Alberto Gambino.

«Omofobia? Così si finisce col discriminare gli altri»

È passata alla Camera con 228 voti favorevoli. Ma c'è chi intravede nella legge sull'omofobia un paradosso: prima si stabilisce il reato (dai confini incerti), poi si individuano diritti (pacifici) da garantire. Parola del giurista Alberto Gambino
Viviana Daloiso

Da un lato una «buona cosa»: due clausole di salvaguardia che tutelano la libertà di opinione e di condotta. Dall’altra una sconfitta, e per tutti, visto che in una legge contro la discriminazione di alcuni «si finisce per discriminare altri». Alberto Gambino insegna Diritto privato all’Università europea di Roma e alla scrivania del suo studio legale si divide tra le telefonate degli amici giuristi e parlamentari: «Nelle file del Pd già ieri s’era deciso come votare - racconta -: sì all’emendamento cosiddetto Verini-Gitti, che tutelava in parte le richieste dell’anima cattolica, sì alle aggravanti previste dalla seconda parte dello stesso emendamento Verini, che invece accontentava l’ala più progressista».

Professore, partiamo dal primo punto, vale a dire l’emendamento Verini-Gitti.
Questa è la parte buona del voto di ieri. Sostanzialmente, rispetto all’originaria impostazione del testo di legge, si è ottenuto che i reati puniti come atti di omofobia non possano "allargarsi" alle opinioni e alle condotte che fanno leva sulla differenziazione sessuale.

Può farci due esempi concreti?
Per quanto riguarda le opinioni, non costituisce istigazione all’omofobia il fatto che durante un’omelia un sacerdote parli della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Per quanto invece riguarda le condotte, non costituisce omofobia il fatto che in una scuola paritaria o in una università cattolica si scelgano insegnanti che condividono un progetto formativo che veda nella unione eterosessuale il modello di famiglia su cui costruire la società. Anche se a dire il vero, si tratta di un paradosso.

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