Un barcone carico di profughi.

«Guardarli negli occhi è la chiave di tutto»

Centinaia di morti. Ancora. Ma la tragedia di sabato scorso «era annunciata». Parla Carla Trommino, avvocato immigrazionista di Siracusa che dal 2013 si occupa dei minori sbarcati in Sicilia
Paolo Perego

«Era tutto annunciato. Si sapeva benissimo che l’operazione europea di pattugliamento Triton non poteva assicurare quello che aveva fatto la Marina italiana con Mare Nostrum. E che l’Europa non aveva intenzione di dare garanzie in questo senso. La situazione esplosiva in Libia è sotto gli occhi di tutti da mesi». Carla Trommino è un avvocato immigrazionista di Siracusa. Da qualche anno segue da vicino le vicende dei migranti che attraversano il Mediterraneo alla volta dell’Italia, e ha fondato, nel 2013, un’associazione, AccoglieRete, che si occupa di dare una tutela legale ai minori non accompagnati che sbarcano sulle coste siciliane. E oggi, sconfortata, guarda alla tragedia di sabato scorso, quella in cui hanno perso la vita 700, 800, forse 900 persone. Non si saprà mai con precisione.

L’ennesima tragedia alle porte dell’Italia. Sembra che non cambi mai nulla, nonostante di sbarchi e migranti dal Nord Africa si parli da anni. È frustrante…
Sì, perché la politica conosce da tempo gli strumenti per farvi fronte. Sono state sviscerate, proposte e vagliate tante soluzioni, dai canali umanitari ai tavoli con i Paesi africani... Insomma, nessuno può cascare dal pero. Questo lascia perplessi. C’è poco da dire. I rischi di quello che si stava facendo a livello di politica nazionale e comunitaria li conoscevamo tutti. Forse l’unica cosa che mancava era smentire la convinzione che una operazione come Mare Nostrum, stoppata dal Governo in autunno, faceva aumentare gli arrivi.

Non è così?
Le statistiche del 2015 dimostrano che non è diminuito il numero di migranti sbarcati sulle nostre coste: solo tra gennaio e marzo sono stati più di 22mila, contro i 20mila dello scorso anno con Mare Nostrum. E ad aprile ancora di più, con 1500 sbarchi al giorno solo nell’ultima settimana. Non ci sono più alibi. A questo punto le domande arrivano da sole, e a volte ti viene da pensare che a qualcuno, in fondo, vada bene così. In Parlamento si discute la proposta di istituire un memorial day il 3 ottobre (nello stesso giorno, nel 2013, affondava a poche miglia da Lampedusa una barca carica di profughi: ci furono oltre 350 morti; ndr) a ricordo delle tragedie del mare legate ai migranti. Nel frattempo, non ci si adopera perché queste tragedie non si ripetano. Una cosa sola ha fatto il Governo alla voce immigrazione: chiudere Mare Nostrum. Col risultato che vediamo. Per il resto? Confesso di essere rimasta scioccata a sentire il Premier, a poche ore dalla notizia, chiedersi come sia possibile rimanere indifferenti, per poi aggiungere: «Ma questo è il dramma e la bellezza della politica». Solo che l’unico dramma è quello di quella gente, non certo di chi ha il potere di provare a impedire queste morti.

È solo inerzia?
Ci sono domande che tutti dovrebbero iniziare a porsi e indagare. Per esempio, quali rami dell’amministrazione e della politica riescono a corrompere questi traffici? Dove riescono ad arrivare? Mi ha fatto riflettere molto una cosa che ho sentito in questi giorni, e che anche io ho registrato in alcuni racconti dei migranti: a periodi, ci sono alcuni che vengono costretti a partire anche se non hanno pagato il viaggio. Soprattutto ultimamente. È un modo che i trafficanti usano per fare pressione sui Governi che li devono accogliere.

E intanto bisogna accogliere questa gente…
Ora stanno sistemando i nuovi arrivati nella Sicilia occidentale. Da noi, a Siracusa, dove già sono molti, la situazione è stabile. Anche Ragusa è piena. E poi si stanno aprendo dei nuovi centri… La cosa grave in tutto ciò è che ci ritroviamo sempre senza un piano organico, senza una struttura, senza un sistema che funzioni davvero. Risposte sempre estemporanee.

Perché accade questo?
Il mio pensiero è che rimanere in “emergenza” sia la condizione migliore per lucrare, per fare le cose senza il controllo, senza gare d’appalto, senza troppi vincoli. E questo è terreno fertile per corruzione e malaffare.

Ma bastano i Governi a rispondere?
Come dice il Papa, è una questione che non riguarda l’Italia o Malta. E neppure solo l’Europa: è molto più ampia. Devono intervenire anche le Nazioni Unite. Devono assumersi questa responsabilità. Non basta la normale attività dell’Unhcr, l’agenzia che si occupa dei rifugiati. L’Onu deve mettersi in prima linea con un impegno maggiore, anche economicamente.

Di cosa stiamo parlando?
Della necessità che ci sia una migrazione fatta di flussi controllati. Quando parliamo di “mare sicuro”, parliamo anche di questo. Corridoi umanitari per i profughi identificati ancora prima di partire, visti rilasciati dalle ambasciate in Africa per chi cerca un lavoro e ha un gruzzolo per permettersi di venire da noi, invece che darlo ai trafficanti… Questo, nell’ottica di chi “accoglie” e che può aver timori e preoccupazioni, permette anche una maggiore sicurezza. Perché tu sai chi entra nel tuo territorio e lo puoi controllare.

Insomma, bisogna dare una mano a chi lascia la propria terra alla volta dell’Occidente?
La migrazione non si ferma. È un dato. Storico, non solo del passato recente. Questa gente arriva. Per fermare i traffici incontrollati, intanto, sarebbe necessario aprire canali umanitari nei Paesi di partenza, prima che queste persone arrivino in Libia, prima che finiscano al macello. E poi, perché non fare come con gli scafisti albanesi negli anni Novanta, quando andammo a distruggere gommoni e barche sulle loro spiagge? Dall’altro bisogna accompagnare e trovare un’alternativa per chi scappa. Serve rendere la mobilità possibile, sicura e sostenibile. E farlo con l’Europa e le Nazioni Unite. Mentre se l’assunto di fondo continua a essere “blocchiamo, chiudiamo”…

È un’ipotesi che spaventa e preoccupa. Lo vediamo nelle polemiche, vecchie e nuove, di questi giorni. Il Papa, domenica, ha invitato a «guardare» quelle persone, che «come noi cercano la felicità”.
Lui parla al cuore delle cose, nella sua semplicità. Lui è così. Ma è vero. Noi le conosciamo, queste persone, ormai fanno parte delle nostre vite. Dobbiamo guardarli negli occhi, tanti lo hanno detto. Non è questione di coraggio, ce li hai davanti. Forse per noi siciliani, per come siamo, è anche più semplice: è una realtà che viviamo quotidianamente. Ma guardarli negli occhi, conoscerli, è la chiave di tutto. Perché, conoscendoli, tu ti riconosci: come loro. Cerchiamo di seminare pace, almeno noi, in un clima che già è difficile tra guerre e terrorismo. Cominciamo a chiedere aiuto alla Comunità internazionale, almeno perché le famiglie di quella gente possano riunirsi: serve la lista di chi era su quell’imbarcazione, perché tutti abbiano un nome, e un funerale. Perché tutto il dolore che ci sta attorno esista, e non sia nascosto o censurato.