Giulio Sapelli.

«Potrebbe essere un'occasione»

All'indomani della vittoria del partito di Alexis Tsipras, dialogo con Giulio Sapelli, docente di Storia economica a Milano. Che non teme i radicalismi di Syriza, ma vede una possibilità di lavoro anche per l'Unione: «Sarà un percorso lungo»
Davide Perillo

Preoccupato? «No, per me è una cosa positiva. E può diventarlo ancora di più se si apre un certo tipo di percorso». Syriza ha vinto le elezioni (149 seggi su 300), Alexis Tsipras ha appena annunciato «l’addio alla Troika» e l’Europa aspetta con una certa apprensione di vedere che piega prendono Borse ed euro, ma Giulio Sapelli, docente di Storia economica alla Statale di Milano da sempre critico verso l’euro-austerità, non dà molto credito alle paure, anzi. «Vede, la vera questione su cui ci sono stati molti equivoci in queste settimane è se Tsipras sia un radicale di sinistra o realista».

E lei cosa risponde?
Che Syriza, in realtà, ha un gruppo dirigente molto maturo e realista. Nulla a che vedere con quello che vediamo in Italia tra i movimenti. Syriza nasce da un lavorío intellettuale dell’ex Partito comunista, vicino all’eurocomunismo, che ha rotto da tempo con gli staliniani e la sinistra estrema. Sono intellettuali, scrittori, economisti che a un certo cooptano questi giovani che arrivano dai movimenti. Tsipras era leader di un movimento studentesco. Ma non c’è il rischio di un radicalismo. E poi c’è un altro aspetto importante.

Quale?
È la prima volta che si vota su un programma europeo. E la Grecia ha votato contro un’Europa che ha perso la sua anima. Mi colpisce che la prima riunione europea dopo questo voto sia tra Bce, il commissario e il presidente della Commissione. Il Parlamento europeo non è stato neanche convocato. Ormai c’è una separazione forte tra burocrazia europea e popolo. La poliarchia europea sta diventando qualcosa in cui i poteri economici, in questo caso addirittura pubblici, prevalgono sui parlamenti. E questo non si può ammettere. Il voto greco è una conseguenza.

Cosa succederà adesso?
Non ci sarà un’uscita dall’euro, non l’hanno mai chiesta. Faranno quello che dovremmo fare tutti: chiederanno di rischedulare questi debiti, provocati da sprechi ed errori ma anche gonfiati dai colossali finanziamenti europei del passato alla spesa pubblica. Ma spero che la Grecia apra la strada a un ripensamento dell’Europa. Perché le politiche scelte fin qui - aumentare le tasse e la disoccupazione quando c’è la crisi - non portano da nessuna parte.

Ed è realistico che accada ora?
Non so. È già positivo che si apra un dialogo, anche perché non ci sono alternative. Ma la negoziazione sarà difficile: non vedo la Germania molto incline a ripensamenti. Se ci pensa, le dichiarazioni del governatore della Banca centrale tedesca nel corso degli exit poll greci sono un fatto grave…

Quindi cosa succederà?
La Germania vede un po’ scalfire il suo dominio sull’Europa. Ma non credo che Francia, Italia e altri Paesi possano approfittarne troppo. Il vero pericolo è il blocco tra la Germania e i Paesi ex comunisti. L’odio che hanno verso l’ex Unione sovietica li ha portati a forzare molto un’alleanza con l’asse teutonico-nordico. Si negozierà. Sarà un lungo bargaining.

E nel frattempo i mercati e l’euro?
Sull’euro non ci saranno conseguenze. Lo hanno detto tutti, anche i falchi. Sa, lì conta molto come metti in fila le frasi: «Rimarranno nell’euro, ma devono fare le riforme...». Tutti sanno che non conta niente il 2 per cento del Pil, che è il valore del Pil greco rispetto alla zona-euro. Però conta il momento psicologico. Se poi in Spagna vincerà Podemos, come credo, cosa capita se non apriamo trattative? Davanti alla minaccia dell’Isis, o a una Russia che diventa sempre più aggressiva, se non si trova una negoziazione…

Secondo lei, quindi, è l’inizio di un ripensamento dell’Unione?
Sì, ma sarà un percorso lungo. Lo dice anche il risultato di ieri. Nea Democratia ha preso il 28%. Vuol dire che quasi un terzo dei greci, dopo anni di fame e austerità, ha votato per l’Europa tecnocratica. E tra i motivi c’è il fatto che la Grecia è stata inondata di finanziamenti europei: una valanga di soldi e sprechi, di cui hanno beneficiato tutti. Adesso fanno tutti i rigoristi, ma in passato l’Europa è stata una specie di gigantesca Cassa del mezzogiorno, con le banche che hanno fatto miliardi. Prima dell’austerità c’è stata una politica non calibrata di spesa, alimentata dal duopolio franco-tedesco. Poi la crisi è arrivata e hanno adottato la soluzione peggiore: aumento delle tasse e restringimento della spesa pubblica. Ora bisogna cambiare. Ma ci sono ancora molte resistenze da parte ci chi è affezionato a quel sistema.

E l’Europa non perderà la Grecia…
Economicamente è possibile tutto: la Grecia pesa poco, appena il 2 per cento del Pil europeo, appunto. Ma nonostante quello che hanno fatto i tecnocrati europei con i loro esperimenti, c’è ancora un po’ di buonsenso nelle cancellerie. Non credo ci siano pericoli. Certo, si apre un periodo molto interessante. Spero che porti alla revisione dei trattati.