Il presidente Obama accoglie papa Francesco.

Alternativa radicale

Un viaggio storico, che, con la tappa all’Onu, tocca i nodi più roventi del nostro tempo e sfida tutti: democratici
e repubblicani, progressisti e conservatori. E la stessa identità cristiana (da Tracce, settembre 2015)
Mattia Ferraresi

Il cattolicesimo americano sta attraversando un momento di confusa chiarezza. Non è un gioco di parole. È un’imperfetta formula sul crinale del paradosso per interpretare un fenomeno duplice. Da una parte, la confusione generata dallo sfaldarsi di strutture sociali e tradizioni la cui difesa era diventata un compito fondamentale per i cristiani impegnati sulla scena pubblica. Ultimo esempio: la Corte Suprema ha recepito in modo inequivocabile il rovesciamento culturale sul matrimonio, così come oltre quarant’anni fa aveva fatto sull’aborto. Dall’altra, la chiarezza generata proprio dalla perdita dei picchetti ai quali ancorare battaglie ideologiche per la difesa di un ordine tradizionale. Non ci si può appellare ai valori come ancoraggio della fede, se i valori a loro volta cedono.

In questo contesto appare ancora più inservibile e desueta l’antica divisione, radicata in tutto l’Occidente ma in modo particolare negli Stati Uniti, fra cattolici conservatori e progressisti, fra l’attivismo squillante degli alfieri della culture war e i tiepidi riconciliatori di fede e società post-cristiana, quelli che selezionano dal Magistero ciò che s’accorda con le preoccupazioni sociali del Partito democratico e scartano il resto. Le circostanze sembrano suggerire la necessità di una terza via, una strada alternativa al vecchio bivio disegnato su una mappa esclusivamente politica.

La visita di papa Francesco in America mette il dito in questo groviglio di contraddizioni e tentativi, e forse per una volta l’aggettivo “storico”, rifugio dei titolisti pigri, non sarà usato a sproposito. È un viaggio storico perché tocca molti dei punti infiammati di questo tornante della storia, tutti in qualche modo legati da un’unica questione: la pertinenza della fede in un mondo che corre a rotta di collo verso il superamento della post-modernità.

La Giornata mondiale della famiglia a Philadelphia - motivo principale della missione americana, ma il contorno non è da meno - arriva dopo che la Corte Suprema ha dichiarato che il matrimonio omosessuale è un diritto costituzionale, e prima del Sinodo ordinario sullo stesso tema; nella città della Pennsylvania, il Papa parlerà anche di libertà religiosa, argomento delicatissimo per i cattolici. Già Benedetto XVI aveva espresso preoccupazione per «certi tentativi di limitare la più amata fra le libertà americane, la libertà religiosa», e con il tempo la preoccupazione non è che aumentata. Ora università, scuole e istituzioni d’ispirazione religiosa rischiano assalti legali laddove definiscono nei loro statuti e regolamenti il matrimonio come l’unione esclusiva fra un uomo e una donna. Era successa una cosa analoga con la riforma sanitaria di Barack Obama, che vincola tutti i datori di lavoro a offrire ai propri dipendenti l’accesso gratuito ai contraccettivi.

Obama riceverà Francesco alla Casa Bianca, ricambiando l’ospitalità ricevuta in Vaticano lo scorso anno. Allora il Presidente era arrivato a Roma introdotto da un’intervista al Corriere in cui elogiava le consonanze con il Pontefice su povertà e diseguaglianze economiche. Il comunicato diffuso alla fine dell’incontro dalla Sala Stampa vaticana non accennava a nulla di tutto ciò. Hanno parlato di diritto alla vita, libertà religiosa, della situazione in Medioriente, ma niente giustizia sociale o altri temi più agevoli da maneggiare ed esibire strumentalmente per il partito del Presidente.

A Washington il Papa parlerà per la prima volta davanti al Congresso riunito in seduta comune, un’assemblea dove diversi cattolici del Partito repubblicano si sono dichiarati «repubblicani prima e cattolici poi» quando temi e giudizi suggeriti da Roma sono entrati in conflitto con l’agenda del partito. Alle Nazioni Unite si accavalleranno altri temi roventi, che mettono in crisi trasversalmente tutti gli schieramenti, dallo status della Palestina all’ambiente, vista anche la congiuntura fra l’uscita dell’enciclica e l’imminente conferenza di Parigi sul clima. Laudato si’, il documento sulla cura della casa comune, non è stata accolta granché bene nei ranghi del Grand Old Party, che sbuffa al solo sentire la parola “ambiente”, il che costringe ciascuno a prendere posizione. Anche così Francesco contribuisce a scardinare uno schema in cui la fede rischia di diventare l’ancella della politica.

«La dottrina sociale della Chiesa sfida apertamente sia i democratici sia i repubblicani, ad esempio introducendo il tema della solidarietà in un Paese basato sull’interesse individuale», spiega Michael Sean Winters, intellettuale e giornalista del National Catholic Reporter. «Già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano sfidato questa concezione politicista del cattolicesimo, ma un certo mondo cattolico ha fatto finta di non sentire le parti del Magistero che non si conformavano con i programmi politici. La peculiarità di Francesco è che ripropone la sfida senza mediazioni, lo fa abbracciando le persone. Non c’è bisogno di una laurea in teologia per capirlo. E il contrasto fra la fede così come l’articola lui e le sue riduzioni politiche e ideologiche è lampante, inevitabile, non ci si può giustificare con i sofismi». Per Winters non è un problema di destra e sinistra, ma di «riduzione del cristianesimo ad etica», e ricorda che il suo amico Lorenzo Albacete glielo ripeteva sempre: «La riduzione della fede a etica non è un progetto cattolico».

Molti hanno letto la sentenza sul matrimonio gay come l’atto conclusivo della guerra culturale, la fine di un modo battagliero e attivistico di interpretare la fede nell’ambito pubblico che si è spesso incrociata, e talvolta sovrapposta, con la piattaforma politica del conservatorismo: «Ora possiamo finalmente parlare senza distrazioni del contenuto del matrimonio, della capacità di viverlo nella sua pienezza. La credibilità della nostra testimonianza dipenderà non dalla capacità di dare battaglia, ma di vivere una vita diversa. Dobbiamo ritirarci? Al contrario, i cristiani sono chiamati a essere ancora più presenti, e per questo non sono convinto che la cosiddetta “Opzione Benedetto” sia la risposta adeguata; mi pare che ponga le premesse per un ritiro dal mondo», spiega Winters.

Non si tratta, però, di una lezione soltanto per i cattolici conservatori che innalzano i valori cristiani contro un oceano di bandiere arcobaleno. Francesco, spiega Winters, propone ciò che la Chiesa è sempre stata: un’alternativa radicale a qualunque progetto ideologico. «È una sfida enorme anche per i progressisti, adesso che sono loro a tirare il Papa per la sottana. Spero che qualcuno fra loro capisca a un certo punto che la preoccupazione che il Pontefice ha per i poveri, per gli ultimi, è la stessa che ha per i bambini abortiti». A un livello ancora più profondo, la guida di Francesco da una parte e le circostanze storiche dall’altra stanno mettendo in crisi l’idea che l’identità cattolica e il progetto americano siano uniti in un destino comune.

Rifacendosi all’influente gesuita John Courtney Murray, diversi intellettuali cattolici, fra i quali George Weigel, hanno perseguito l’idea del “battesimo” dei Padri fondatori, tramutando Thomas Jefferson e compagni in portabandiera di una visione del mondo aristotelico-tomistica. Ora che questa visione viene smantellata a suon di leggi e nuovi diritti facendo leva proprio sui principi che gli stessi Padri fondatori avevano fissato, «si capisce che la sovrapposizione fra identità americana e cattolica è un’idea falsa e terribile. Il punto è capire come evangelizzare in qualunque contesto culturale, non forzare il cristianesimo dentro una cornice politica o nazionale».

Anche per Brad Gregory, storico dell’Università di Notre Dame, autore di un ponderoso volume sul rapporto fra riforma protestante e secolarizzazione, i drammatici cambiamenti culturali e legali di questi anni «sono i frutti dei semi che il liberalismo ha piantato qui in America fin dalla sua fondazione: la libertà come pura autonomia, il volontarismo etico, l’uomo come essere autosufficiente e tutta l’antropologia della modernità. All’inizio questi elementi erano bilanciati dall’influsso della tradizione giudaico-cristiana. Ma quando la tradizione è venuta meno, ecco che è emerso l’individualismo implicito nella concezione originaria dei fondatori, e tutta l’impalcatura sociale che si era creata improvvisamente è diventata fragile, e le sue leggi percepite come oppressive o anacronistiche».

Per rompere lo schema ideologico, occorre riscoprire la natura del cristianesimo nell’esperienza. Perciò, suggerisce Gregory, la guida di papa Francesco è particolarmente rilevante: «Dice le stesse cose di Benedetto XVI sulla secolarizzazione, ma le propone a livello esistenziale, che io credo sia l’unico livello a cui possiamo muoverci per combattere la vera culture war». Cioè? «Il modo più convincente per mostrare la verità dell’incontro con Cristo è una vita felice. Nel caso del matrimonio significa vivere con rinnovata coscienza la vita matrimoniale. Trovo che, date le circostanze, sia uno spreco di energie, e perfino un errore, combattere la battaglia a livello giuridico. La guerra legale non è la risposta. Anzi, temo che sia controproducente, perché è una trappola. Ci releghiamo al ruolo che il mondo ha ritagliato per noi: quello dell’antagonista fissato e illuso».