La cattura di due narcotrafficanti.

RIO DE JANEIRO I narcos, la guerriglia e il buon ladrone

Dopo giorni di scontri, una maxi-retata "ripulisce" le due favelas più pericolose della città. E il «giusto desiderio di giustizia» convive con la rabbia per i criminali. Fino all'incontro con Nelson...
Alessandra Stoppa

Chi non si è arreso è scappato. Correvano per strada, a decine, in cerca di un nascondiglio. La polizia li ha accerchiati con i blindati, gli elicotteri, i carri armati: un esercito di ottocento uomini ha assediato ogni angolo e fatto irruzione tra quelle baracche con cui la città aveva smesso di fare i conti. Nessuno ci credeva più che le cose potessero cambiare. Soprattutto . A Vila Cruzeiro e nel Morro do Alemão. Due delle più grandi favelas che si arrampicano sulle colline, nella zona nord di Rio de Janeiro. Roccaforti dei narcotrafficanti, inaccessibili. Off limits anche per la polizia. È dalle viscere di quei due morros che si era scatenata la guerriglia urbana, pochi giorni prima.
Nel giro di un fine settimana, la città si era trovata assediata dai narcos. Macchine e autobus incendiati, le stazioni di polizia mitragliate. Ma la prospettiva del 2014, con i Mondiali di calcio, incalza. E lo strapotere dei boss della droga è uno sfregio alla faccia del Paese appena uscito dalle elezioni. Così il Governo ha raccolto la sfida: in quattro giorni ha costretto i narcos alla resa.
Tra giovedì e venerdì scorso, la polizia ha sequestrato centinaia di armi, quaranta tonnellate di cocaina, e si è scontrata con i trafficanti: quasi trenta di loro sono rimasti uccisi. E ora, sui tetti di lamiera delle due baraccopoli, sventola la bandiera brasiliana. Ma l’intervento della polizia, se ha chiuso in carcere una quarantina di trafficanti, ha aperto un buco nell’animo di chi ha assistito a questa “vittoria”.
«L’azione del Governo è un segnale positivo per tutti», dice Paola Gaggini, che da cinque anni lavora con Avsi in un’altra favela di Rio, il Morro dos Cabritos: molto più piccolo (settemila persone) rispetto a quelli ripuliti dalla polizia. «È un segnale di cambiamento. E ce n’è bisogno. Perché sulle condizioni di certe zone e, soprattutto, sulla piaga della droga, rischia di dilagare la rassegnazione». Ma la gente, mentre guardava i narcos scappare verso le fogne per non essere arrestati, era lì ad aspettare che qualcuno aprisse il fuoco. «È un pensiero che abbiamo avuto tutti», dice Paola: «Ci siamo detti: che cosa servirà metterli in galera, usciranno, riprenderanno a vivere così». Insomma, meglio se sparissero. Sono la causa della vita marcia di troppa gente. «Ma pensare questo è affermare che loro non sono uomini, non sono persone, meritano la morte».
Davanti alle immagini dei telegiornali, Paola e altri amici della comunità di Cl di Rio si sono sorpresi con questo pensiero. Che in loro, come in tutti, conviveva con «un giusto» desiderio di pace, di speranza, «perché finalmente possa cambiare questa terribile sensazione di insicurezza». Ed è quello che hanno scritto in un volantino.
Più guardava quello che succedeva, più Paola pensava «a quanto accade nel carcere di Padova». Dove uomini con pene da ergastolo hanno iniziato a seguire Cristo che ha preso il loro cuore. «Allora non potevo più dire: ammazzateli».
«Pensandoci bene», continua il volantino, «stiamo vedendo soltanto la punta di un problema che è molto più profondo. Che coinvolge migliaia e migliaia di persone e che sta crescendo sempre più: giovani, padri e madri, impiegati, insomma… gente comune che ha perso il gusto della vita e che nella droga trova un sollievo dalla durezza e dal sacrificio che la vita comporta». Ecco il buco che si era aperto in loro vedendo quegli uomini scappare come topi: il gusto della vita. Un pericolo più grande anche di qualsiasi guerriglia urbana. Come dice la frase di Teilhard de Chardin, riportata nel volantino: «Il maggior pericolo che oggi l’umanità possa temere non è una catastrofe che venga da fuori, una catastrofe stellare; non è la fame né la peste, ma invece questa malattia spirituale, la più terribile perché è il più immediatamente umano dei flagelli: la perdita del gusto della vita».
Proprio nei giorni dei disordini, Paola, tornando dalla favela in cui lavora, ha rivisto un ragazzo che per un certo periodo aveva frequentato il loro Centro educativo. Nelson (il nome è di fantasia; ndr) ha diciotto anni. Lei non lo vedeva da tempo: sapeva che era finito nel giro della droga, e pure in carcere, per qualche mese. Lo aveva dato per “perso”. Invece lui le chiede un passaggio, sale in macchina e, tutto contento, le racconta di aver iniziato a lavorare in un centro di recupero per ragazzi con precedenti penali, le dice della nuova vita che sta facendo e che cosa si aspetta di bello per il futuro. Poi, mentre la saluta: «Voglio scrivere alla famiglia che mi aiuta (con il Sostegno a Distanza di Avsi; ndr). Erano molto preoccupati per me, devo raccontargli che sono cambiato».
Paola rimane senza parole. Le era accaduto il giudizio più reale su quanto stava accadendo per le strade di Rio. «Nelson è la prova che per combattere la violenza c’è bisogno che il cuore venga educato al bene». «Qualcosa», dice il volantino, «per cui valga la pena vivere, così che la vita possa tornare a essere più umana, più vera, più degna di essere vissuta, senza aver bisogno di ricorrere a dei momenti di fuga». Come la droga. «Quello che può cambiare il cuore di un solo uomo è lo stesso che cambia il mondo», conclude Paola: «Perché il cuore di tutti è ferito allo stesso modo e ha bisogno di tornare a pulsare». Di incontrare qualcuno, non importa se per tanto o per poco, che però gli indichi una strada che può percorrere. Come Disma, il buon ladrone di cui parla il volantino: «L’irruzione di Cristo nel mondo ha salvato un giorno un ladrone, che si è pentito poco prima di morire, e lo ha portato in Paradiso prima di qualsiasi altra persona. Questo fatto è presente oggi nella Chiesa».