Giuseppe Sala al Teatro San Carlo per l'incontro del Cmc.

Sala: «La mia ricetta per Milano»

Primo appuntamento con uno dei candidati sindaco del capoluogo lombardo, in attesa delle urne a giugno. Settimana prossima toccherà a Parisi. Ma intanto, l'uomo del Pd ha risposto alle domande nate dal ciclo di incontri del Centro Culturale
Maurizio Vitali

Ieri sera è toccato a Beppe Sala, e il 27 toccherà a Stefano Parisi, candidati sindaco di Milano, rispettivamente dal centrosinistra e dal centrodestra, rispondere alle domande di un pubblico “interessato agli argomenti”, non, aprioristicamente, “agli schieramenti”, come ha ricordato Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che ha moderato la serata organizzata dal Centro culturale di Milano, dalla CdO Milano e dalla stessa Fondazione di Vittadini, svoltasi al Teatro San Carlo. Le domande, poi, non erano improvvisate, ma raccolte da un ciclo di quattro incontri con protagonisti della società civile su temi fondamentali per il governo di una grande città: area metropolitana, welfare e lavoro, cultura ed educazione, urbanistica e abitare. Per un’ora e mezza abbondante l’ex amministratore delegato di Expo ha illustrato la sua posizione rispondendo alle domande senza sgattaiolare. Su certe cose ha anche detto, più o meno: «Ho in mente il problema, non ho ancora chiara la soluzione, dovremo studiare come affrontarlo». Per chi, come forse molti e, auspicabilmente, moltissimi, non ne può più né della retorica dei comizi né delle massime della vacua litigiosità dei talk-show, è stato come una boccata d’ossigeno. Bisogna lasciar venir su le domande dalla realtà viva e sempre in movimento, non dal copione stantio e déjà vu del teatrino. Ieri sera si è fatto così.

E questo è già un punto di svolta portato a casa. Quando il pubblico avrà ascoltato anche il candidato Parisi, potrà farsi un’idea ponderata di quale possa essere la scelta preferibile. Usando tre fattori che appartengono alla persona: la libertà, la testa, la fatica del lavoro di conoscenza. In questo modo ieri sera è risultato evidente che la politica è un bene in sé.

Sala ha premesso che ha deciso di candidarsi «assecondando una passione», cosa di cui non solo non è pentito, ma è «felice», al punto da volersi «godere la campagna elettorale» comunque vada a finire. Ha poi detto di avere in mente «un Comune che governa, non che gestisce». In Milano, ha notato, ci sono come due città: una «brillante ed efficiente, quella delle eccellenze tecnologiche, culturali, scientifiche, artistiche, creative, riconosciute a livello internazionale; e una delle periferie, che arranca con fatica nel disagio». Per il candidato sindaco del centrosinistra occorre contemporaneamente «accompagnare, sostenere e rilanciare la città virtuosa», e «lavorare per ritessere la socialità, la vivibilità e prevenire il disagio e il degrado nelle periferie». Sulla prima dimensione, Sala da detto di sentirsi «ben attrezzato» per via delle sue esperienze manageriali e all’Expo; ma è la seconda quella da cui si sente «più sfidato e più attratto». Tutti i ragionamenti, ha aggiunto, «vanno fatti sulla scala della "città metropolitana"».

Conseguenze. Trasporti e ambiente: «Mi interessa portare la Metro 5 a Monza più che discettare sull’area C». Edilizia e sviluppo urbano (rispondendo alle domande di Guido Bardelli, presidente della CdO Milano): non «densificare costruendo in altezza per portare la città da 1,3 a 1,8 milioni, come vuole il centrodestra riprendendo l’idea di Letizia Moratti, ma rigenerare e ristrutturare senza consumare nuovo suolo, incentivando con sgravi sugli oneri di urbanizzazione». Lavoro. Antonio Bonardo, dirigente di un’agenzia, chiede che fare per i giovani disoccupati, i cinquantenni espulsi, la fuga dei cervelli. Suggerisce di puntare sull’innovazione, perché un posto, lì, ne genera 5 in fascia più bassa. Sala risponde che da un lato occorre decidere dove indirizzare gli investimenti del Governo («Sul Jobs act? Sull’hi-tech? Sugli 80 euro in busta paga?»); dall’altro, ammette che il Comune può far ben poco da sé, ma può fare molto se si mette in partnership con il privato e il privato sociale. Cita Santiago del Cile, dove 30 milioni pubblici e 150 privati hanno sostenuto numerose start up con 40mila dollari a ciascuna. «Partnership e sinergia. Perché piccolo è bello, ma se resta piccolo non regge alla globalizzazione».

Poi tocca al welfare: la linea è collaborazione tra pubblico e terzo settore, imparando a «rendicontare anche le performances, cioè i risultati e non solo la spesa», e avendo come criterio ultimo «la soddisfazione della persona», non un esasperato e astratto efficientismo. Il bisogno stesso cambia ed evolve incessantemente, e bisogna farsene carico seriamente. Vale anche per l’immigrazione, «realtà che ci sarà, e che Milano deve saper affrontare seriamente e con umanità, non favoleggiando di blocchi navali, come in ambienti leghisti». Cultura: sostenere i gioielli, come la Scala, ma non lasciare senza sostegno «teatri di quartiere, dove c’è gente si fa un mazzo così» per creare aggregazione e vita nelle periferie. Scuola: le paritarie sono una realtà indispensabile per comporre il sistema educativo. Abbandono scolastico (Sala ha visitato, come Parisi, Portofranco, dove viene dato gratis aiuto allo studio a 1500 ragazzi delle superiori): «Il Comune non può pensare di fare in proprio. Potrebbe aiutare concedendo l’uso di spazi di cui dispone. Su questo non deve avere il braccino corto».

E l’Università? Il 65% degli studenti sono fuori sede e Melissa, laureanda in Medicina, ricorda che i problemi si chiamano alloggio, costo dei trasporti, costo della vita. «Concentriamoci sugli alloggi», si impegna Sala. Sicurezza: problema serio, bisogna non abbassare la guardia, sapendo che «Milano non ha uomini né risorse sufficienti, non raccontiamoci frottole» e «non abboccando neanche al gioco degli imprenditori della paura». Moschee? «Sì. La pratica del culto e la propaganda religiosa sono diritti che la nostra Costituzione riconosce; è meglio un luogo in regola e alla luce del sole che scantinati fuori norma, indecorosi e oltretutto fuori controllo». Milano “città d’acqua”? «Sarebbe fantastico. E fattibile. Una ripresa forte dell’identità storica e un’operazione attualissima. Non l’ho messa nel programma, perché non ci sono soldi per un’impresa simile». Ma Sala non esclude di riproporre la cosa a metà legislatura, se sarà eletto, magari dopo un referendum.

Chiude Vittadini, riassumendo i punti di metodo emersi dalle risposte di Sala: la collaborazione pubblico-privato; l’idea di non gestire ma accompagnare ciò che esiste; la promozione di iniziative nelle periferie; il richiamo al realismo sulle risorse.

Che la politica sia un bene comincia a entrarci nella testa. Ci si vede il 27 maggio, con Stefano Parisi.