Il gruppo degli organizzatori e dei volontari.

MEETING D'EGITTO Nel cuore del cuore del Cairo

Un giorno e mezzo fittissimo, distillato di ciò che in Italia si dipana in una settimana. Ma l'anima è la stessa. Ecco quello che è accaduto al primo Meeting "di Rimini" del Cairo
Davide Perillo

È finita come era cominciata: in bellezza. Con le note di Schubert e Astor Piazzolla a risuonare tra le mura della Cittadella del Saladino, davanti a cinquecento persone sorprese e grate. E con Wael Farouq, l’anima di questa manifestazione, che saluta usando di continuo - ma non a sproposito - un aggettivo: «storico».
Lo è stato davvero, questo Meeting del Cairo. Un giorno e mezzo fittissimo, distillato di ciò che il “fratello maggiore” riminese dipana in un settimana. Tempi e spazi sono diversi, chiaro. Ma l’anima è identica. Lo si era visto nella serata inaugurale, si è capito ancora meglio ieri, nella raffica di incontri che hanno fatto da spina dorsale dell’evento. Livello alto, decisamente. Filo rosso chiaro (la bellezza, appunto, «spazio del dialogo»). Ma soprattutto parecchia voglia di capire, di conoscere e conoscersi. Tra i relatori sul palco, ma anche tra i cinquecento che stipano la sala dell’Opera House della capitale egiziana, accolti dai sorrisi dei volontari in polo blu che in molti casi sono coetanei, perché tra il pubblico i giovani sono parecchi.
Il primo incontro è dedicato proprio a Rimini. Emilia Guarnieri racconta la storia del Meeting, di quella serata in pizzeria in cui un gruppo di amici sui trent’anni presero sul serio se stessi, l’esperienza di fede che vivevano e il desiderio di «essere utili al mondo. Siamo partiti con una stima per il cuore dell’uomo, per i suoi desideri più veri. Abbiamo investito su quello. Abbiamo verificato che nell’esperienza elementare l’umanità può davvero trovare un terreno comune. Ed è quello che vedo anche qui: qualcosa di vero, bello e buono». Racconta la nascita dell’amicizia con Farouq, quel viaggio al Cairo da cui si tornò sorpresi («Siamo diventati amici!»), dal metodo, che resta l’essere «colpiti da qualcosa che sta succedendo». E da un rapporto «che ci costringe ad andare a fondo della nostra identità. Questo è il dialogo che ci interessa». E cosa generi questo dialogo lo racconta Tarek, di Alessandria, che a Rimini c’è stato due volte: la prima perché «curioso, volevo conoscere l’Europa, i giovani di lì». Ma la seconda per lavorarci: «Perché ero rimasto colpito dai volontari. Non potevo immaginare. Lì ho capito che cosa vuol dire un servizio. Ho imparato a dare, a lavorare con gioia. Ho capito che ogni tipo di lavoro deve essere apprezzato. E che una cosa che oggi è un seme, può diventare un frutto».
Magari impensabile. Come la mostra sulla Via Lattea, tradotta in arabo, che campeggia nei corridoi dell’Opera. E che richiama il secondo intervento, quello dell’astrofisico Marco Bersanelli. Parla del cielo, che «ovunque, in qualsiasi civiltà è sentito come sintomo del divino» perché è condiviso da tutti, è immenso, è bello, suscita attrattiva e stupore, ed è legato alla vita, «permette alla vita di essere. E, soprattutto, fa chiedere all’uomo: chi sono?». Immaginatevi la platea, davanti a uno scienziato che cita i salmi e Leopardi mostrando slides in cui si parla di supernove e anni luce. Fino alle foto dell’origine dell’universo, 13,7 miliardi di anni fa. Perché adesso possiamo conoscerlo di più, l’universo. Persino fotografarlo. «Ma il cielo continua ad essere segno privilegiato di Dio. E questa percezione della sua bellezza è il motivo ore cui si fa ricerca scientifica. L’uomo si muove per conoscere partendo da un’attrattiva».
Pausa pranzo. Poi si torna in sala. Si parla del cuore, stavolta. Di quella «natura che ci spinge a desiderare cose grandi». E permette incroci imprevisti. Saeed al Wakeel, dell’American University, racconta di come leggere don Giussani l’abbia «aiutato a capire Ibn Arabi», filosofo del Medioevo, tra i capisaldi del pensiero sufi: «Per entrambi, l’esperienza è la base della conoscenza. E una via per l’assoluto». E Jean François Thiry, docente di Teologia arrivato da Mosca, in qualche modo va a fondo del pensiero di Giussani, di quel «cuore che scopre la realtà». Citando Tolstoj e Dostoevskij, Pasternak e Leopardi. A tradurre in arabo c’è Abdel Fattah Hasan, italianista, ex imam a Roma. E deputato. Anche questo è il Meeting.
L’ultimo incontro è sul titolo stesso della manifestazione. Palco assortito, come al solito. Samir Gharib, presidente dell’Organizzazione per l’Armonia Urbana, racconta il suo lavoro di restituire bellezza alle strade e ai palazzi del Cairo partendo dall’idea che la bellezza è «unione di ragione e sentimento. L’uomo arriva a capirne il significato conoscendo. È un modo per mantenere l’umanità, un mezzo di comunicazione, un ponte tra il passato e il presente». Accanto a lui, don Ambrogio Pisoni. È suo l’ultimo intervento di questo Meeting. Il testo lo avete qui a fianco. L’effetto in sala, avreste dovuto vederlo. Stupore e Letizia. E, se possibile, la scoperta di ritrovarsi ancora più amici, mentre si usciva per avviarsi verso la Cittadella del Saladino.
È il cuore del cuore del Cairo. E il Meeting è arrivato fin lì, con il concerto finale del Trio Schubert. Brahms, Paganini, Dvorak. Un’ora piena di bellezza, appunto. Era il tema del Meeting Cairo di quest’anno, chissà quale sarà quello del prossimo. Perché una cosa è certa, anche per Farouq che saluta il pubblico con un «arrivederci tra un anno»: siamo solo all’inizio.