bei ricordi. Sono andato solo e con la mia famiglia. Momenti gioiosi, di domenica, insieme con i miei familiari. Vorrei augurare che il calcio, e ogni sport in genere, recuperi la dimensione della festa».

È evidente però che questo campionato non porta soltanto esperienze positive. Come ha giustamente riconosciuto san Giovanni Paolo II nello stesso Giubileo degli sportivi, «...accanto ad uno sport che persegue nobili ideali, ce n’è un altro che rincorre soltanto il profitto; accanto ad uno sport che unisce, ce n’è un altro che divide».

I PROBLEMI
Non è possibile trascurare i costi e il modo in cui è stata condotta l’organizzazione del Mundial. Delle quarantuno opere di infrastruttura previste nelle dodici città destinate a ospitare le partite di campionato - questo il patrimonio che, secondo le promesse, l’evento avrebbe dovuto lasciare in eredità al paese - solamente cinque sono state portate a termine entro la metà di maggio e almeno sette non potranno essere assolutamente pronte (come risulta dai documenti ufficiali). In una parte significativa della società brasiliana permane la sensazione che il paese sotto questo aspetto si stia lasciando sfuggire un’opportunità di progresso.

Inoltre per i lavori di tutti gli stadi delle dodici città ospitanti era stato stimato un costo di 8 miliardi e 90 milioni di reais, il 97% dei quali provenienti da fondi pubblici (importo e percentuale ricavati dall’ultima relazione del Comitato organizzativo locale, pubblicata nel marzo 2014). Per di più vi sono stadi che corrono il rischio di trasformarsi nei cosiddetti “elefanti bianchi”: strutture ubicate in località prive di club appartenenti alla tradizione del calcio brasiliano, e quindi di tifosi in numero sufficiente da occupare impianti di tali dimensioni. Si tratta di investimenti gettati dalla finestra, spropositati e lontani dalle priorità del popolo. In definitiva, più che da razionalità economica, queste spese sono state determinate dalla possibilità di ottenerne vantaggi politici.

A questo proposito papa Francesco ha dichiarato all’inizio di maggio: «Oggi anche il calcio si muove in un grande giro di affari, per la pubblicità, le televisioni, eccetera. Ma il fattore economico non deve prevalere su quello sportivo, perché rischia di inquinare tutto».

Di conseguenza varie componenti della società si sentono frustrate, perché interpretano le iniziative del Governo in rapporto all’organizzazione del campionato mondiale non come investimenti che generano futuri ritorni economici e sociali, bensì come sprechi progettati male, che sottraggono risorse che si sarebbero dovute invece destinare all’istruzione, alla salute, ai trasporti, alle abitazioni, alla sicurezza...

COME PUÒ ESSERE VISSUTO IL CALCIO
In ogni caso è un fatto positivo constatare che sono in molti a non essere più disposti a sopportare un cattivo impiego del denaro pubblico e un atteggiamento politico predominante sempre più lontano dalla società, che non è disposto a servire il Paese, ma è pronto a servirsene.

Ciò significa che, contrariamente a quanto viene spesso affermato, il calcio può essere vissuto anche in forma non alienante. Due episodi recenti richiamano in particolare la nostra attenzione in questo senso.

In primo luogo la società brasiliana ha dimostrato la propria insoddisfazione per mezzo di manifestazioni contro i progetti sbagliati del governo - sia a livello federale che statale - e nei confronti del cattivo impiego di fondi pubblici nell’organizzazione del campionato. Sebbene molte di queste manifestazioni puntino sullo slogan «No alla Coppa», è evidente che molti manifestanti non sono contrari all’evento in sé, ma a come è stato organizzato. Perciò spesso anche gli amanti del calcio appoggiano tali proteste, smentendo così il cliché che li vorrebbe ingenui e disinteressati alle problematiche sociali.

Un altro aspetto che dimostra come il calcio possa essere vissuto in modo non alienante è la reazione della società brasiliana al problema del razzismo. Negli ultimi cinque mesi diversi calciatori brasiliani professionisti sono rimasti vittime di questo reato: Tinga, del Cruzeiro, Arouca, del Santos, Marino, del São Bernardo, Assis, dell’Uberlândia, oltre all’arbitro Márcio Chagas da Silva, originario dello stato del Rio Grande do Sul. Un altro caso emblematico è stato quello di Daniel Alves, del Barcellona e della selezione brasiliana, che a fine aprile ha raccolto la banana che gli era stata lanciata durante una partita valida per il campionato spagnolo e l’ha mangiata: un gesto che ha ben presto invaso i social network conquistandosi il sostegno di migliaia di tifosi di tutto il mondo, in particolare brasiliani, che hanno pubblicato foto di se stessi nell’atto di mangiare una banana. Alla campagna hanno aderito anche vari artisti. Le reazioni contro il razzismo dimostrano che i tifosi sono perfettamente consapevoli della dignità di ogni persona, a prescindere dal colore della pelle, e riconoscono nell’altro un essere uguale a sé.

IN CONCLUSIONE
Ci sono due modi per vivere la Coppa del mondo. Uno consiste nel ridurla esclusivamente ai suoi problemi. È evidente che esistono problemi urgenti, che richiedono la dovuta attenzione e impongono di lottare per essere risolti. È evidente che il denaro pubblico dovrebbe avere altre priorità. È inammissibile che non ne teniamo conto. È chiaro che il “modello Fifa”, che negli ultimi tempi è diventato sinonimo di qualità, dev’essere presente in tutti i servizi destinati alla società.

L’altro atteggiamento, invece, consiste nel partire dall’ipotesi positiva, perché solo in questo modo si può essere in grado di tener conto di tutti i fattori che entrano in gioco: partendo dall’ipotesi negativa, infatti, vediamo solo quello che vogliamo vedere e non cogliamo molti altri dati che la realtà ci offre. È necessario utilizzare convenientemente la ragione, considerando i fattori negativi e quelli positivi senza escludere nulla. Serve lo sguardo della scrittrice brasiliana Adélia Prado, che durante un’intervista rilasciata il 6 dicembre 2013 nello stato di San Paolo, quando le è stato chiesto in quale momento la realtà quotidiana emerge come fonte di meraviglia e quando invece si limita a essere mera realtà, ha affermato: «Quando guardo un sasso e vedo solo un sasso sto vedendo l’apparenza. Quando il sasso mi confonde in un senso di straniamento e di bellezza ne sto vedendo la realtà, che non è mai soltanto fisica. L’apparenza dice poco».

Questo significa che tutti i problemi politici, sociali ed economici che l’organizzazione del campionato mondiale di calcio ha comportato in questi anni, e che sono giustamente nel mirino di tanti, non possono che addolorare gli appassionati di questo sport. Ma non si può negare che l’esperienza della Coppa comporti anche aspetti positivi: ed è per questo che può arrecare anche moltissime gioie.

Il tifoso di calcio è come qualsiasi altra persona: vuole vedere abilità, vuole vedere talento, vuole vedere improvvisazione, vuole vedere inventiva. Senza la scintilla dell’imprevedibile, senza quel dribbling geniale, senza il goal strepitoso, niente da fare. Il tifoso di calcio vuole incontrare qualcuno che sta dalla sua parte e fa il tifo insieme a lui o anche scherzare con il tifoso avversario. Il tifoso di calcio vuole condividere con gli altri gioie e dolori. Il tifoso di calcio vive di momenti belli e buoni. Che questa Coppa del mondo ce ne possa riservare tanti!