Milano e la sua sfida: città della dignità e della possibilità.

L'orchestra che serve al welfare

Ieri sera, il secondo incontro del ciclo organizzato da Cmc, Fondazione per la Sussidiarietà e CdO Milano sulle sfide di una città prossima alle urne. Un dialogo tra attori e studiosi del Terzo settore, un pilastro fondamentale per il capoluogo lombardo
Paolo Perego

Una fotografia del passato? Un quadro di ciò che verrà? Nulla di tutto questo. Si è parlato di ciò che già c'è. E delle domande che questo, oggi, pone di fronte al futuro. Amministrative in arrivo a Milano, come in tante altre città italiane. Ma con una campagna elettorale che, per ora, sembra interessare più per i contenuti che per gli scontri tra avversari. E questo, forse, è una novità interessante, oltre che un bene. Così, per la seconda tappa del percorso di avvicinamento alle urne, il Centro Culturale di Milano ieri sera ha portato in scena, nella sala di via Sant'Antonio, a due passi dal Duomo, parole come non profit, terzo settore, welfare e lavoro. Strumenti, le voci di alcuni "esperti": direttore d'orchestra, come verrà definita da qualcuno, Monica Poletto, presidente di CdO opere sociali, quindi lo scienziato politico della Statale di Milano, Maurizio Ferrera, la professoressa Franca Maino, ricercatrice nello stesso ateneo, Sergio Silvotti, presidente della Fondazione Triulza, e Gigi Petteni, segretario nazionale della Cisl.

Titolo, variazione sul tema dei quattro incontri proposti da Cmc, Fondazione per la Sussidiarietà e CdO Milano, “Milano e la sua sfida: città della dignità e della possibilità”. «Bisogna essere consapevoli dei problemi che ci sono, e degli strumenti per combatterli. Insomma, occorre conoscere», introduce la Poletto. E siccome si parte da ciò che c'è, il preludio, dopo un filmato introduttivo dei temi, tocca al racconto di due realtà.

Prima le suore di Carità dell'Assunzione, centenario ordine francese con da sempre la vocazione dell'assistenza alle famiglie, che si declina nella zona sud di Milano, con cuore in via Martinengo, Corvetto, in ambito socio-sanitario e socio educativo. «Dal 1985 abbiamo una cooperativa che oggi segue circa 200 minori e 500 malati con le relative famiglie, e un piccolo ambulatorio in grado di offrire seicento prestazioni mediche e infermieristiche. È un totale di una quarantina di figure professionali tra operatori ed educatori», spiega suor Fulvia. Mettendo l'accento sul tema del radicamento nel territorio, con un volontariato che non smette, giorno dopo giorno, di crescere. «Oltre cento persone che si alternano a darci una mano, in larga maggioranza della zona, con tanti nuovi che vogliono partecipare», dice la suora, aggiungendo che proprio la territorialità mostra come questa esperienza sia un contributo al ricrearsi di un tessuto sociale e di un'idea di comunità che, nella società di oggi, sembrano essere sostituiti da una profonda solitudine: «Ma l'impressione è che se da una parte si elogiano i risultati di un'opera non profit, dall'altra non se ne ascoltano le domande».

Sulla stessa melodia attacca anche Costantina Regazzo, della ventenne Fondazione Progetto Arca, realtà cittadina che negli ultimi tre anni ha operato soprattutto sul terreno dei migranti, iniziando ad accogliere e aiutare, fino alla creazione di un hub in Stazione Centrale, le oltre 38mila persone che sono arrivate nel capoluogo lombardo dopo aver attraversato il Mediterraneo. «Mettiamo in campo una sinergia di professionalità in vari ambiti, da quello sanitario a quello socio assistenziale, fino a quello legale. Oggi seguiamo 700 persone e prepariamo duemila pasti al giorno». Di fronte, un futuro in cui la città sarà chiamata a cambiare. «Serve ripensare in fretta, questione di mesi, un progetto di assistenza e integrazione per migliaia di persone, soprattutto africani, che presto diventeranno stanziali con il diniego dell'accoglienza». Ma cosa permette questo cambiamento? «Una sussidiarietà di prossimità. Che già c'è, e che va guardata. Dalla signora che si presenta coi cioccolatini alle grandi donazioni. Serve costruire una forma diversa di educazione alla vita comune. E una forma diversa per generare valore e spazi al professionismo».

Parte dalla “dignità” del titolo, Ferrera, per rispondere alle provocazioni della serata. Una dignità fatta di riconoscimento, di rispetto e dell'avere abbastanza nel contesto in cui si vive. E poi, sempre del titolo, la possibilità, ovvero, «un dinamismo, una scelta, una apertura a nuove soluzioni. Un contesto sociale ha delle regolarità. Ma queste sono contingenti. La possibilità apre all'immaginazione. Alla libertà. Certo, si parla di possibilità oggettive, realizzabili. Che vanno cercate in un quadro più ampio, con attori in grado di utilizzare anche risorse non pubbliche». L'altra faccia della medaglia è la necessità di una presa di coscienza più accurata e proattiva dei bisogni, «che sono strettamente legati a un territorio».

«Ci siamo accorti, guardando i dati, che le sfide della crisi non potevano più essere affrontate solo valorizzando l’attivismo sul territorio», racconta la Maino, presentando risultati di una ricerca della Statale di Milano: «Le amministrazioni locali iniziano a prendere coscienza di questo, provando a rimettere mano, in alcuni casi, al loro ruolo del passato di distributori di risorse al terzo settore per rispondere ad alcuni problemi sociali». Oggi, spiega, si vedono le prime mosse di una necessità evidente, cioè che le istituzioni si facciano promotrici dirette di iniziative di soggetti non pubblici che già operano positivamente, invitandoli a tavoli di progettazione.

«Ma il tema è la persona. Cosa vuol dire? Parliamo di assistiti o portatori di bisogni? E le persona è parte del problema o parte della soluzione?», fa notare Sergio Salvotti, voce di un ente rappresentativo di molte iniziative di organizzazioni del Terzo settore. «Standardizzare un servizio non è una soluzione. Prendiamo la categoria anziani: dentro ci sta di tutto. Pensionati soli o meno, malati, poveri e non… Occorre guardare i contesti e le relazioni con la persona. Le esigenze della persona spesso hanno bisogno di risposte che non sempre si declinano in servizi». Altro esempio, i nidi. «Chiudono alle 16.30. Ma se uno lavora, e non ha nonni o altri alle spalle che possono ritirare i figli… Insomma, un soggetto fragile, che tipo di risposta si può dare?». Impossibile aumentare il servizio, forse. «Ma esistono anche, per fare un esempio, quattro coppie con figli sulla stessa ringhiera, che magari possono darsi una mano alternandosi nella cura dei bambini. Perché non permettere questo, valorizzandolo? Insomma, l’asse va spostato sulla persona come portatore di bisogni particolari, e non come assistito. All’amministrazione direi questo: tu disegni le priorità, negoziamo sugli obiettivi e, poi, vediamo cosa si può fare…».

La parola "lavoro" arriva alla fine, ma non per importanza. È il sindacalista Petteni a metterla sul tavolo. «Milano è il luogo più dinamico del mercato del lavoro del Paese. E se guardiamo i dati sulle assunzioni e sullo sviluppo di nuovi mercati occupazionali, si può dire che la città stia già vivendo la fine della crisi recessiva», dice senza remore il segretario Cisl. Ma tutto questo chiede nuovi occhi. «Cosa significa la nuova produttività di cui continuiamo a parlare? A guardare alcune ricerche emerge come la maggioranza dei lavoratori preferisca maggiore tempo per se piuttosto che più ore lavorate in busta paga. Ma allora occorre una riflessione su cosa sia il lavoro. È solo reddito? Oppure è anche una strada per la realizzazione di sé?». Cambiato lo scenario, cambia anche il ruolo dei corpi intermedi: «Se prima il sindacato era impegnato in battaglie tra i bisogni dei lavoratori e dell’impresa, oggi prevale l’idea di trovare soluzioni che siano sostenibili». Cioè, che i due bisogni trovino una risposta che sia un bene per entrambi, non solo una mediazione.

«È una responsabilità quella a cui siamo chiamati». Chiude così Monica Poletto, dopo due ore di dibattito, la serata: «Ci sono dei valori che vanno guardati. Non sulla base di idee, ma guardando alle esperienze che fanno e a come queste rispondono davvero al bisogno della persona». Un invito deciso a una mossa, imprescindibile per chiunque andrà ad amministrare il Comune.