"Ti invito a cena" a Brescia.

E io ti invito a una cena stellata

Una cena e uno spettacolo natalizio per cinquecento poveri della città. Ai fornelli, nove chef blasonati. E tra parcheggiatori, camerieri e allestitori, decine di studenti, adulti, famiglie... «Siamo tutti fatti per questa bellezza»
Sofia Casari

Lunedì 21 dicembre, il Pala Banco di Brescia è stato teatro di un evento davvero particolare. Nove chef stellati Michelin hanno preparato una cena per cinquecento poveri della città: famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, persone con disagi sociali, o ancora profughi e rifugiati. "Ti Invito a Cena", il titolo scelto per la serata. Semplice, come il desiderio che ha mosso tutto. L’origine, infatti, risale a settembre dell’anno scorso, quando uno degli organizzatori, Ruben, provocato dall’impotenza sperimentata davanti all’emergenza profughi, ha proposto un gesto concreto di accoglienza. Ha quindi coinvolto alcuni amici come Donatella, Monica, Matteo, Walter... E tutti hanno detto sì. La forma, poi, è venuta di conseguenza: una cena natalizia è la cosa più bella da proporre a profughi e bisognosi perché è semplice, ma allo stesso tempo fa sentire a casa.

Questa mossa tra pochi amici è stata capace di mobilitare un’intera città: l’evento ha visto il coinvolgimento di diversi enti caritativi. Come la Caritas, o altre associazioni da sempre impegnate nell’accoglienza e nell’educazione. Ma la vera sorpresa sono stati i volontari, numerosissimi, anche più del necessario, e provenienti da mondi molto diversi: studenti delle scuole superiori, universitari, adulti. Si sono adoperati fin dal primo pomeriggio per preparare la sala e i tavoli, curando tutto fino al minimo dettaglio. Ognuno ha il proprio compito: c’è chi deve servire o sparecchiare, chi si occupa dell’aperitivo, chi si dedica all’animazione per i bambini. E poi ancora i parcheggiatori, altri addetti alle cucine e chi, in un angolo, passa la serata a impacchettare i biscotti da lasciare all’uscita, come ringraziamento.

Sono i primi che si notano entrando nella sala. Hanno tutti la divisa nera, con il logo dell’evento, e la loro tensione è palpabile: c’è chi piega il tovagliolo a regola d’arte, chi ripassa le funzioni di ogni singola posata, chi scherza, chi si scambia le ultime parole di incitamento. I loro volti esprimono l’attesa, il desiderio di cominciare e vedere questa cena prendere vita.

Nell’atrio, piano piano cominciano ad arrivare gli ospiti di tutte le etnie e lingue. Ognuno viene accolto con un sorriso e un bicchiere di sambuco. Prendono posto ai tavoli, e si siedono con gli amici che li hanno invitati.

Dopo il saluto degli organizzatori e la lettura del messaggio del Vescovo, inizia la cena. Il menù è stato pensato tenendo conto della maggioranza di ospiti di fede musulmana: un tortino di verdure con crema alle lenticchie, seguito da un risotto con zucca e olio al rosmarino, poi ancora zuppa di fagioli e pollo alle spezie e, per concludere, una sofficissima torta di rose.

In un tavolo ci sono Dhair e sua moglie Foughal, una coppia musulmana. Sono venuti con tutta la famiglia su invito di Francesca e Bianca, che da circa cinque anni consegnano loro il pacco del Banco di Solidarietà. Sono grati di questo rapporto che è nato: «Mi colpisce essere qui stasera», dice Dhair: «In Italia c’è ancora gente accogliente. Sono in questo Paese dal ’93, mia moglie dal 2003, i miei figli sono nati tutti qui e posso dire che l’Italia è “casa” grazie ai rapporti come l’amicizia di Francesca e Bianca. Quando vengono a trovarci preghiamo sempre insieme, perché Dio è unico».

Anche Samuel è musulmano, viene dalla Nigeria e da sette mesi si trova in Italia. È la prima volta che vede il Natale: dice che basta guardarsi attorno per capire quanto sia importante per noi questa festa. Tra gli ospiti c’è anche chi ha posto resistenza all’invito, come Bekem che all’inizio voleva andarsene, ma i suoi amici non gliel’hanno permesso: «Come sono entrato ho detto “no, io non resto qui”, però ora mi guardo attorno e vedo gente felice, sia che serva o mangi questo cibo ottimo. Riconosco alcuni dei miei vicini di casa: io sono molto più fortunato, ho un lavoro, e vederli così felici è proprio bello. Per loro farei questa cena ogni mese!».

La felicità di cui parla Bekem ha colpito anche un altro ragazzo, arrivato nel nostro Paese il 27 settembre scorso. Lui parla solo inglese, siede al tavolo con Paolo, uno degli organizzatori della serata, che, della sua lingua, non sa nemmeno una parola. «Non sono abituato a tutto questo», racconta il ragazzo: «Per me non è normale vedere gente che mangia insieme in tranquillità, è tutto nuovo. Guardo Paolo e vedo una persona felice, non so cosa sia questa felicità, ma lui lo è davvero».

Dopo la cena, il coro di Comunione e Liberazione di Brescia, accompagnato da un gruppo di musicisti senegalesi, offre un repertorio di pezzi natalizi della tradizione italiana e africana.

Il suono dei bonghi riunisce anche i nove chef che, uscendo dalla cucina, si uniscono al pubblico per ascoltare i canti. Hanno cucinato tutta sera in ambienti non abituali, organizzandosi alla perfezione e sono molto contenti del lavoro d’equipe.

Stefano Baiocco di Villa Feltrinelli spiega come si siano organizzati lui e i colleghi. «Tutto è stato preparato con grande passione. Ogni piatto aveva tre chef a prepararlo». Seduto nel retro del palco, a fine serata, c’è Philippe Léveillé, chef francese del ristorante Miramonti l’Altro: «Ho detto subito di sì a questo invito», spiega: «Ciò che mi ha colpito di più è stato vedere la gente alla fine felice, contenta e sorridente, soprattutto quelli che hanno lavorato con me. Il bene non è stato fatto solo a chi ha bisogno, pure chi ha aiutato è stato investito da questo bene». Anche Fabio Mazzolini e Messami Fezzardi sono sorpresi: «È stata una serata davvero piacevole, eravamo uniti per la felicità degli altri», commenta Mazzolini. «Fra noi colleghi non ci vediamo spesso, è stato bello ritrovarsi tutti insieme. Uniti possiamo donare di più», continua Fezzardi.

E mentre finisce di riordinare la sua cucina, anche Beppe Maffioli del ristorante Carlo Magno parla di come è andata: «La bellezza di questa serata non è stata solo la buona tavola, la ricerca del prodotto, della qualità e della tecnica di cottura. È lo stare insieme con la famiglia, la cosa più bella che c’è a Natale. Quello che mi ha colpito di più sono i volti dei volontari sereni e il loro sorriso carico di desiderio».

A fine serata, tra i volontari c’è una strana combinazione di stanchezza e letizia. Molti di loro sono studenti del liceo Arnaldo, che hanno seguito l’invito della loro insegnate di Storia dell’arte. Raccontano stupiti dell’attenzione alla bellezza nel preparare la sala. «Entrando, fin dalla prima occhiata, si vedeva che siamo tutti fatti per la bellezza», commenta Teresa, studentessa di Infermieristica. Anche Nicole, Letizia, Giulia e Paola hanno molto da dire, di come questa esperienza abbia insegnato loro a guardare le persone in modo diverso, e che l’attenzione al singolo sia ciò che conta. Matteo è stato fuori a parcheggi per una parte della serata: «Vedendo arrivare gli ospiti, gli ho voluto bene subito, gratuitamente, perché erano qui stasera».

Come dice Katerin, questo gesto «non è solo una buona azione natalizia». È un gesto semplice di carità e accoglienza, che corrisponde al desiderio. Ma soprattutto, è evidente una cosa: la storia del nostro Paese ha come origine il fatto cristiano. E la bellezza che trapela da questo parla al cuore di tutti, indistintamente.