Andrea Simoncini, ordinario di Diritto a Firenze.

Simoncini: legge incostituzionale, vuole uniformare realtà diverse

Ordinario di Diritto costituzionale a Firenze, venerdì scorso è intervenuto sul ddl Cirinnà dalle pagine del quotidiano cattolico: «È necessario che il dibattito sui diritti non sia semplicemente la battaglia per la maggioranza»
Marcello Palmieri

Il ddl Cirinnà è incostituzionale sotto molti punti di vista. L`ha detto su queste pagine (anche) Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale. La stessa convinzione è filtrata dal Quirinale. Ora ad avanzare nuovi dubbi sulla compatibilità tra questo disegno di legge e la nostra Carta fondamentale è Andrea Simoncini, ordinario di Diritto costituzionale all'Università Statale di Firenze.

Si è detto che il testo eleva i desideri a diritti. È così?
Due premesse sono a mio avviso decisive. Prima: oggi viviamo in quella che Bobbio ha definito l'età dei diritti, un'epoca che si fonda sull'illusione che la legge possa rispondere compiutamente ai desideri più profondi dell'uomo e così soddisfarli. Questa idea distorce ed esaspera il dibattito politico democratico e così finisce per perdere le sue qualità importanti: la ragionevolezza e il senso del limite.

E la seconda?
La nostra è un'epoca globalizzata e necessariamente pluralista. Questo vuol dire, come ricordò Benedetto XVI al Bundestag tedesco nel 2011, che ciò che è giusto non è più evidente.

Cosa ne consegue?
A mio avviso è necessario che il dibattito sui diritti non sia semplicemente la battaglia per la maggioranza, come accade per tutte le questioni ordinarie del dibattito politico, ma occorre quella che sempre papa Benedetto ha definito un'argomentazione sensibile alla verità, un atteggiamento responsabile sempre pronto a trovare un punto di lavoro comune.

Da questi principi quali giudizi derivano sul ddl?
Primo: la parte sulle unioni civili è sbagliata e incostituzionale, perché estende la disciplina del matrimonio civile alle unioni omosessuali. Istituisce poi la cosiddetta stepchild adoption, che è altrettanto contro la nostra Costituzione. E questo non lo dico io: l'ha già detto in maniera chiarissima la Corte Costituzionale nel 2010.

Quali sono i punti focali di questa sentenza?
Mi paiono due: da un lato l'antropologia espressa dall'articolo 2 della Costituzione ci impone di considerare l'uomo non solo come individuo ma anche centro di relazioni personali e sociali; dall'altro, la pronuncia evidenzia una relazione che ha caratteristiche assolutamente peculiari. Quella familiare, descritta nell'articolo 29.

Quali sono dunque le conseguenze pratiche?
Secondo me, queste: da un lato non possiamo ignorare le nuove domande sociali; ma, dall`altro, dobbiamo riconoscere l'unicità e la particolarità della famiglia. In questo caso è la Corte stessa a dirci che, per rispettare il principio di eguaglianza, dobbiamo differenziare. Non standardizzare.

Uno degli aspetti che più preoccupano nel ddl è quello della «stepchild adoption»...
In effetti, l'adozione del figlio del convivente introduce un`ulteriore devianza: regola infatti un aspetto proprio del diritto di famiglia, che non dovrebbe trovar spazio in una legge dedicata alle convivenze. C`è però chi dice che dobbiamo seguire l'Europa... Ma proprio se guardiamo le soluzioni adottate dai vari Paesi europei ci accorgiamo che tra di loro sono molto differenziate. Il matrimonio omosessuale e l'adozione del figlio del compagno non sono l'unica soluzione, anzi. Dire che sono approdi obbligati risulta un errore.

Il ddl Cirinnà è dunque tutto da rifare?
No. Se osserviamo i suoi contenuti nella loro interezza, direi piuttosto che bisognerebbe prestare attenzione alla sua seconda parte, quella sulle convivenze tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso legate da rapporti affettivi. Dal dibattito è totalmente ignorata, eppure potrebbe essere la base per un ragionamento utile in Parlamento.

Per quali motivi?
A mio avviso perché riconosce i diritti delle persone che convivono senza però imitare il matrimonio, rispettando dunque la diversità delle situazioni.

Fatto sta che la discussione sul ddl sta riempiendo le piazze...
Beh, innanzitutto bisogna considerare che nel nostro Paese ciascuno deve essere libero di esprimere il proprio pensiero e di comunicare le ragioni della propria cultura. Francamente però non ritengo che le manifestazioni siano state fino a oggi il luogo migliore per favorire quell'argomentazione ragionevole e sensibile alla verità di cui ha parlato papa Benedetto. D'altra parte, le mobilitazioni dei giorni scorsi a favore del ddl Cirinnà non mi pare siano state un esempio fruttuoso di dialogo pubblico, ragionevole e rispettoso. Spero che anche le altre non riproducano gli stessi errori.

(Avvenire - 29 gennaio 2016)