Stefano Parisi.

Parisi: «Guardare a ciò che già c'è»

Incontro "di ritorno" alla vigilia delle amministrative milanesi. Dopo Beppe Sala, tocca a Stefano Parisi (centrodestra) rispondere alle domande della platea del Centro Culturale di Milano, epilogo di un percorso di avvicinamento partito due mesi fa
Maurizio Vitali

Otto giorni dopo Beppe Sala, è toccato a Stefano Parisi, candidato sindaco del centrodestra al Comune di Milano, venerdì scorso al Teatro San Carlo, incontrare il pubblico in una serata anch’essa organizzata dal Centro Culturale di Milano, dalla CdO Milano e dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Le domande ricalcano la traccia di quelle poste il 19 maggio al candidato del centrosinistra, perché nascono, come ha ricordato il presidente della CdO di Milano, Guido Bardelli,, «dall’individuazione di una serie di questioni e di bisogni fondamentali messi a fuoco, nell’ultimo mese e mezzo, attraverso seminari di lavoro dedicati a urbanistica, welfare, cultura e “città metropolitana”». Ma prima di entrare dettagliatamente nel merito, Parisi è invitato a dire “con chi” e “per quale città” vuol fare il sindaco di Milano.

Il candidato del centrodestra non ha mai fatto politica in prima persona, ma ha lavorato per anni a stretto contatto con essa, sia a livello nazionale come tecnico e dirigente in vari ministeri e alla Presidenza del Consiglio (dal 1984 al 1997), sia a livello locale (city manager con il sindaco Albertini dal 1997 al 2000). Poi è direttore generale di Confindustria e, dal 2004 a oggi, svolge la sua attività come manager d’azienda nel campo delle telecomunicazioni. «La proposta del centrodestra - ha esordito Parisi - mi ha fatto venire la voglia di fare politica. Con chi? Con chi ha desiderio di ristabilire un rapporto positivo con la politica. Io stesso, in varie tornate elettorali, non ho votato. Ma trovo giusto contribuire a riavvicinare la gente alla politica. Milano è ricchissima di corpi intermedi e di iniziative dal basso: occorre interloquire con loro direttamente. A fare il leader che parla solo attraverso i media si rischia di perdere contatto con la realtà».

Due parole per dire “per quale città”: partecipazione e digitalizzazione. Spiega Parisi: «Partecipazione significa lasciare fare il più possibile al privato: per un motivo ideale, certo, infatti io sono un liberale; ma soprattutto per un motivo di efficienza. Con il diritto amministrativo che abbiamo in Italia, il pubblico non può essere efficiente. Deve fare la parte del regolatore, e basta, e quindi non relegare il privato a svolgere, in maniera residuale, le funzioni che il pubblico proprio non riesce a fare». Digitalizzazione: significa «apertura delle informazioni a tutti in modo da sostenere, tra l’altro, un governo liberale della città, avere una pubblica amministrazione più veloce e meno costosa e liberare energie private».

Liberare le energie private è la ricetta che Parisi, in sostanza, propone anche rispetto alla questione del lavoro. Gli chiede Fausto Fossati, dirigente d’azienda e protagonista di ReteManager (associazione che accompagna e aiuta disoccupati ultraquarantenni di alto profilo), se pensa che il Comune possa avere un ruolo attivo nella creazione di lavoro e nel contrasto alla disoccupazione sia giovanile sia dei più avanti con l’età rimasti senza impiego. L’aspirante sindaco: «Il lavoro si crea con lo sviluppo. Lo sviluppo lo fanno i privati. Il Comune può e deve favorire investimenti privati, italiani e dall’estero, nel settore edilizio (in pochi anni Milano ha perso il 50% degli occupati in questo settore) ed immobiliare. Attraverso un vasto piano di rigenerazione urbana». Che vuol dire rigenerazione edilizia e ambientale insieme: densificazione della città, costruendo in altezza per poter sviluppare il verde; recupero di aree degradate o inutilizzate, come gli scali ferroviari, ristrutturazioni di edifici in modo da collocarli nelle classi energetiche più alte. «Per favorire gli investimenti, si tratta di usare anche la leva dell’alleggerimento del carico fiscale, la sburocratizzazione, la certezza dei tempi, e offrire in certi casi vantaggi sugli oneri di urbanizzazione».

L’altra parola chiave di Parisi è “innovazione”. Il progetto concreto è di concentrare nell’area ex Expo una serie di luoghi del sapere e della ricerca di diverso tipo, favorendo la loro uscita dalla frammentazione e dall’autoreferenzialità, e meglio funzionalizzare la ricerca all’innovazione tecnologica, sapendo che questa «crea posti di lavoro non solo per i talenti ma per tutti, anche di profilo medio o basso».

Welfare: la domanda è posta da Monica Poletto, guida di Cdo Opere sociali. Che non ci possa più essere welfare senza coinvolgimento del privato e del privato sociale lo sanno tutti o quasi. Ma, chiede Poletto, coinvolgimento nella conoscenza del bisogno e nell’organizzazione della risposta o solo sub-fornitura di servizi a basso costo? E ancora, per rispondere al problema della limitatezza delle risorse, c’è solo la standardizzazione dei servizi, come si teorizza anche in qualche ateneo milanese? Risposta di Parisi: «Bisogna puntare a servizi personalizzati. Non vorrei neanche sentir parlare, per esempio, di badanti di condominio. Come? Basta con il sistema degli affidamenti diretti. Occorre un sistema di accreditamento degli enti, di voucher agli utenti. Anche qui, Pubblica Amministrazione che regola e controlla la qualità». Reddito di cittadinanza? Anche di questo non ama sentir parlare Parisi: «È una trappola della povertà. I soldi vanno dati come sostegno connesso a politiche di inclusione attiva: corsi di formazione, riqualificazione, apprendistati...». E le famiglie che mantengono anziani o figli disoccupati? «Il welfare familiare è decisivo, e va riconosciuto. Per esempio, anche qui, con agevolazioni fiscali».

Marco Bolis, imprenditore in campo urbanistico, riporta l’attenzione su questa dimensione con domande puntuali. La prima: Milano deve crescere. Ma come? In verticale o sulla scala della città metropolitana? Risposta: «In verticale, per dare spazio al verde. Del resto le nostre periferie sono il centro della “città metropolitana”. La quale, oggi come oggi, è un disastro e va completamente ripensata, facendo una proposta al Governo». Altra domanda: l’accesso alla casa è ancora difficile per troppi che non hanno redditi alti, e intanto ci sono moltissimi immobili vuoti. Risposta: «Il valore immobiliare è di per sé un fatto positivo. Bisogna, da un lato, garantire il diritto di proprietà: non esiste che ci siano ventimila morosi che non pagano l’affitto. Dall’altro, mettere in moto il mercato degli affitti, forma più consona all’attuale mobilità e alle permanenze, per lavoro o studio, temporanee».

Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano, porta il discorso su immigrazione e integrazione. «È un problema enorme e la prima cosa necessaria è riconoscerlo e guardarlo negli occhi», attacca Parisi: «I populismi? Sono la conseguenza di certe élites ipocrite per la quali non esistono problemi, non esistono le persone che hanno paura perché si sentono insicure e indifese dallo Stato, come se non fossero suoi cittadini. Abbiamo, a Milano, esperienze di integrazione bellissime, come la Caritas, l’Arca… E non cito quelle nell’ambito della CdO per non fare una captatio benevolentiae. Accoglienza, sì. Di chi viene a lavorare e accetta di imparare e rispettare i valori di libertà, di intangibilità della persona, di dignità della donna, e così via». Una moschea? «Sono per la libertà di religione. Ma dobbiamo essere garantiti, noi e gli stessi musulmani, dalla minaccia terroristica. Ne ho parlato con il Ministro degli Interni: occorre una legislazione che istituisca un “albo degli imam”, imponga la predicazione in italiano... Gli stessi musulmani sono d’accordo». C’è un breve spazio prima della fine, per parlare di cultura e di università. «Favorire e sostenere a Milano la produzione culturale e artistica a tutti i livelli», è la linea di Parisi. Con una mano agli universitari fuori sede, costretti ad affitti cari e magari in nero. Insomma, «un sussidio? No?», chiede Pietro dell’Università Cattolica. «No, non è nella mia logica e comunque non ci sono i soldi. Meglio puntare su un campus, e su agevolazioni fiscali per chi affitta agli universitari a prezzi scontati».