Le code al bancomat.

Il "no" greco e la mia ricerca

Gli scenari politici, le preoccupazioni del popolo, i tanti discorsi ideologici. E oggi l'esito del referendum, con la vittoria dei contrari. Rosaria, da Larissa, a nord di Atene, racconta quella notte che non riusciva a dormire. E la sua speranza
Alessandra Stoppa

«Per me è una notizia molto triste». È la mattina “dopo”. Dopo il referendum e la vittoria del “no”. «Speriamo che non ci siano conseguenze irriversibili», dice Rosaria, sposa e madre di due figli, dalla sua casa a Larissa, a nord di Atene, nel cuore della Tessaglia. Ieri lei è andata a votare e ha votato “sì”. Una grande domanda sull’Europa, su cosa significhi farne parte e sulla sua utilità, ce l’ha anche lei, ma non c’entra nulla con «i tanti discorsi ideologici a cui abbiamo assistito in occasione di questo referendum».

Il quesito sulla scheda alle urne era un “sì” o un “no” al programma di austerity dell’Unione europea. «Posto così, è parziale e ambiguo». E il risultato è stato netto e storico: il 61,31% ha votato contro l’accordo con i creditori (il 38,69% ha votato “sì”, su 6.161.140 di elettori, ovvero il 62,5% degli aventi diritto). E ora è il caos di scenari e commenti, in attesa del vertice franco-tedesco di stasera e dell’Eurogruppo di domani, tra le dimissioni del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, le reazioni degli altri Paesi, le feste in piazza, la paura sui mercati.

Nelle scorse settimane è stata dura. «Scene che hai sempre visto sui giornali, da Paesi lontani, te le trovi davanti in carne e ossa», continua Rosaria. Le code interminabili ai bancomat, le banche chiuse e la gente che poteva prelevare al massimo 60 euro al giorno. I cortei di giovani che urlavano «No!» all’Europa. I timori, talvolta il panico, e molta rassegnazione: «Tanta gente dice solo: “Dentro o fuori dall’Europa, cosa cambia? La fame facciamo e la fame faremo”». È questo che preme a Rosaria: «Al di là di tutto, la realtà è che parte di questo Paese è in ginocchio». La disoccupazione è al 27% e si attesta oltre il 50 tra i giovani; l’Unicef stima che circa 600.000 bambini greci vivono già sotto la soglia di povertà e il 90% delle famiglie nei quartieri più poveri deve affidarsi alla banca del cibo e alle mense della carità. «Il popolo-popolo non è che non vuole pagare i debiti: non ha i soldi per vivere», continua Rosaria. È una ferita tutto quello che è stato detto sulla Grecia in questo tempo, le accuse fatte al suo Paese di aver vissuto per anni sulle tasche degli altri: «Mio marito è medico. Si alza alle sei di mattina e torna alle dieci di sera. E, come lui, tantissimi altri. Non si può negare che ci sia stata tanta corruzione, che siano stati fatti tanti errori, ma anche l’Europa ha le sue responsabilità, perché per anni ha chiuso gli occhi. E il popolo, noi, abbiamo le nostre, innanzitutto perché abbiamo votato i nostri governanti».

Domenica scorsa, era a casa da sola. Ha guardato i telegiornali fino all’una di notte e quando è andata a letto ha iniziato ad agitarsi: il pensiero del conto in banca che lei e suo marito non hanno chiuso, come tanti hanno fatto per sicurezza; la paura di perdere i soldi; la preoccupazione per le spese del prossimo anno, quando il figlio maggiore avrà l’esame di maturità e avrà bisogno di lezioni private: «Qui in Grecia le famiglie si indebitano mandando i ragazzi in istituti pomeridiani, perché le scuole non preparano».
Così la testa si affollava di pensieri e lei non riusciva a prendere sonno. Allora si è alzata: «Ho proprio pregato: Signore, dai pace a questo cuore, aiutami a non andare nel pallone, perché questa ansia non mi corrisponde». Si è seduta in salotto e, mentre era lì, gli è caduto lo sguardo su un libro: L’imitazione di Cristo. Apre senza pensarci, pag. 229, e legge: Che cos’è mai la fiducia che ho in questa vita? Qual è il mio più grande conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei forse tu, o Signore, mio Dio d’infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene senza di te; quando mai ho avuto male con te? Voglio essere povero per te, piuttosto che ricco senza di te; voglio restare pellegrino su questa terra, con te, piuttosto che possedere il cielo, senza di te. Giacché dove sei tu, là è cielo; e dove tu non sei, là è morte ed inferno. Sei tu il mio desiderio ultimo. «Quella notte il Signore mi ha risposto così. Io ho fatto silenzio ed è tornata la pace. Non che non ci sia più la preoccupazione, ma è drammatica, non è soffocante».

Se guarda sé e gli altri, Rosaria si rende sempre più conto che la crisi economica sta facendo venire fuori una crisi più profonda: «Abbiamo perso di vista il Mistero». Ieri l’ha chiamata la madre di un amico di suo figlio, per un caffé. Prima di andare, si è sorpresa a pregare che quel tempo non fosse «buttato via», che non fosse «banale». Arriva all’appuntamento con Eleni, una donna sempre vitale e brillante, ma che appena si siede al tavolino scoppia a piangere. Rosaria pensa subito alla preoccupazione dei soldi. «No guarda, non c’entra nulla. È che mio marito se n’è andato di casa un anno fa. Ma erano già anni che stavamo insieme solo per i figli...». Inizia un dialogo fittissimo, in cui Rosaria le mette il cuore in mano e le racconta la crisi che ha vissuto lei con suo marito, anni fa. «Le ho detto tutto quello che ho attraversato, fino all’essermi accorta che il problema era uno: io pretendevo che mio marito colmasse il vuoto che vivevo». Eleni piange commossa: «Nessuno mi aveva mai detto queste cose. Mi hanno consigliato di andare dallo psicologo...». «Il mio aiuto più grande», le dice Rosaria, «è la compagnia che ho trovato». Le racconta del movimento e le dice che, se vuole, la sera le porterà a casa un libro.

Ma quella sera ha un imprevisto e non riesce ad andare da lei. La mattina dopo, alle 9.10, suonano alla porta: «Rosaria, mi dai quel testo?». Rosaria guarda Eleni senza parole. Può solo ringraziarla. «La grande difficoltà economica», dice Rosaria, «la paura del domani, il caos che stiamo vivendo porta a galla tutte le nostre povertà. Ma, soprattutto, questa ricerca». La ricerca di Eleni, che era assetata e non poteva aspettare.