Pittella, vicepresidente del Parlamento europeo.

EUROPA Sui cristiani, un passo avanti e tre indietro

Dopo la risoluzione del Parlamento per tutelare le minoranze religiose, la Commissione fa marcia indietro. Nessuna menzione ai cristiani nella bozza. E ora? Gianni Pittella, vicepresidente del Parlamento europeo spiega perché la partita è ancora aperta
Paola Ronconi

Sul nostro sito il 19 gennaio titolavamo E adesso (finalmente) l’Europa difende i cristiani: il Parlamento europeo quel giorno avrebbe votato una risoluzione per tutelare le minoranze religiose. Così è stato. Ma quando il Consiglio dei ministri degli Esteri si è riunito per preparare un documento che doveva dare una prima attuazione pratica di quella linea, la bozza della risoluzione circolata tra i ministri aveva tutt’altro tono: nessuna menzione alle minoranze cristiane né alle relative proposte d’azione presenti nella risoluzione (rapporti commerciali solo con Paesi che garantiscano la libertà religiosa e istituzione di un organo che vigili). Il ministro Franco Frattini ha quindi ottenuto di ritirare il testo. «Chiedevamo azioni concrete, non chiacchiere», dice Gianni Pittella (Pd), vicepresidente del Parlamento europeo, promotore con Mauro della risoluzione «con riferimento chiaro e inequivocabile alla persecuzione dei cristiani». E denuncia «l’immobilismo delle istituzioni europee: finora non sono andate oltre la condanna formale. Spenti gli ultimi echi delle stragi di Natale, sono tornati a prevalere gli interessi economici e politici sul rispetto dei diritti».

Lei ha parlato di “eccesso di diplomazia” e “laicismo patologico” del testo presentato ai ministri da Catherine Ashton (alto rappresentante della politica estera Ue; ndr). Cosa c’è dietro queste definizioni?
L’atteggiamento adottato finora dall’Ue è il risultato di un mix tra l’intangibilità a livello comunitario degli interessi particolari delle maggiori potenze in Paesi con i quali intrattengono antichi rapporti (spesso risalenti al passato coloniale), e pregiudizi laicisti - altrettanto superati - nei riguardi della libertà religiosa. Come se questa fosse un diritto di serie B e non il presupposto senza il quale tutti gli altri diventano evanescenti. Si difendono posizioni e interlocuzioni privilegiate che fruttano ricchi scambi, commesse e influenza politica in aree nevralgiche del mondo. E si ritengono le provocazioni e gli attacchi, apparentemente di matrice religiosa, messe in atto proprio per rompere questi equilibri dai gruppi più estremisti con l’acquiescenza o la complicità di taluni governi, come un fattore terroristico con il quale ormai si pensa siamo abituati tutti a convivere. Un prezzo considerato tutto sommato trascurabile e accettabile pagato dalle comunità più inermi e indifese.

Monsignor Rino Fisichella, come anche il ministro Frattini, ha dichiarato che questa mossa rischia di far perdere credibilità a un’Europa che grazie alla posizione della Ashton fa “un passo avanti e tre indietro”.
Con l’introduzione di una sorta di ministro degli Esteri europeo avevamo sperato in molti che l’Ue sarebbe finalmente scesa in campo nell’agone mondiale con una voce sola, imponendo la sua forza sulla bilancia degli equilibri mondiali per far valere prima di tutto i diritti fondamentali ai quali si ispira e sui quali si fonda: pace, democrazia, solidarietà, tolleranza, difesa delle fasce più deboli dalla discriminazione e dal disagio economico e sociale. Mi pare che alla prova dei fatti siamo ancora fermi al palo mentre tensioni senza precedenti sconquassano il quadro internazionale anche a poche miglia marine dalle nostre coste, nella sponda sud del Mediterraneo e a pagarne le conseguenze sono ancora una volta i più deboli.

Come continua ora questa battaglia?
La forza conferita dal Trattato di Lisbona al Parlamento europeo, ormai co-decisore per ogni deliberazione dell’Ue, deve sommarsi alla voce dei parlamenti nazionali perché nei rapporti bilaterali siano introdotti oltre agli aspetti economici anche precisi parametri per valutare il reale rispetto dei diritti umani e religiosi con i partner internazionali. Nella risoluzione abbiamo chiesto anche la costituzione di un osservatorio che monitori costantemente quanto viene fatto in questo settore nevralgico nei singoli Paesi e che orienti conseguentemente la politica dell’Unione e dei suoi Stati membri.