Massimo Borghesi.

Se la fede, quella vera, serve alla politica

Attorno a un tavolo per guardare agli ultimi anni della Storia. Lo spunto, l'ultimo libro del filosofo Massimo Borghesi, sulla "teologia politica". Con l'autore, al Centro Culturale di Milano, Antonio Polito, giornalista, e il professor Silvio Ferrari
Giovanni Ferrari

«Che rapporto c’è tra religioni ed istituzioni?». È questa una delle domande con le quali il direttore di TgCom, Alessandro Banfi, ieri sera ha introdotto l’incontro “La testimonianza o il potere. Che cosa rifonda la politica nella storia”, organizzato dal Centro Culturale di Milano e dalla Fondazione Oasis. Il dibattito ha come presupposto la discussione attorno al libro del filosofo Massimo Borghesi, Critica della teologia politica (Marietti). Oltre all’autore, a parlarne anche Silvio Ferrari, docente di Rapporti tra Stato e Chiesa presso l’Università degli Studi di Milano, e Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.

Come ricorda lo stesso Banfi, «questo libro è pieno di spunti interessanti e la profondità del pensiero di Borghesi aiuta a comprendere molti fatti dell’oggi». La storia ha tanto da raccontarci. E da farci scoprire.

Ferrari inizia la sua personale riflessione sull’opera partendo da una distinzione fondamentale dello stesso Borghesi, che fa da leit motiv all’intero percorso: «C’è una grande differenza tra teologia politica e teologia della politica». La prima di queste «presenta numerose negatività e confonde Dio con Cesare, provocando guai» - vedi fondamentalismo religioso e guerra in Iraq -, mentre la seconda «non affida alla politica il compito di realizzare il regno di Dio in questo mondo». In essa, infatti, «la fede religiosa anima l’azione politica, ma non si identifica in essa». Detto questo, è evidente che «il principio che ispira la sfera pubblica è la libertà»: una sfida che si deve accettare «con coraggio, perché è la condizione per arrivare a costruire il bene comune». Per fare tutto questo, bisogna però ripensare «la nozione di spazio pubblico»: «Noi abbiamo sempre pensato che per avere uno spazio pubblico imparziale, sia necessario neutralizzarlo», spiega Ferrari: «Ma mi chiedo se invece la sfida non sia quella di costruirlo con un metodo inclusivo», dando cittadinanza a «una pluralità di esperienze di vita». Uno spazio pubblico colorato, e non più in bianco e nero.

«Il libro di Borghesi illumina lo straordinario decennio lasciato alle spalle, nel quale abbiamo visto l’attentato alle Torri Gemelle, evento paragonabile alla presa di Costantinopoli», inizia Polito. «Proprio quando il nemico è alle spalle, ci interroghiamo su chi siamo e su quale sia la nostra civiltà». A partire da quegli anni, secondo l’editorialista del Corriere, l’Occidente si è posto davanti a due questioni fondamentali: «Ci si è chiesti se per combattere il nemico sia necessario assomigliargli o rimanere se stessi» e ci si è posti la questione della «laicità». I risultati ai quali si è arrivati hanno confermato la tesi che «l’Occidente non deve rispondere imitando gli avversari»: ma per fare questo deve «estromettere la fede dallo spazio pubblico?».

All’autore della Critica della teologia politica, Massimo Borghesi, il compito di concludere questa importante chiacchierata: «Oggi abbiamo disperatamente bisogno di una linfa religiosa che dia un po’ di fiato e respiro a questo panorama politico così ripiegato su idee così piccole». Abbiamo quindi un «disperato bisogno di teologia della politica», continua il filosofo: «È interessante vedere anche come da un punto di vista laico viene la richiesta di trovare una sponda teologica attraverso la quale la politica possa tornare ad esprimere di più». In un’analisi storica ben dettagliata, Borghesi ha tentato di spiegare come la teologia politica abbia complicato, fin dagli anni Settanta, il quadro generale (non solo europeo), «perché la scelta religiosa comportava una certa scelta politica». Tra i numerosi esempi citati, il ritorno della teologia politica dopo i tragici eventi del 2001: «Da una parte l’islamismo radicale (che chiaramente non rappresenta tutto l’islam ma solamente la sua parte fondamentalista) e dall’altra l’Occidente». In questa lotta contrapposta (così simile a quanto accadeva nella lotta al marxismo targata anni Settanta), l’Occidente «ha proposto una religione civile americana, incentivata dallo stesso Bush, che ha resuscitato l’aspetto bellicoso dell’America». Tale tragico scenario è stato profondamente compreso e migliorato dall’opera di Giovanni Paolo II che si è opposto «quasi da solo al presidente americano». Non ha problemi Borghesi a dire a gran voce che «il militarismo che si ammanta del velo religioso è uno schifo». Ma questi momenti di “rottura”, oltre a risvegliare tale teologia politica, hanno dimostrato che «si può essere cristiani senza vergognarsene». E che questa è finalmente una possibilità per il presente.