London Encounter 2016

La City e il mito dell'isola

Un verso di John Donne come titolo della manifestazione di quest'anno. Tra Brexit, Astor Piazzolla e la "lectio magistralis" dell'ex primate anglicano, Rowan Williams. Il racconto di quello che è successo l'11 giugno
Luca Fiore

Il 155 di Bishopgate si trova accanto alla Liverpool Station, nel centro del distretto finanziario, quello che, per comodità, chiamiamo City. Molto acciaio e vetro, pochi mattoni rossi. È qui che si è svolta la terza edizione del London Encounter, la manifestazione organizzata dai ciellini della comunità inglese e che quest’anno aveva come titolo il verso di John Donne: No Man Is an Island. Un tema affascinante di per sé, ma se affrontato a due settimane dal voto sulla Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, diventa rovente. Chi è l’uomo di cui parla il verso? E l’isola?

Settecento le presenze quest’anno, cinquanta i volontari e altre trenta persone che si sono alternate per presentare le tre mostre (su Etty Hillesum, Giacobbe e sul “sogno europeo”). Tra i relatori un arcivescovo anglicano (già primate), un membro della Camera dei Lord, un ex presidente del Parlamento europeo e un consulente di Downing Street. In platea anche monsignor John Wilson, vescovo ausiliare della diocesi cattolica di West London, che tornato a casa parlerà dell’Encounter sul suo profilo Facebook. Per non farsi mancare nulla: nell’elenco delle cose notevoli finisce anche il cyber attacco al sito della manifestazione, che alla vigilia è andato in crash per due ore a causa delle “attenzioni” di un cyber gruppo islamico.

L’ex primate anglicano, che poi è monsignor Rowan Williams, ormai amico della comunità inglese di CL (la presenza discreta della sua barba bianca aveva fatto capolino all’udienza del movimento con papa Francesco del 7 marzo del 2015), ha aperto la giornata con una lectio magistralis sul tema dell’Encounter. Quarantacinque minuti a braccio, in un percorso appassionante che è riuscito a toccare John Donne, Edith Stein, I Fratelli Karamazov, Etty Hillesum e il patriarca Giacobbe. Colto, profondo e accessibile allo stesso tempo. Williams prende le mosse dal verso del poeta inglese che inizia sì, affermando che «nessun uomo è un’isola», ma lo dice nel contesto di un funerale, tanto che la poesia si conclude con l’altro celebre verso: «Per chi suona la campana, la campana suona per te».

Nessuno si può considerare un’isola, dice l’arcivescovo, perché a unirci è un destino comune: tutti moriremo. È una questione di semplice realismo a cui tanto pensiero moderno ha contrapposto la «mitologia dell’isola», cioè della possibilità di un’autosufficienza che produce una falsa sicurezza. Con Edith Stein, Williams spiega che, in realtà, l’io ha bisogno di un altro per accorgersi di esistere, anche per pensare al nostro corpo abbiamo bisogno di immaginarci qualcuno che ci guardi. Il rapporto con qualcuno che è altro da noi non è necessario soltanto al riconoscimento di se stessi, ma inevitabilmente è una relazione di reciproca responsabilità. Noi siamo responsabili dell’altro: se l’altro non c’è o è in pericolo, il nostro io non è in pace. E in questo altro, continua Williams citando Etty Hillesum, va considerato anche Dio: noi siamo responsabili anche verso di Lui. Dio ha bisogno degli uomini per rendersi conoscibile e la nostra testimonianza, anche dentro un campo di concentramento, è necessaria perché Dio sia percepito come credibile. È solo in questa prospettiva, che è spirituale, religiosa e razionale, si può concepire un sistema di rapporti che faccia convivere e possa bilanciare diritti e doveri della persona.

Al termine della lezione qualcuno chiede quale sia il modo per imparare ad essere realisti. Risposta: «Occorre educare sé e i propri figli alla meraviglia per le cose che ci sono». Qualcuno osserva che non si può capire queste cose al di fuori di uno sguardo cristiano. Risposta: «È la realtà stessa che ci mostra come noi siamo strutturalmente “in rapporto”. Non c’è bisogno di aggiungere nient’altro». Un ragazzo racconta il proprio senso di solitudine e la difficoltà a uscire da una realtà che spesso ha le dimensioni di un tablet. Risposta: «Tocca le cose. Tocca le cose con le mani per conoscerle. E desidera andare a fondo. E sappi che sei voluto. Qualcuno ti vuole».

Al pomeriggio in programma c’è un incontro esplicitamente dedicato al grande tema dell’Europa e dell’Unione europea. Il panel è formato da Mario Mauro, senatore italiano ed ex vice presidente del Parlamento Europeo, Maurice Glasman, membro laburista della Camera dei Lord, e Shamit Saggar, professore di Public Policy e in passato consulente del Primo ministro britannico. Quest’ultimo, per dire come le cose capitano all’Encounter, è stato invitato perché entrato in rapporto con Marco, uno dei promotori della manifestazione e che di mestiere fa il medico, in una corsia d’ospedale. Durante un giro in reparto, Marco vede accanto a un letto la copertina di Time con l’immagine simbolo di Aylan, il bimbo profugo morto sulle coste della Turchia, e con una domanda inizia un dialogo. Dialogo che continuerà nelle settimane e nei mesi successivi. Con inviti a cena fino ad arrivare alla conferenza al 155 di Bishopgate.

Il trio è ben assortito: Mario Mauro mostra il suo entusiasmo per l’ideale che nel Dopoguerra animò i padri fondatori dell’Europa. Lord Glasman, ebreo laburista con una passione per la dottrina sociale della Chiesa, invece, è uno dei pochissimi politici di sinistra favorevoli alla Brexit. Perché? L’Unione avrebbe tradito l’ideale originario cristiano sociale, sostituendolo con la brama capitalistica che ci ha resi schiavi delle logiche della finanza. Il professor Saggar, indiano di terza generazione, che molto pragmaticamente sostiene l’inevitabilità della realtà dell’Unione europea: che ci piaccia o no, l’Ue è quello che abbiamo e non c’è nulla di alternativo. Sia Lord Glasman che Prof. Saggar confidano al termine dell’incontro che nei mesi di campagna referendaria non avevano ancora partecipato a un incontro in cui si riuscisse a toccare il cuore della sfida europea e non ci si fermasse appena alle conseguenze economiche.

La sera c’è una serata dedicata alle musica di Astor Piazzolla. È passata molta gente, di più rispetto alle precedenti edizioni. Un gesto che diventa sempre più grande e importante e che la comunità inglese costruisce con crescente impegno. Lo dimostrano le tre mostre realizzate interamente per l’occasione Qualcuno fa notare che lavorare sul tema dell’Encounter ha aiutato a smascherare il proprio “mito dell’isola”. Raccontano: «Sono nate amicizie. Ci si è coinvolti. Ci si è corretti». La campana ha suonato. Ma non era un funerale.