Il quartiere di Abobo, ad Abidjan.

«Il mio Paese schiacciato tra due eserciti»

Un milione di profughi. Più di quattrocento morti. Nella voce di chi vive lì, il racconto di una nazione precipitata nella guerra civile (e strangolata dall'embargo). Mentre si avvicina lo "scontro finale" fra i due presidenti in lotta
Alessandra Stoppa

Fino a poco tempo fa si spostava tranquillamente tra Abidjan e il villaggio sul mare dove sorge il suo convento, a quaranta chilometri dalla capitale verso il confine con il Ghana. Padre Paolo Santagostini è cappuccino, missionario in Costa d’Avorio da sedici anni: la sua congregazione è una delle poche rimaste al proprio posto. Tanti altri religiosi si sono spostati nei Paesi vicini o in zone più sicure, perché «un clima violento strisciava già nell’aria da mesi», spiega a Tracce.it: «A partire dalle elezioni presidenziali dello scorso novembre». Ma negli ultimi venti giorni c'è stata un’accelerazione.
La situazione è precipitata nella spaccatura sempre più profonda di un Paese con due governi e due eserciti. La Costa d’Avorio è divisa dal colpo di Stato tentato nel 2002. All’epoca i ribelli, non essendo riusciti a conquistare la capitale economica, Abidjan, erano risaliti prendendosi il Nord del Paese. Ma oggi, quegli stessi, sono ex ribelli. Sono il “commando invisibile”, i miliziani vicini ad Alassane Ouattara, il presidente eletto a novembre e riconosciuto dalla comunità internazionale, che sta conquistandosi palmo a palmo tutto il Sud in una vera e propria guerra civile contro le forze armate del presidente uscente, Laurent Gbagbo, che non ha mai riconosciuto il risultato del ballottaggio di novembre e non si è mai dimesso.
«Quelle elezioni sono state fatte senza che il Paese fosse nelle condizioni perché potessero essere autentiche», continua padre Santagostini: «Né a Nord, né a Sud, la gente ha votato serenamente. Era comunque sotto la pressione dei due "eserciti". E i brogli ci sono stati da entrambe le parti». Si è iniziato con il neo presidente rinchiuso dentro l’Hotel du Golf, che è diventato la sede del governo provvisorio, e si è arrivati alle mitragliatrici: più di quattrocento morti tra la popolazione e un milione di profughi, dicono i dati Onu.
Nelle ultime ore, le forze di Ouattara hanno preso il controllo di Yamoussoukro, la capitale amministrativa, e di San Pedro, il porto da cui partono i carichi di cacao. Ma gli scontri più violenti sono ad Abidjan. E la gente scappa. È un esodo, la capitale si sta svuotando. «La popolazione del quartiere sembra scomparsa, non si sa dove: si sta preparando qualcosa di drammatico». Sono le parole di suor Rosaria, della Congregazione della Santa Famiglia di Spoleto. Vive ad Abobo, il comune di Abidjan da dove sono iniziati i combattimenti tra le forze di Gbabo e gli uomini di Ouattara. «Sono i poveri che pagano per tutti. Ho visto portare al dispensario una bambina di otto anni con il cervello fuori dalla testa», racconta suor Rosaria all’Agenzia Fides.
«È tutta e soltanto una lotta di potere», continua padre Paolo: «Una passione disperata, che si spinge fino alla guerra, ma che è solo di alcune frange. Però chi soffre, chi viene sacrificata è la popolazione». I colpi vaganti e i tiri di artiglieria non smettono di uccidere all’improvviso. Altri stanno morendo di fame o di malattia. «L’embargo europeo dei medicinali, imposto dal 28 febbraio per costringere Gbagbo a dimettersi, è gravissimo. Come quello del gas. Vogliono strozzare economicamente il regime, ma intanto a morire è la gente». Per questo Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan, ha chiesto all’Unione Europea di togliere l’embargo: «Chiedo il rispetto della vita. Non occorrono tante argomentazioni per far comprendere che la vita è sacra e che occorre proteggerla», ha detto: «Il quinto comandamento dice “non uccidere”. La popolazione deve potersi curare». Da quasi un mese, poi, sono state chiuse tutte le banche, la gente non riesce più ad andare a lavorare. «E anche se ci va, non può avere lo stipendio». La preoccupazione di padre Santagostini è poi per i Giovani Patrioti che stanno difendendo Gbagbo: «Sono tutti ragazzi di vent’anni, disoccupati. Temo che non si arrenderanno mai. E si faranno ammazzare tutti».
Oggi Benedetto XVI ha deciso di inviare in Costa d'Avorio il cardinale Peter Turkson Kodwo, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. È il primo vescovo originario del Ghana a essere diventato cardinale. Un segno di grande attenzione e preoccupazione per il destino del popolo ivoriano. «Per dimostrare la mia vicinanza alle vittime del conflitto e per contribuire alla pace», ha detto il Santo Padre.