«A casa o in cella, ci riguarda tutti»

La lettera di Francesco in vista del Giubileo della Misericordia. E quel pensiero ai detenuti. Parole «preziose e che fanno respirare», rilette da chi "dietro le sbarre" ci lavora da tanti anni
Nicola Boscoletto*

Ho incontrato in questi due giorni molti amici detenuti e voglio anch’io dire come ho reagito alla lettura della Lettera del Papa all’arcivescovo Rino Fisichella. Sorpresa, stupore, gioia, gratitudine. Che papa Francesco abbia alcune predilezioni e che una di queste sia il carcere ormai lo sappiamo benissimo. Quello che ha fatto fin dall’inizio del suo pontificato per le persone detenute non ha paragoni, ha dato speranza dove speranza sembrava non esserci più. Ha guardato, ascoltato, parlato, incontrato, toccato, baciato, abbracciato, confortato, pregato, scritto, telefonato, lavato ed asciugato i piedi a molti di loro. Lo ha fatto ad alcuni facendolo a tutti, arrivando a tutti in tutto il mondo, arrivando anche a me che detenuto non sono. Ha colmato un vuoto. Tutto questo, in così poco tempo, ci ha testimoniato. La sua esperienza ci ha raggiunto, ha raggiunto tutti quei cuori, carcerati e non, bisognosi di un abbraccio gratuito, assetati di significato, ancora in cerca di senso, desiderosi di felicità.

Se tutto questo non bastasse: «Ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”»

Semplice, disarmante, incredibile. Non so perché ma mi vengono in mente i pastorelli di Fatima, Lucia, Giacinta e Francesco, Bernadette di Lourdes, santa Teresina del Bambin Gesù. Gente semplice, povera, con un cuore puro da saper accogliere il mistero della felicità vera, quella che è per tutta la vita, per sempre. Caro papa Francesco, pur non essendo anagraficamente un bambino, lo sei per Gesù.

Ma c’è una seconda riflessione che emerge dagli incontri di questi due giorni con molti carcerati. La tentazione di scivolare, di concentrarsi e sperare solo su una parola: amnistia. «Speriamo che sia la volta buona, che ascoltino almeno questo Papa, d’altronde è dal 1990 che in Italia non c’è un’amnistia». Certo, speriamo che chi governa, in Italia come agli altri Paesi del mondo a cui il Papa si rivolge, possa prendere sul serio un gesto di umanità, di civiltà. Questo, però, non è tutto, non è la parte più importante. L’amnistia se ci sarà (ma avete visto subito le prime reazioni…) riguarderà alcuni e non tutti. Quello che invece ci indica e ci offre papa Francesco può riguardare tutti! Ecco che tutte le parole contenute nel messaggio diventano preziose, ogni sfumatura apre a qualcosa, fa riflettere, fa respirare subito. Con un gruppetto di amici mi fermo a discutere, ci aiutiamo ricordando una bellissima pagina del Vangelo, la guarigione del paralitico calato dal tetto della casa.

«Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico 'Ti sono rimessi i peccati, o dire 'Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina'? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e vai a casa tua”. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile”».

Nei volti, negli occhi e nel cuore dei carcerati con cui discutevo era evidente che, pur essendo desiderabili tutte e due le cose (amnistia e remissione dei peccati), la cosa più importante era ciò che li “libera” da subito e per sempre, ciò che mette realmente il loro cuore in pace. Occorre essere veramente peccatori, avere la coscienza di esserlo e sentirsi sinceramente bisognosi per poter cogliere ed accogliere un così tenero e dolce abbraccio. Ecco perché vorrei che la porta di casa mia fosse come la quella della cella dei miei amici detenuti. Per me, per la mia famiglia, per i miei amici, per le persone care. Per tutti!

*responsabile della cooperativa Giotto, che si occupa del lavoro in carcere dei detenuti del carcere "Due Palazzi" di Padova