Il libro dedicato a Giovanni Calzone.

Quel bisogno «sotterraneo»

«Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?». È la domanda su cui, quest'anno, la kermesse riminese scommette tutto. L'abbiamo rivolta ad alcune personalità. Qui la risposta di Rita Calzone
Alessandra Stoppa

«Che contraccolpo la prima volta che l’ho letto!». Il verso di Mario Luzi che dà titolo al Meeting ha colpito molto Rita Calzone, «soprattutto la seconda parte: a un tratto ne sei pieno». Ha 54 anni, vive a Napoli ed è biologa genetista, studia i cromosomi delle persone affette da malattie rare. Dice netta che nella sua vita la mancanza è «un bisogno permanente, e sotterraneo». È presente in tutta la giornata, anche la notte, quando a volte si sveglia. «Un senso di bisogno che è sempre lì. Ma me ne rendo conto quando, d’improvviso, c’è un accento di quel pieno che me lo richiama: qualcosa che accade, un incontro, una lettura... Qualcosa che accade e fa sussultare il cuore: questo mi fa riaccorgere della natura del bisogno di cui è pervasa la mia vita».

Il sussulto del cuore, quando d’un tratto è colmo, «rivela quello che c’è sempre: l’attesa», dice Rita. Nella sua vita ha scoperto l’oggetto di questa attesa, per la prima volta, quando è morto suo fratello Giovanni, a 26 anni. Aveva da poco iniziato a insegnare Filosofia in un liceo classico di Napoli, quando ha avuto un incidente d’auto. «Lì ho conosciuto davvero mio fratello ed ho incontrato Cristo. Attraverso quello che mi è successo nel 1988 ho compreso il senso del versetto: Trasformerò il vostro lutto in gioia».

Giovanni, sei anni prima, aveva incontrato il movimento di CL. In quel ragazzo era esplosa un’intensità di fede che ha generato tanto, nel tempo, e che continua (la si tocca con mano in un libro che raccoglie gli appunti, le annotazioni di Giovanni e che prende il titolo da una sua frase: «Si prospettano giorni felici, perché ho chiesto al Signore di poterLo servire»). Ma Rita non aveva mai voluto sapere niente degli inviti del fratello. Il movimento l’ha incontrato con la sua morte.

«Quando vivi la mancanza di una persona che ami, o comunque una circostanza, un rapporto che non è come vorresti», continua Rita, «hai due possibilità: o ti fissi sull’oggetto che ti manca, sulla forma di rapporto con quella persona, e la vita diventa disperazione, oppure puoi accorgerti che quella mancanza è mancanza del senso della vita, bisogno di bene per te e per gli altri».

Racconta di scoprirlo, ad esempio, con le persone care, da cui talvolta si può rimanere delusi. «Ci si attacca alla forma delle cose. Ma quella ferita, ogni ferita, è preziosa, perché è strumento: fa accorgere che l’attesa è attesa di Cristo. Il bisogno vero che si è. E che è sempre lì, sotterraneo». Scriveva Giovanni: «Vivere non è mai banale, se si pensa che l’Infinito è misterioso e potente e sconvolge tutti i nostri idoli, anche quelli più persuasivi (...). La buona volontà non basta. Si deve partire per un’avventura in cui chi calcola le cose non sei tu».