L'iniziativa del Donacibo in un istituto di Fano (PU).

«E a guadagnarci, più di tutti, sono io»

L'appuntamento, dal 9 al 14 marzo, in oltre duemila scuole. Protagonisti, i 350mila studenti che, insieme a volontari e insegnanti, hanno collaborato alla tradizionale raccolta di alimenti. Per imparare la carità, cioè «fare del bene anche a me»
Federico Napoletano

Una settimana di carità. Basterebbe questo a sintetizzare quanto è successo in molte scuole di Italia dal 9 al 14 marzo. L’iniziativa del Donacibo, promossa dalla Fondazione Nazionale Banchi di Solidarietà, è giunta alla nona edizione e ormai per molti è un appuntamento imprescindibile durante l’anno scolastico.

Un gesto che prende le mosse nel 2007, dall’intuizione di alcuni insegnanti. «L’idea era quella di condividere con dei ragazzi un gesto di caritativa», spiega Andrea Franchi, presidente della Fondazione dei Banchi di Solidarietà: «Andando a rispondere a un’esigenza concreta di molte famiglie, la povertà alimentare, si voleva far capire cosa si cela dentro la dinamica del bisogno. E siccome la carità, per essere vera, ha bisogno di essere condivisa, perché non proporla a chi ci è accanto tutti i giorni? I propri studenti, per esempio, come accadde allora».

Da allora, il Donacibo “cade” tradizionalmente durante la terza settimana di Quaresima, con una dinamica simile a quella della Colletta Alimentare. Solo che, in questo caso, i generi alimentari non vengono raccolti nei centri commerciali o nei supermercati, ma negli edifici scolastici, portati da casa dai ragazzi e dalle famiglie. «Fin dall’inizio abbiamo dovuto fare i conti con la disponibilità degli istituti», aggiunge Franchi. Non sempre, infatti, le scuole aderivano, soprattutto all’inizio. Ma col tempo il numero delle partecipazioni è aumentato.

Quest’anno hanno partecipato 350mila studenti in più di duemila istituti. Dai bambini di quattro anni della scuola materna ai diciannovenni delle superiori, i protagonisti della settimana sono stati proprio i ragazzi, che si sono impegnati contribuendo alla raccolta, spesso implicandosi in prima persona nella gestione dell’iniziativa. A dare una mano, anche un volontario del Banco di Solidarietà, per spiegare a ragazzi e docenti i motivi di un’iniziativa del genere, e quali fossero gli alimenti più richiesti e a chi sarebbero stati destinati. Durante la settimana, poi, in diversi punti della scuola rimanevano posizionati degli scatoloni, nei quali è stato raccolto il donato.

Nell’edizione di quest’anno si è voluta sottolineare particolarmente la centralità del bisogno umano. Prendendo in prestito le parole di don Giussani, il volantino di promozione della campagna metteva in luce quanto questo sia importante per la felicità dell’uomo. Si tratta di un punto decisivo nell’esperienza del Donacibo, perché, sottolinea Andrea Franchi, «dietro il concetto di bisogno si può nascondere una grande ambiguità: noi potremmo infatti essere portati inconsapevolmente a compiere un gesto di carità per risolvere i problemi degli altri. Ma così arriviamo, senza accorgercene, ad avere delle pretese su chi aiutiamo, a forzare la realtà al nostro progetto. E un aiuto di questo genere non serve a nulla, né a loro né a noi stessi. Sarebbe semplicemente un mettersi a posto la coscienza. La vera alternativa è, invece, tenere a mente che il primo bisogno è il mio, perché solo da questa consapevolezza emerge lo scopo educativo di un’iniziativa come questa».

Sono i ragazzi coinvolti i primi ad accorgersi di questo. Come racconta uno studente del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Milano: «Ho capito che la proposta del Donacibo non è solo un bel gesto, interessante, ma staccato dal quotidiano. Nient’affatto. In quella settimana, nonostante tutto il tempo che ho impiegato nell’organizzazione, ho visto che riuscivo a studiare meglio, mi impegnavo di più negli allenamenti di calcio, stavo meglio in famiglia. Perché quando uno ha in mente il proprio desiderio di felicità, quando ha un’intuizione positiva, vive meglio ogni cosa». E l’evidenza di questa dinamica arriva a cambiare persino il rapporto con i professori. Come racconta ancora quel ragazzo: «Con loro ho avuto per cinque anni di liceo un rapporto difficile, perché mi infastidiva il fatto di poter essere giudicato come un numero e non come una persona. In questa settimana, invece, ho visto che tutti, bidelli, insegnanti e studenti, partecipavano al gesto nel modo più semplice, gratuito, e vero possibile. Ho notato un modo di guardarsi da uomini, a prescindere dal tipo di persona che si ha davanti».

Altro pilastro della settimana del Donacibo sono i volontari che si mettono a disposizione per guidare e coordinare i ragazzi. La difficoltà, come sottolineano spesso, sta nel far capire che non si tratta soltanto di una buona azione, di una semplice attività di volontariato. Come racconta Andrea, uno di loro: «Non servono grandi discorsi. Sono andato in due scuole. Nella prima, mentre raccontavo dell’esperienza del Donacibo, ho visto che c’era uno studente di origine pakistane in ultima fila. Prima ancora che finissi di parlare, mi ha guardato col sorriso dicendomi che avrebbe aderito. Mi ha spiegato dopo l’insegnante che la sua famiglia riceve periodicamente a casa il pacco. Oppure, in un istituto tecnico industriale, sono stati gli studenti a correggere la professoressa dicendo che “i poveri non sono solo coloro che non hanno soldi”. Siamo arrivati alla conclusione che, in realtà, “i poveri sono le persone a cui mancano le emozioni”».

E gli insegnanti? Anche per loro, magari senza l’immediatezza dei ragazzi, l’esperienza del Donacibo spesso è la possibilità per capire cosa sta al fondo del bisogno umano, e magari per riscoprire qualcosa di se stessi. Come racconta ancora Andrea, il volontario, che, dopo aver fatto un giro delle classi in una media a presentare la cosa, si è visto correre incontro una prof: «La ringrazio, perché mentre leggeva in aula la frase di don Giussani sul volantino mi è sobbalzato il cuore. Parole care, già sentite. Quando da ragazza avevo seguito per qualche tempo il movimento di CL…».