Il manifesto del progetto.

Un milione di firme per difendere la vita

Il 12 maggio nelle parrocchie italiane una raccolta per l'iniziativa europea "Uno di noi". Obbiettivo? Fermare il finanziamento di esperimenti su embrioni e la promozione dell'aborto terapeutico a livello di Ue. Una questiona laica che riguarda tutti
Anna Minghetti

Il 2 maggio la Sala Marconi della Radio Vaticana ha visto la prima manche di un'importante battaglia: la presentazione della giornata di raccolta firme che si svolgerà il prossimo 12 maggio nell’ambito dell’iniziativa “Uno di Noi”. Presenti per l'occasione Carlo Casini, presidente del Comitato organizzativo per l’Italia di “Uno di Noi”, Maria Grazia Colombo, membro del Consiglio esecutivo, e Jaime Mayor Oreja, membro del Comitato europeo e già ministro dell’Interno spagnolo.

Il progetto, che ha preso avvio circa un anno fa, è tra le proposte che prendono il nome di “Iniziativa di cittadini europei” (Ice), nuovo istituto di partecipazione democratica predisposto dal Trattato di Lisbona ed entrato in vigore il 1° aprile 2012. Attraverso questo strumento si dà l’opportunità ai cittadini dei Paesi membri di chiedere all’Unione Europea una legge comunitaria su materie di sua competenza.

“Uno di Noi” ha l’obiettivo di fermare il finanziamento da parte dell’Ue di quelle realtà che portano avanti esperimenti su embrioni umani o che promuovono l’aborto come strumento terapeutico. Per raggiungere questo scopo è necessario raccogliere entro il 1° novembre 2013 un milione di firme in almeno sette Paesi Ue, rispettando quorum minimi che variano per ogni Stato a seconda delle dimensioni demografiche.

«Per ora abbiamo raccolto 300mila firme», ha affermato Carlo Casini, e si è quindi ancora lontani dai parametri disposti dall’Unione Europea. Tuttavia si nutre fiducia nel «grande slancio» rappresentato dalla giornata del 12 maggio, che vedrà coinvolte tutte le parrocchie italiane. La decisione di partire da queste realtà non vuole in alcun modo marcare linee di confine tra laici e cattolici o creare schieramenti inutili, come ha ricordato Maria Grazia Colombo. «Questa è una questione laica, di tutti e per tutti. Perché la vita riguarda tutti. È chiaro che i cattolici possono avere un’attenzione maggiore, ma lo sforzo di lavoro deve essere volto a tutti. Perché chiedere una firma vuol dire dover fornire le ragioni del perché si difenda la vita, che non devono mai essere date per scontate. Dare per scontato paralizza, non fa muovere verso gli altri. Invece questa dev’essere un’occasione, come ricordava Papa Francesco, per creare dei ponti».

Si è voluto poi aggiungere come questa iniziativa non nasca da una fazione politica particolare, ma sia frutto dell’impegno dei cittadini, così come stabilito dal Trattato di Lisbona. Non è perciò un tema appannaggio di un gruppo determinato o di una identità singola, perché, lo ha sottolineato Jaime Mayor Oreja, «c’è di mezzo la ragione umana e siamo aperti a tutti».

Da ultimo, non è mancato un accenno alla situazione drammatica che il nostro tempo sta vivendo e, in particolare, alla crisi economica. Di fronte alla domanda di come si possa far comprendere l’importanza del salvare un embrione umano, dal momento che i cittadini sono presi da tutt’altro che a loro sembra in questo momento prioritario, si è dimostrata di particolare interesse la risposta di Mayor Oreja. «È importante capire che cosa sia la crisi e, soprattutto, quali siano le sue cause. Essa è stata provocata dalla vittoria dell’economia della menzogna sull’economia della verità. Ancora prima che di una crisi economica e sociale, si tratta, quindi, di una crisi della persona. La stessa crisi che porta alla cultura della morte, che non riconosce all’embrione la dignità che ha. Il punto è, quindi, capire che si tratta della medesima crisi e che la battaglia da portare avanti è, prima di tutto, una battaglia culturale».