M.Mauro, B.Scholz e G.Vittadini durante l'incontro.

MARIO MAURO
«A servizio dell'Europa che vogliamo»

Un incontro al Palasharp di Milano, il 18 maggio, con il candidato alla Presidenza del Parlamento europeo. Un'occasione per ribadire perché vale la pena sostenerlo. E perché «la sua candidatura corrisponde al nostro desiderio»
Paolo Perego

«Sono solo Mario. Ma quando la casa brucia e bisogna tirarsi su le maniche... Allora divento Mauro». Lunedì 18 maggio. Il Palasharp di Milano esplode in un boato. Opposta al palco, la curva piena di giovani si tinge di magliette e palloncini gialli: «Uno di noi, Mauro uno di noi...». E il candidato alla presidenza dell’Europarlamento li segue infilando la t-shirt canarino che porta impresso il suo nome.
Ad aprire l’incontro milanese era stato pochi minuti prima Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere e organizzatore dell’evento: “Difendere la libertà, sostenere la responsabilità”, era il volantino che ha dato il titolo all’incontro. «Non siamo euro-scettici o euro-utopici - ha detto Scholz -. Siamo realisti: ci interessano le persone. Che vivono nell’Unione. Per questo ci interessiamo dell’Europa». Parla di “popolo”, il presidente CdO, una realtà viva e ben radicata in una tradizione. Irriducibile a “massa anonima” come certa legislazione comunitaria, in nome di un ambiguo concetto di non discriminazione, vorrebbe ridurlo: «Perché il bene comune non lo fanno le istituzioni con la burocrazia: lo fanno solo le persone libere».

Tre storie di una storia
E liberi sono i tre imprenditori che con semplicità raccontano le loro storie “europee”. Mauro Biondi, emigrato anni fa dalla sua Sicilia. Approda in Irlanda. E mette in piedi una scuola di lingua che oggi è un fiore all’occhiello della bella Dublino. «Ricordo che nel 2001, dopo l’11 settembre, nessuno viaggiava. E noi viviamo dei viaggi di quegli studenti che vengono in Irlanda a imparare l’inglese». Alla ricerca di “clienti”, Biondi si imbatte in uno che non aveva mai incontrato prima: «Ma tu cerchi sempre di proiettare chi sei nel tuo lavoro?», gli chiede il tizio. «Anni dopo, parlando con un amico, lui mi diede questa definizione di imprenditore: un uomo che costruisce esprimendo se stesso». E Biondi lo fa in un campo, quello dell’International education, che nell’ultimo periodo è in forte crescita. «La domanda educativa è fortissima. Ma se tanti scelgono di andare altrove, Australia per esempio, è perché in Europa ci sono troppi vincoli burocratici al momento».
Anche Donato Di Gilio, consulente aziendale varesino, dal 1992 vive all’estero, in Polonia. «Due aspetti positivi dell’ingresso in Europa della Polonia. Intanto i polacchi si sono sentiti finalmente liberi». Dai regimi, che li vessavano dalla fine della Guerra, come spiega Di Gilio citando un discorso di Papa Wojtyla a Montecassino. E liberi di appartenere di nuovo a quel popolo europeo di cui da sempre si sentono parte. «E poi è arrivato il benessere. Grazie alle risorse finanziarie stanziate dall’Europa per le politiche di coesione: 67 miliardi di euro, a fronte, per esempio, dei 29 dati all’Italia». Certo oggi c’è la crisi, dice Di Gilio, raccontando di un imprenditore in difficoltà: «Che fa lui? Investe lo stesso e rilancia l’azienda, innovando e diversificando il prodotto. Perché, dice lui, “ritirarsi sarebbe tradire ciò che desidera come uomo”. Sono questi gli ideali e le realtà che l’Europa che vogliamo deve servire».
Tocca poi ad Antonio Intiglietta, presidente di Gestione Fiere di Milano. Tra gli inventori della Fiera dell’Artigianato, una kermesse annuale che raduna nei padiglioni milanesi piccoli artigiani e imprenditori da tutto il mondo, per esporre e vendere i loro prodotti. «Abbiamo girato il mondo e soprattutto l’Europa per conoscere questi artigiani. E abbiamo trovato un filo che li lega tutti. Che tiene insieme questi popoli. È una centralità sperimentabile, quella della tradizione millenaria della Chiesa, che si legge bene nella capacità di dare ogni volta risposte alle esigenze della vita: è l’incarnazione nell’opera dell’uomo dell’opera di Dio». Una “storia di storie”, la chiama Intiglietta, «che ancora oggi resiste nonostante tutti e tutti».

Quella scintilla chiamata desiderio
«Solo una società viva costruisce il bene comune», riprende Scholz. «E il primo e più importante contributo alla costruzione di questa società è l’educazione. Esempio? La crisi: tutti parlano della crisi come errore sistemico, come di qualcosa che si può riparare avvitando due bulloni. E invece la crisi di oggi ci mette di fronte a una questione di carattere culturale ed educativo. Perché a quel desiderio buono di costruire si è sostituito il profitto. L’Europa oggi dimentica le sue radici? E noi le difendiamo, difendiamo la Chiesa e quella tradizione cristiana che ha permesso la nascita dell’Europa».
Prima di lasciare la parola a Mario Mauro, anche Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, precisa alcuni punti: «Era il 1987, ad Assago, un convegno della Democrazia Cristiana. Don Giussani parlava di esperienza elementare, di quell’insieme di esigenze ed evidenze che sono la scintilla per accendere “il motore” dell’uomo». Senza questo desiderio, l’uomo non si muove, dice Vittadini: se c’è la crisi, si invoca l’aiuto dello Stato. «Invece quel desiderio c’era quando quei sei Paesi che si erano letteralmente scannati durante la guerra si sono messi insieme, con la Ceca (carbone e acciaio): volevano costruire, insieme». Già, ma a volte il desiderio, come diceva Scholz nel caso della crisi, perde di vista il suo oggetto, spostandosi verso altro, il profitto, nel caso… «Storicamente sono stati i movimenti di popolo, quelli operai, quelli cattolici, a sfidare gli uomini a essere uomini. E a volte sbagliando. Mentre le istituzioni burocratiche, anche oggi come in passato, cercano di frenare queste iniziative che sono la possibilità di redenzione di un popolo. E questo anche in Europa». Quale risposta? «Occorre sostenere gente che testimonia una posizione diversa, che si muove in modo diverso. E il sostegno della candidatura di Mario Mauro alla Presidenza del Parlamento europeo va esattamente in questa direzione. Corrisponde al nostro desiderio rispetto all’Europa che vogliamo».

Per continuare l'opera
Ed eccolo, Mauro, mentre indossa la stessa maglia dei suoi sostenitori. È uno di loro. Va in Europa per loro. Non a parole, la gente l’ha capito. Così come lo hanno capito i due ragazzini, Veronica e Francesco, che gli hanno scritto dopo averlo incontrato durante una gita a Bruxelles. «Se l’Europa non serve a quanto ascoltato questa sera, allora hanno ragione i terroristi della stazione di Atocha di Madrid, quando fecero saltare la stazione nel 2004: “Abbiamo vinto noi, perché amiamo la morte più di quanto voi teniate alla vita”, avevano detto. A cosa teniamo davvero?» Lui che da dieci anni sta a Bruxelles, dice che il suo lavoro è la sua opera, che da lì può andare a vedere come stanno realmente le cose. Che, per esempio, quelle radici cristiane che difende, e intende continuare a difendere, non sono invenzioni: «Basta guardare alla storia del simbolo europeo, dodici stelle su fondo blu». Un bozzetto disegnato da un pittore che si è ispirato a quella piccola medaglietta chiamata “miracolosa”, coniata da santa Caterina Labouré a Parigi su indicazione della stessa Vergine durante un’apparizione. «Occorrono progetti politici che partano dalla persona, dalla sua creatività e che la valorizzino. E sostenere le opere e il patrimonio di risorse comuni di tutti i popoli europei». Che si debbano fare delle scelte, questo è chiaro. «Ma la direzione da seguire è quella di una politica vera che, come diceva don Giussani ad Assago, difenda una novità di vita nel presente, come le storie di cui abbiamo sentito prima. E, quindi, sia capace di modificare anche l’assetto del potere, ma solo come conseguenza della prima cosa. Se non fosse così, chi volesse governarci, per farlo ci dovrebbe togliere la faccia: “Chi ama la res publica avrà la mano mozzata”, diceva Milosz. A noi le mani servono, per poterle mettere in pasta e servire quello che siamo».