Un gruppo di volotari a Genova.

Il vero "mostro" da combattere

Nelle cronache, solo la ricerca del "responsabile". Preoccupazione lecita, ma intanto una ragazza di 15 anni chiede al padre di poter andare a spalare il fango. Cosa vuol dire educare i propri figli ora, in Liguria, dopo un'alluvione?

Penso di aver inizialmente vissuto la nuova alluvione - fortunatamente senza esserne toccato materialmente - con il turbamento di tutti i genovesi, che si sono sentiti di fronte a una sorta di ineluttabile appuntamento: Genova Sestri Ponente 2010, Genova Centro 2011, Cinque Terre 2011, Genova 2014. Amici che hanno salvato l’auto perché era parcheggiata dal lato "giusto" della strada, altri che l’hanno persa perché era nel solito garage, ma… «questa volta non ci hanno avvertiti!». Fatte le debite proporzioni, sembra di assistere a quelle scene di guerra, che la mia generazione ha visto solo nei film, in cui le famiglie si portavano ordinatamente nei rifugi per poi riprendere la loro vita, piangendo i morti ed i danni, una volta che l’allarme era cessato.

Ho cercato, forse stupidamente, l’appoggio nelle cronache dove invece che alla narrazione dei fatti, si lascia ampio spazio alla ricerca del “responsabile”, meglio ancora se si tratta di un “mostro” su cui scaricare ogni colpa e la rabbia. Ovviamente si tratta sempre di "un altro" da me e dalla propria parte politica o istituzionale. Ho quindi potuto osservare nuovamente la declinazione più becera del relativismo: l’affronto della realtà per opinioni, tutte diverse, tutte legittime, tutte giuste perché tutte banalmente fondate sulla scontatezza dei luoghi comuni: l’inconsistenza delle istituzioni locali, la lontananza di quelle centrali, i tempi della giustizia, l’incapacità di realizzare interventi seri e non emergenziali, la necessità che, questa volta, i responsabili paghino e i danneggiati siano risarciti.

Ma, a ben guardare, questa volta per me una novità c’è stata. La nostra prima figlia ha 15 anni ed è voluta andare, con i suoi amici, a spalare il fango. La scorsa volta erano stati i figli degli altri ad andare: un germoglio (potente e sorprendente) nel deserto che alleviava quello che vedevo, ma non interpellava la mia responsabilità di genitore. «Con chi vai?»; «C’è almeno un adulto?»; «Usa i guanti e cambiali se si rompono»; «State lontani dal Bisagno»; «Non scendete nei seminterrati»... La preoccupazione: lo stato d’animo dominante e più inutile di un genitore. Non siamo in grado di proteggerli da un raffreddore e pretenderemmo di proteggerli dalla vita stessa.

Salvati i ruoli che la natura ha affidato alla mamma («Comportati con giudizio e sii sempre reperibile») ed al papà («Vai»), mi è risultato evidente che, di fronte all’alluvione, come alle altre circostanze della vita, la prima responsabilità, sopra ogni altra, è quella educativa. Questi ragazzi sono mossi dal proprio cuore e dalla propria umanità. A partire da questo, hanno diritto alla loro e-ducazione, nel senso vero ed etimologico del termine. Hanno diritto di crescere e-ducati, scoprendosi, giorno per giorno, più (e non meno) uomini, più (e non meno) desiderati, più (e non meno) degni e capaci di un destino buono.

L’"opinionismo" è più pericoloso del "ricercato" responsabile dell’alluvione, dei suoi danni e delle inadeguatezze nostre e delle istituzioni. È il mostro che, facendo sembrare inutile e velleitario qualunque agire, qualunque tensione, e persino il nostro desiderio di felicità, addormenta le coscienze nostre e dei nostri figli fino a rendere inutile lo scoprirsi umani, solidali, operosi invece che cinici, pretenziosi e accidiosi.

Qualunque sguardo alla nostra storia, alle responsabilità che certamente vanno ricercate, che però non abbia come scopo e priorità quella di crescere e di educare, e che faccia inaridire il cuore dei nostri figli, è il vero "mostro da combattere". Anche con la sola inconsapevolezza possiamo, in un modo non meno grave, venir meno alla nostra responsabilità di far crescere l’umanità nostra e dei nostri figli.

Marcello, Genova