«La carità ti tira fuori dal mazzo»

Sabato 29 novembre è la Giornata nazionale di raccolta del Banco alimentare. Maria Grazia, insegnante di un liceo milanese, racconta cosa è accaduto a lei e ai suoi alunni dopo l'esperienza del Donacibo. «Perché è una proposta conveniente»
Maria Luisa Minelli

«La carità è uno che ti "tira fuori dal mazzo". Ti fa uscire dall’anonimato. Uno che dice: tu, con tutti i tuoi limiti, nel punto della vita in cui sei, vuoi spendere delle ore per capire di cosa veramente sei fatto? Per fare un’esperienza umana di te? Solo per questo, sabato prossimo, con i miei studenti, andrò alla Colletta alimentare». A parlare è Maria Grazia, professoressa di Italiano e Latino al Liceo milanese Leonardo da Vinci. Il 29 novembre, insieme ad altri professori e ragazzi, parteciperà alla 18° raccolta di cibo organizzata in tutta Italia dalla Fondazione Banco alimentare. E il perché risale ad una storia iniziata tempo fa. Proprio tra i muri di scuola...

Lo scorso marzo, nei giorni di cogestione, il suo liceo ha partecipato alla settimana del Donacibo. Era la prima volta che l’istituto aderiva all’iniziativa promossa dal Banco di solidarietà. E i risultati sono stati sorprendenti: quintali di prodotti non reperibili raccolti dalle novecento famiglie che ruotano attorno alla scuola. Era la settimana più "libera" dell’anno: nessuna interrogazione, niente compiti scritti, giorni in cui i ragazzi possono scegliere i corsi da seguire e alcune lezioni finiscono addirittura un’ora prima. Eppure, gli studenti hanno scelto di dedicare il tempo anche a questa proposta: una raccolta di alimenti destinati alle famiglie che non possono permettersi nemmeno i prodotti necessari a sopravvivere, oggi sempre più numerose.

A chiunque entrasse nell’atrio della scuola, lo spettacolo che si presentava era alquanto insolito: un via vai di studenti, genitori, professori e bidelli. Tutti coinvolti, nessuno escluso: chi donava del cibo e chi il suo tempo, per sistemare i vari alimenti negli scatoloni. All’ingresso, un banchetto di accoglienza. Da lì, alcuni "addetti" portavano pasta, legumi, zucchero, olio... in un’aula adibita a deposito. Insomma, una scuola trasformata in un grande alveare: ognuno, con il suo compito, partecipava ad un’opera grande.

«I ragazzi, si sa, non si muovono mai per caso. Seguono una proposta solo se conveniente», tiene a precisare Maria Grazia. Dunque, cosa li ha mossi? «Tutto è cominciato due anni fa, quando un fatto ha cambiato gli equilibri della scuola», racconta Maria Grazia: «A dicembre 2012 è morto Giacomo, un nostro allievo. Dopo un incidente sulle piste da sci». Tre mesi prima, era morto Gianni, il suo papà. «Da quel momento, è nato per noi un rapporto sempre più stringente con Monica, la mamma di Giacomo».

Già da tempo aveva cominciato a fare alcune proposte ai ragazzi. Vedova e mamma di sei figli, Monica è anche presidente dell’associazione Banco di solidarietà di San Giuliano Milanese: aveva chiesto alla classe di Giacomo di aiutarla nella distribuzione degli alimenti alle famiglie che ne avevano fatto richiesta. Erano andati quasi tutti. E l’anno scorso, anche se Giacomo, il suo figlio maggiore, non c’era più, Monica ha fatto alla scuola un’altra proposta, chiedendo di poter coinvolgere i ragazzi nell’iniziativa del Donacibo. È voluta andare personalmente, all’assemblea di istituto, per presentarla a tutti.

«Davanti a più di mille studenti e relativi insegnanti ho esordito dicendo che la storia che mi aveva condotto da loro era una storia nella quale io ho sempre cercato il buono, il bello e il vero in ogni occasione e in ogni circostanza», racconta Monica in una lettera inviata a Tracce (leggi qui) poco dopo l’accaduto: «Ho detto loro che il motivo per cui desidero mettere insieme gli alimenti è lo stesso motivo che tutte le mattine mette insieme me stessa e rende lieta la mia giornata, pur in mille fatiche e difficoltà».

«L’adesione è stata fin da subito straordinaria», riprende Maria Grazia. Monica ha organizzato una cena per tutti coloro che erano interessati a coinvolgersi direttamente. Più di cinquanta ragazzi, senza contare i tanti professori. «Ci aveva invitati a casa sua, ma ha dovuto affittare una sala».

«La sua presenza a scuola sta cambiando molti», dice Maria Grazia. «Lei si rivolge a tutti i ragazzi senza fare distinzioni. La seguono adolescenti di ogni "schieramento" e appartenenza: Collettivo, Gioventù Studentesca, qualunquisti, nichilisti... Ci sta insegnando a guardare l’altro senza pregiudizi». Ha introdotto un metodo da cui non si può tornare indietro: «È come se ci dicesse con ogni suo gesto: "Amici miei, siamo fatti per il bene, che è lo stesso per me e per te". Questi ragazzi hanno trovato affascinante la presenza di Gesù che passa attraverso la sua umanità ferita».

Era quello che aveva chiesto nel saluto dopo il funerale di Giacomo: «Sia la nostra ferita aperta sempre sanguinante, perché possiamo vivere ogni istante della nostra vita con la coscienza che siamo fatti per il bene». Lo sta facendo vedere, Monica, e di questo i ragazzi si accorgono, e si fidano. Ecco perché tutti quegli alimenti raccolti, ecco perché un gruppetto l’ha seguita anche al Berchet, per portare pure là l’iniziativa del Donacibo. «È per l’esperienza della carità che i ragazzi si animano», racconta Maria Grazia: «E non sono cambiati solo loro, ma anche il mio modo di guardarli. Ora sono contenta solo se li guardo con la stessa integrità e trasparenza che sto vedendo attraverso di lei».

Un esempio: «Un mio alunno fa fatica a scuola. Quando si è trattato di decidere in quali giorni concedere agli studenti le aule per lo studio pomeridiano, ho pensato: perché non chiedere prima a lui quali pomeriggi preferisce? Questa attenzione per me non è scontata, e l’ho imparata anche grazie a questi gesti in cui siamo stati coinvolti». Un modo di guardare i ragazzi che è "puntare" ciascuno di loro, e accoglierlo, così com’è. Tirarlo fuori dal mazzo.