La Loyola High School, in Quebec.

La piccola (grande) conquista del Canada

Dopo sette anni di scontri e duro lavoro per difendere il diritto all'educazione religiosa, la Corte Suprema si pronuncia a favore della Loyola High School. Un grande passo per il Paese. Ma questo verdetto dice molto di più...
John Zucchi

Giovedì scorso, alle 9.45 del mattino, la Corte Suprema del Canada ha emesso la sua sentenza in merito al caso Loyola High School e John Zucchi contro l’Avvocatura Generale del Quebec. Si è conclusa così una battaglia durata sette anni che ha attraversato tre gradi di giudizio. L’oggetto specifico della causa riguardava il diritto del Ministero dell’Educazione, Sport e Tempo libero del Canada di imporre a un istituto religioso privato un insegnamento della fede, dell’etica e della morale cattolica a partire da una posizione “neutrale”. L’istituto, e io in quanto genitore, abbiamo ritenuto che questo costituisse una limitazione della libertà religiosa. I sette giudici della Corte Suprema che hanno esaminato il caso hanno concordato con noi all’unanimità.

La decisione, tuttavia, ha implicazioni più vaste. Oltre a confermare l’importanza della libertà religiosa, i giudici hanno manifestato alcune aperture nella direzione di un maggiore rispetto della religione nella società canadese.

Innanzitutto, la Corte sancisce che lo Stato non può condizionare un istituto religioso imponendogli come esso debba insegnare i principi e i fondamenti del suo stesso esistere, sia pure solo per due ore a settimana. E questo significa concretamente un chiaro riconoscimento della libertà religiosa fuori da ogni ambiguità.

In secondo luogo, una delle domande che avevamo posto alla Corte era se, secondo la Carta dei Diritti del Canada, un gruppo, una istituzione, o un ente giuridico religioso potesse essere considerato un soggetto con diritti pari a quelli di un singolo individuo. Tre giudici su sette (ossia quelli che concordano con la maggioranza per quanto riguarda i punti sostanziali, ma che, nell’insieme della decisione, hanno posizioni diverse rispetto ad alcuni dettagli), sono d'accordo sul fatto che abbia tali diritti. E anche la maggioranza conferma che «lo Stato riconosce la libertà religiosa dei singoli individui e delle comunità». Ciò è di grande importanza, perché per la prima volta dall’introduzione della Carta dei Diritti del 1982 la Corte Suprema si pronuncia in merito ai diritti religiosi di comunità e gruppi.

In terzo luogo, questa decisione segna un allargamento dell’orizzonte nell’identificazione dell’importanza della religione. La Corte non intende avventurarsi nel campo della filosofia o della teologia, e in passato ha cercato di mantenere il suo approccio alla religione a un livello estremamente semplice. In una circostanza importante ha parlato della religione come «sincera credenza», collocandola quindi a un livello più prossimo a quello della coscienza. Nel nostro caso, la Corte Suprema ha fatto riferimento in chiave positiva a un’argomentazione del giurista Richard Moon. Il professore di Diritto aveva sostenuto che dietro alla richiesta di neutralità dello Stato «vi è la concezione di un profondo radicamento delle credenze e dell’impegno religioso (o dell’impegno come un elemento dell’identità del singolo), piuttosto che come semplice esito di una scelta o di un giudizio. La credenza religiosa, invece, si colloca al centro della visione del mondo del singolo individuo. Essa è fonte del suo orientamento nel mondo, dà forma alla sua percezione dell’ordine sociale e naturale, e fornisce un quadro morale per il suo agire. Inoltre, la credenza religiosa lega il singolo a una comunità di credenti ed è spesso la forma di relazioni interpersonali più importante per la sua vita». Questo è un significativo riconoscimento dell’importanza della religione nella vita della persona. Non la riduce a una semplice opzione di pochi elementi particolari della popolazione.

Quarto, la decisione dice qualcosa riguardo all’importanza dei diritti dei genitori nell’educazione religiosa dei figli. La decisione riguarda infatti una scuola privata cattolica, e afferma che quando lo stato impone una posizione neutrale a una scuola di questo tipo esso «interferisce con il diritto dei genitori di trasmettere la fede cattolica ai propri figli… perché impedisce una presentazione cattolica del cattolicesimo». Questo lascia aperta la questione sul perché dei genitori credenti che vogliono educare i propri figli nella fede e li mandano nelle scuole statali non debbano godere della stessa tutela.

Nel complesso, credo che questa decisione segni una grande vittoria, non solo per la scuola o i genitori, ma per il Ministero del Quebec, per il Quebec e il Canada in generale. La sentenza ha chiarito che in una società plurale non bisogna far tacere una voce ragionevole, in questo caso una voce cattolica che desidera educare i figli secondo una prospettiva particolare. Questa voce trova espressione non solo a livello individuale e privato, ma anche attraverso gruppi, associazioni e istituzioni.

È stato per me un privilegio trovarmi coinvolto nel caso in questi anni. Ho avuto la fortuna di vivere un’amicizia sempre più profonda con i responsabili della scuola, gli avvocati e le altre persone coinvolte, perché tutti hanno lavorato con un’ottica positiva, senza cedere mai a battaglie isteriche contro presunti nemici, ma sempre cercando il dialogo con le persone che erano su posizioni diverse nel dibattito. Da ciò ho imparato molto riguardo a cosa significa lavorare con un gruppo di persone che non vogliono combattere crociate ideologiche, ma che hanno il desiderio di vivere e impegnarsi nella società.

Il responsabile (ora ex-responsabile) della scuola, Paul Donovan, sin dal principio ha chiarito che la Loyola desiderava lavorare con il Ministero dell’Educazione e non contro di esso. Questo è apparso evidente nel nostro percorso attraverso i vari gradi di giudizio, in cui c’è sempre stato un rapporto molto cordiale - per non dire fraterno, in qualche occasione - fra noi e i rappresentanti del Ministero. Come ho dichiarato in conferenza stampa, non ho iscritto mio figlio alla Loyola High School per rinchiuderlo in un ghetto cattolico. Quello che apprezzo in questa scuola è che essa si pone davanti al mondo con una sua precisa identità. Questo è ciò per cui la scuola ha combattuto in questa occasione, e il fatto che la Corte Suprema abbia compreso le nostre ragioni fa ben sperare per il futuro. Ciò non significa che non ci saranno altre difficoltà da ora in poi, ma la Corte ha confermato un principio importante, e non è cosa da poco.