La sala gremita per il secondo dialogo sul referendum.

Una riforma tra verifica e responsabilità

Ieri sera al Centro Culturale di Milano, il secondo incontro in vista del voto del 4 dicembre. Un confronto aperto tra i "sì" e i "no" del costituzionalista Antonio D'Atena, del senatore Gaetano Quagliariello e della giurista Lorenza Violini
Fabrizio Sinisi

«È una novità per questo tipo d’incontro, perché siamo chiamati a confrontarci su una questione e non su un’opinione già data». Così Antonio D’Atena, presidente emerito Associazione Italiana Costituzionalisti e membro dell’Istituto Studi Regionali, primo a intervenire ieri sera nel secondo incontro dedicato dal Centro Culturale di Milano all’approfondimento sui temi del referendum costituzionale del 4 dicembre. Parla rispondendo alla domanda con cui Guido Bardelli, presidente della Compagnia delle Opere Milano e moderatore dell’incontro, citando Giorgio La Pira, apriva il dialogo: «Dove e come possiamo ritrovare “una casa comune per gli italiani”?». Una riforma costituzionale è perciò un luogo di verifica decisiva di questa domanda.

«La riforma ha luci e ombre, non è né perfetta né orrenda. E un giudizio va dato mettendo sulla bilancia aspetti positivi e negativi e provando ad arrivare a una sintesi», sostiene D’Atena: «Un elemento positivo della riforma è sicuramente il superamento del bicameralismo perfetto. Abbiamo attualmente due camere politiche che possiedono le stesse funzioni. La possibilità che la riforma offre di avere un’assemblea istituzionale dove abbiano voce i territori regionali e comunali mi sembra positiva, ed indubbiamente era un passo difficilissimo da compiere. Anche perché gli enti sono sempre restii a riformare se stessi. Un altro aspetto positivo riguarda il rapporto di competenze Stato-Regione. Ci sono molti elementi di razionalizzazione che prima, per ragioni diverse, mancavano». E aggiunge: «Ci sono certamente anche degli aspetti negativi. Il Senato poteva certamente essere pensato meglio, dalla presenza dei senatori a vita all’elezione dei sindaci da parte del consiglio regionale. Ma mi sono convinto a votare per il “sì”, perché realisticamente mi sembra che gli elementi positivi prevalgano sugli elementi negativi».

«Io ho provato a orientarmi verso il “sì”: non ci sono riuscito. È una sconfitta personale di cui non vado fiero», è invece la “confessione” di Gaetano Quagliariello, senatore e presidente del movimento Idea: «Il punto di arrivo della riforma è deludente, e il cambiamento che essa propone non è un miglioramento. Aggiungo una ragione di metodo, che in materia di Costituzione diventa significativa: l’unità alla base, certo, non è formalmente necessaria, e non è detto che si ottenga. Questo non è avvenuto. L’Europa vive una difficoltà estrema, esce con fatica da dieci anni di crisi economica ed è pressata da gravi emergenze, e in questa situazione la coesione nazionale è un fattore importante che non è stato sufficientemente cercato. Il dibattito è assordante, ma il Governo vi ha contribuito in maniera sostanziale». Entrando nel merito della riforma, Quagliariello riprende gli stessi argomenti di D’Atena, evidenziandone però il lato “in ombra”: «Il superamento del bicameralismo perfetto è certamente un obiettivo, ma non abbiamo in questa riforma un Senato delle Regioni o delle autonomie, com’era auspicabile da parte di tutti. In questa riforma il Senato rimane fortemente partitico: un senatore eletto dal consiglio regionale, se la riforma passa, non risponderà al territorio ma ai partiti che lo mandano in a Palazzo Madama. Saranno quindi senatori più vincolati alla linea politica nazionale che al territorio di provenienza. C’è una direzione centralistica nel testo della riforma. Tanto più perché è attualmente correlata da una legge elettorale che può portare al 54% un esecutivo legittimato da una base elettorale molto più debole. Per cui si rischiano governi che radunano troppo potere tutto insieme. Si passerebbe insomma da un bicameralismo perfetto a un bicameralismo confuso».

C’è un aspetto però decisivo, e ben poco frequentato dal dibattito pubblico, messo in luce da Lorenza Violini, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, che è la figura, in sé, del parlamentare: «Il parlamentare deve riprendere coscienza del proprio ruolo e della propria responsabilità. Non esiste la riforma in sé, che rimane “testo”, se non nella misura in cui si declina nell’attuazione». E aggiunge: «Dal cittadino che è chiamato a votare fino al parlamentare interpellato nell’azione politica, la questione è nel singolo individuo, nella singola persona».

Il banco di prova, specifica Bardelli concludendo, sarà il giorno dopo il referendum: «Il 5 dicembre, comunque andrà, bisognerà guardarsi e lavorare insieme da uomini. Come ha detto il Papa a Firenze, “il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”».