Angela Merkel.

Nella testa dei tedeschi

Con la Merkel il Paese si è guadagnato l’antipatia del resto d’Europa. Motivo? Voler imporre il rigore alle economie altrui. E domenica si vota. Ma che cosa si pensa davvero a Berlino? Il politologo Angelo Bolaffi prova a rispondere
Martino Cervo

Epiteti irriferibili, vittorie a calcio e sberle in economia. Nella crisi dell'area euro, Italia-Germania non finisce 4 a 3: sommersi da stereotipi e strumentalità politiche, non è semplice anzitutto farsi un’idea della reale situazione della nazione locomotiva d’Europa, che sotto la guida di Angela Merkel si è guadagnata le maledizioni di mezzo Continente per aver imposto un approccio “austero” come ricetta alla recessione che investe l’area della moneta unica. Per scavare sotto una patina di etichette spesso appiccicose ma infedeli, Tracce ha intervistato il professor Angelo Bolaffi, filosofo della politica che dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana di Berlino. Bolaffi è fresco autore di Cuore tedesco (Donzelli, 266 pagine, 18 euro), un volume che rappresenta un efficace tentativo di avventurarsi, con prospettiva prossima a quella tedesca, al centro di una Weltanschauung spesso imbrigliata tra un passato schiacciante e un presente deformato dai luoghi comuni.

Professore, lei è stato a lungo a Berlino. Come è considerata oggi l’Italia?
Per i tedeschi è in corso una sospensione di giudizio. Almeno dalla seconda metà degli anni Settanta, per chi vive in Germania la politica italiana è un rebus. Allora la presenza di grandi partiti confratelli (Dc e Cdu, Pci/Psi e Spd) rappresentava un canale di collegamento. Il gigantesco problema dell’Ostpolitik poi rendeva l’Italia fondamentale per i tedeschi. Oggi il quadro non è mutato radicalmente, semmai le storiche perplessità si sono aggravate, specie per i recenti travagli politici di un Paese che ha visto succedersi in maniera drammatica tre Governi in meno di due anni. Tuttavia i tedeschi sono consci del ruolo che l’Italia ha in Europa, che non è eludibile ed è quasi superiore a quello della Francia.

Nel suo libro critica l’atteggiamento di chi, in Italia, scarica sulla Germania le responsabilità della nostra politica. È un fatto però che la crisi abbia contribuito a un deterioramento dei rapporti. Come lo spiega?
De Gasperi e Adenauer si parlavano in tedesco e si capivano al volo. Ma questo vale anche per gli altri protagonisti della fase embrionale dell’Europa: c’era un personale politico con una koiné culturale, linguistica e spirituale che oggi non esiste. La situazione si è complicata, anche per un fatto molto concreto: non c’è tempo. Rispetto a dieci o trent’anni fa, i vertici tra i big europei durano pochissimo. Prima, gli spostamenti consentivano di conoscersi. Oggi anche Matteo Renzi, la cui visita ad Angela Merkel ha destato tanto scalpore, ha visto la Cancelliera per il tempo di un flash o poco più. Senza contare che il numero degli “attori” in campo è lievitato, dal momento che assemblee come quella del G20 o dell’Europa a 27 un tempo non erano luoghi decisionali così rilevanti come oggi. Dunque contano moltissimo gli staff, nella preparazione di incontri che spesso si risolvono in una raffica di interventi senza reali discussioni.

Da questo punto di vista, com’è messa l’Italia?
Noi abbiamo Banca d’Italia e Farnesina che rappresentano eccellenze assolute nella formazione e nell’efficacia delle squadre di lavoro. Oggi è cambiato il ruolo della diplomazia: non è più semplice rappresentanza, ma una vera e propria postazione di studio dei Paesi per preparare i dossier sui terreni più delicati.

Nel libro lei percorre e in larga parte sposa le ragioni della posizione tedesca sull’eurocrisi. Nel periodo recente sono emersi segnali di tenue ripresa nella zona “periferica” dell’area euro, mentre la Germania, che pure si mantiene su livelli eccellenti, ha accusato minime battute d’arresto sulla produzione industriale e sull’export. Questo muterà l’atteggiamento di Berlino?
Lo escluderei nella maniera più assoluta. La Germania non cambierà posizione, al massimo accenti. Ma proprio il fatto che comincino a vedersi cenni di ripresa conferma la giustezza della diagnosi. Ho visto il programma elettorale della Merkel: ci sarà un aumento della spesa interna mediante aumento dei consumi e concessioni salariali come dividendo sociale. Questa scelta potrà “tirare” anche l’import tedesco, e dunque l’export altrui, tra cui quello italiano. Ma non è pensabile che la Germania apra di colpo a una economia finanziata col debito.

La Germania che esce dal libro sembra un Paese perfetto. Eppure proprio le riforme di Schröder furono fatte sforando il tetto del deficit sul quale oggi Berlino è inflessibile con gli alleati. E il sistema bancario tedesco non è al riparo da critiche: non a caso è proprio la Germania “europeista” a costituire il blocco maggiore all’unione bancaria...
Non ho certo scritto un libro filo-tedesco. Non penso che la Germania sia il migliore dei mondi possibili, solo il meno peggio tra quelli che esistono. È vero, la Germania di Schröder sforò i patti (in ottima compagnia) e oggi la Germania della Merkel attacca chi sfora, ma non va dimenticato che a partire dal 2005 “Agenda 2010” (il programma di riforme del predecessore socialdemocratico dell’attuale Cancelliera; ndr) è costato anche in termini di salari. Nessuno lo ricorda, ma allora furono spazzate via tredicesime e quattordicesime dei lavoratori dipendenti: tutti hanno pagato per quelle riforme, e caro. Ma è un fatto che Schröder non amasse l’Europa: ebbe grandi scontri col suo ministro Fischer, e poi fu punito dall’elettorato. E di certo la Merkel ha beneficiato delle sue riforme più di lui, come accadde con Blair dopo la Thatcher.

A proposito di fatti: Usa e Giappone stanno ripartendo a tassi di crescita molto più sostenuti rispetto alla grave e persistente recessione europea. E lo hanno fatto con una ricetta opposta a quella tedesca: stampare moneta e aiutare l’economia. In Germania che spiegazione si dà di questa discrasia?
Parliamo di grandezze non commisurabili: l’Unione europea non è uno Stato con un Governo, forze armate, bandiera e banca centrale come quelli citati. È una comunità di Stati che ha convenuto di cedere sovranità. I commentatori tedeschi, per risponderle, non dimenticano che la crisi è originata dall’America col fallimento di Lehman nel 2008. Né che un modello di finanziamento irresponsabile ha scatenato la crisi spagnola dei mutui. Ma soprattutto non abbiamo controprove che una ricetta “americana” sarebbe stata possibile o efficace in Europa.

Corretto o meno che sia, l’approccio tedesco ha teso a dividere l’Europa in Paesi “austeri” e Paesi “spreconi” del Club Med dell’area euro. La convince lo schema “religioso” di un conflitto tra protestanti e cattolici sul terreno dell’economia?
No, per nulla. Basta ricordare che la potenza della Germania è nell’ex Germania Ovest, che è per due terzi cattolica. Adenauer era cattolico. Bisogna ragionare piuttosto sul sospetto tedesco per il modello keynesiano: l’ideologia economica di Berlino - in generale non conosciuta né capita in Italia - è “ordoliberale”, sostiene cioè che le regole del mercato debbano essere fatte rispettare dalla politica. Questa “terza via” tra liberismo assoluto e keynesismo classico deriva dalla storia tedesca, che vede in Adolf Hitler il primo “keynesiano integrale”. In più, la Merkel ha osservato un altro genere di “keynesismo impazzito”: quello della Germania Est. Il vero scontro non è religioso ma economico: tra un modello renano e uno anglosassone. L’Italia sta in mezzo e non sa che modello scegliere.

Da diversi mesi nel dibattito italiano si assiste a un’attesa quasi messianica delle prossime politiche in Germania, il 22 settembre 2013: sistemato il voto, ripetono in molti, l’aria cambierà, e Berlino diverrà più ragionevole sulla mutualizzazione del debito e altre misure che potrebbero far ripartire anche la nostra economia. Che risultati prevede, e quali conseguenze per noi?
Mi colpisce questa attesa a dir poco sproporzionata. La Cdu della Merkel sarà il primo partito. La composizione del Governo dipenderà dal risultato dei liberali, che oggi sono alleati della Cancelliera. Se, come sembra, dovessero fare un recupero forte in campagna elettorale, potrebbero ambire a un rinnovamento dell’attuale alleanza. In caso contrario, è possibile un Governo Cdu-Csu-Spd. Quanto all’atteggiamento, potremmo assistere come detto a mutamenti di toni e qualche concessione una volta che le riforme siano realizzate, ma nulla di più. Non dimentichiamo che Peer Steinbrück, lo sfidante socialista della Merkel, è l’uomo che ha fissato i parametri di stabilizzazione delle finanze con cui oggi ci scontriamo...

Pensa che Alternative für Deutschland, il partito anti-euro, potrà dare grattacapi alla Merkel? Se invece farà un terzo mandato, con quali prospettive?
Un po’ come Grillo, Afd ruberà al centrodestra ma anche e soprattutto a sinistra, dunque non rovinerà i piani della Merkel. Una leader dotata di enorme pragmatismo, capacità di lavoro spaventosa e padronanza dei dossier. Ha di certo “socialdemocratizzato” e “verdizzato” la Cdu, svuotando il bacino ideologico dei rivali e fagocitandolo. Per questo è stata criticata, ma resta la prima grande politica, forse dopo Tony Blair, che ha dovuto pensare un Paese nel passaggio epocale della globalizzazione e della crisi. Ha saputo intercettare un cambiamento che ha messo e sta mettendo in difficoltà tutta la sinistra europea. Come ha detto Hollande, la Merkel è «facilissima da capire, difficilissima da convincere». Vedo comunque buone prospettive per la Cdu anche dopo la Merkel: c’è potenzialità di ricambio nel partito per sopravvivere anche alla dipartita politica, tra cinque anni, di un colosso come Angela.

Lei ha parlato di una filosofica “sospensione del giudizio” a proposito dell’Italia. Vale anche per il Governo Letta?
Sì. Con una precisazione: Letta parla un inglese perfetto, ha un cv di eccellenza, ed è europeista convinto. Dal punto di vista tedesco svetta rispetto a molti politici italiani. Per la Germania è prioritario il rispetto dei patti europei, e da questo punto di vista Letta rappresenta una garanzia.