L'Assemblea Generale dell'ONU.

Un maestro ugandese in cattedra all'Onu

Deogracious ha poco più di vent’anni e si occupa di formare insegnanti nel campo profughi più grande del mondo tra Kenya e Somalia. Oggi ha raccontato il suo lavoro con Avsi al Palazzo di Vetro. Davanti ai grandi della Terra
Niccolò De Carolis

«O l’educazione è la comunicazione di ciò che è vero per me, l’espressione del mio modo di rapportarmi alla realtà, oppure è solo un’imposizione, una lista di istruzioni estranee alla persona». Deogracious Droma è ugandese, ha poco più di vent’anni e si occupa di formare insegnanti nel campo profughi più grande del mondo, a Dadaab in Kenya al confine con la Somalia. Oggi ha parlato a New York, al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. L’iniziativa è partita dal nostro ministro degli esteri Giulio Terzi. In coda all’Assemblea Generale, ha voluto organizzare un evento sulla tolleranza e il dialogo interreligioso, invitando Avsi a partecipare. Alberto Piatti, segretario generale dell’Ong, ha chiesto al giovane ugandese di raccontare la sua esperienza con i futuri insegnanti, di religione musulmana, a cui propone il metodo educativo di don Luigi Giussani. «La proposta che faccio non cancella o ignora le differenze religiose», continua Deogracious: «Ma anzi dà valore a ciò che sta al fondo di ogni tradizione: il cuore dell’uomo».

L’impegno di Avsi a Dadaab, un campo profughi che ospita circa 500.000 persone, per la maggior parte somali, inizia nel 2009 su richiesta della Cooperazione Italiana allo Sviluppo e dello United Nations High Commission for Refugees (Unhcr). «All’inizio ci occupavamo solo di ristrutturare o costruire nuove classi, le scuole erano pericolanti con muri di latta e tetti di lamiera», spiega Leo Capobianco, responsabile Avsi in Kenya: «Poi, vedendo che gli insegnanti delle elementari erano semplici ex studenti di scuole secondarie, abbiamo deciso di dargli una qualifica, organizzando dei corsi». Così è iniziata la collaborazione con la Mount Kenya University, che mette a disposizione i propri docenti e il Permanent Center for Education (Pce) di cui Deogracious fa parte. «L’Unhcr ha apprezzato molto il nostro lavoro, ci ha chiesto di allargare la nostra attività garantendoci nuovi finanziamenti. Qualche mese fa siamo riusciti ad aprire una scuola tutta in mattoni per 3.000 studenti». In tre anni 730 insegnanti formati e 310 classi messe a disposizione di 16.250 bambini.

Nel 2011 si è parlato in tutto il mondo dell’emergenza umanitaria in Somalia per la grande siccità, le nuove ondate migratorie e gli attentati terroristici. «Questo ha fatto arrivare una grande quantità di aiuti», continua Capobianco: «Quest’anno, invece, sono passate giustamente in primo piano altre realtà come la Siria o il Mali e dei fondi che avevamo richiesto ne sono arrivati solo la metà. Purtroppo le due scuole che avevamo progettato di costruire non sono state iniziate». Uno dei problemi maggiori rimane Al Shabaab, la cellula somala di Al Qaeda che spesso colpisce all’interno del campo: due volontarie spagnole sono sotto sequestro da ormai sei mesi. «Le ultime notizie dei giornali locali sono positive. L’esercito keniano, sostenuto dall’Unione Africana, da tempo combatte i terroristi. In questi giorni sta stringendo d’assedio Kismayo, l’ultima loro roccaforte».
La notizia veramente positiva, però, è l’esperienza che Deogracious ha portato alla sede dell’Onu. Davanti a personalità come l’Alto Commissario per i diritti umani e il direttore generale dell’Unesco, ad ascoltare come in una zona dove spesso si fanno la guerra, cristiani e musulmani possano incontrarsi e dialogare. «Non voglio che chi ho davanti diventi schiavo delle mie idee, ma compagno del mio cammino», dice Deogracious: «Io correggo lui e lui corregge me. La sua fede diventa un’occasione per scoprire sempre di più chi sono io».