I carcerati di Padova incontrano Papa Francesco.

«Una storia ancora tutta da scrivere»

L'incontro in Vaticano tra i detenuti della casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova e il Pontefice, in occasione del Giubileo dei carcerati. L'invito a non dimenticare che è possibile un perdono: «Nessuno di voi si rinchiuda nel passato»
don Marco Pozza*

Sono storie piene di crepe da tutte le parti: storie da crepacuore, anche. È nelle crepe, però, che s'infila la luce: storie luminose, dunque, dal momento che «nelle crepe sta in agguato Dio» (Luis Borges). Le biografie dei poveri sono tutte così: sudice di polvere, di notti passate all'addiaccio, di speranze che il tempo ha reso quasi-defunte. Si assomigliano quasi tutte quelle storie. Ad accomunarle, soprattutto quelle rese infami dalle gesta compiute, è sempre la solita tentazione, quella di rinchiudersi nel passato: «Nessuno di voi si rinchiuda nel passato! Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati», ha raccomandato Francesco durante il Giubileo dei carcerati domenica 6 novembre a Roma. L'istigazione che ha fatto di Satana il principe del suicidio, il disperato che insegna a tutti i costi a disperare.

Poi, nell'attimo esatto in cui meno l'attendi, giunge una voce di sorpresa: inaspettata. È la Grazia, quella che a guardarla da fuori non pare comprensibile. È bastato un cenno, sotto un cielo di tempesta, a squarciare delle vite di tempesta: «Andiamo a trovare papa Francesco. Ci sta aspettando». Un grido che per loro - i banditi della società, quelli banditi dalla società – era anche annuncio: Dio ti cerca ovunque tu sia, Dio ti trova. Non te lo perdere, altrimenti sei perduto.

Anche Dio certi giorni sembra perduto senza la loro compagnia: «Non esiste tregua né riposo per Dio fino a quando non ha ritrovato la pecora che si era perduta», aveva detto il Papa nella messa del mattino. Poi un ciuffo di quelle pecore le ha chiamate da lui, a casa sua. Da buon pastore, sapeva bene il vecchio detto popolare secondo il quale il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Ciò che quel gesto voleva dimostrare era la fallacia di quel proverbio: se è vero che il lupo perde il pelo e non il vizio, è altrettanto vero che con un pizzico d'amore ci sono lupi che sanno anche perdere il vizio.

Il vizio del male, quella droga-quotidiana ch'è sempre una brutta faccenda: «La storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. La storia che inizia oggi è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità» era stato il monito del Papa. Che forse, tra i potenti, è il solo che calcola la presenza di una variabile: l'idea che la povertà possa essere un terreno fecondo per la nascita di un crimine. Per l'inizio di una disavventura, come di un'avventura.

Mentre lo tenevano sotto assedio a-casa-sua, il mio divertimento è stato lo scrutare i loro volti: teste marchiate da cicatrici, tatuaggi stampati sulla pelle, le occhiaie smunte dal troppo fissare il vuoto. Addosso portavano camicie non più in commercio, pantaloni di quinta-mano, qualcuno dei denti ha solo qualche accenno. Eppure ciò che rende bello un deserto, raccontava il Piccolo Principe, è che da qualche parte nasconde un pozzo. Il pozzo di uno sguardo, quello del Papa: li fissa, lo fissano, inanellano discorsi senza nemmeno aprir bocca. Loro, uomini d'armi e di battaglia, tremano. Lui, uomo di pace e di guerra al male, ha la gioia del bambino sul volto. Di pomeriggio, a casa, si apre la porta agli amici, alla compagnia che rallegra il cuore.

Anche il Papa ha fatto così: mentre i sondaggisti, dall'America, mostravano una capacità di leggere l'andamento della storia da far ridere le capre, Francesco ha scelto di non perdere il contatto con la storia: quella vera, sempre più bella di quella immaginata. Domenica scorsa i detenuti, questa domenica i clochard. Si dice spesso: dulcis in fundo.

Eccolo il finale del Giubileo della Misericordia, quasi una sintesi: senza i poveri, scordatevi Cristo. Senza la base, scordatevi le altezze. Nessuno obbliga a seguire Cristo. Chi vuol credere, creda: questo è tutto.

* cappellano del carcere Due Palazzi di Padova