<em>I primi passi</em>, di Jean-François Millet.

ADOZIONI Perché uno non basta

Una sentenza della Cassazione scatena la polemica sull'adozione ai single. Ma nasconde un attacco «al legame uomo/donna». Parla lo psicanalista Ballerini: «A un figlio serve un rapporto asimmetrico. Perché l'educazione non è un comportamento»
Paola Bergamini

«Il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell'ambito dell'ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona, anche con gli effetti dell’adozione legittimante».
È bastata questa frase, all'interno di una sentenza della Cassazione che respingeva il ricorso di una donna che chiedeva di far diventare "legittimante" l'adozione "speciale" con cui era diventata mamma single di una bambina russa, per far riscoppiare sui giornali la bagarre sul tema adozioni. Interviste, commenti, sondaggi sulla possibilità di adozione da parte del singolo. È ricomparso il solito refrain: «Meglio uno che niente». Al di là del fatto che già la legge prevede in alcuni casi "eccezionali" questa possibilità, abbiamo chiesto a Luigi Ballerini, medico psicanalista e autore di libri per bambini, che cosa c'è "sotto" questa richiesta.

Perché un genitore non basta?
Proviamo a scavare. Siamo di fronte a un problema culturale. Quello che mi ha colpito leggendo i giornali, prima ancora della questione in sé, è l'attacco al rapporto uomo/donna. Che il diritto sancisca lo smantellamento di questo rapporto. Dall'uomo/donna si è passati a marito/moglie, poi al ruolo di marito/moglie, al ruolo di genitori e infine ai comportamenti genitoriali. Quindi l'educazione si riduce a dei comportamenti da adottare. Tutto qui? A questo punto basterebbe un bell'elenco, magari qualche corso di formazione, di training... E alla fine una certificazione che attesta la capacità genitoriale.

E invece?
Il bambino è rapporto con un rapporto. La centralità nell'educazione non è nell'asse padre/bambino o madre/bambino, ma sta nel rapporto tra quell'uomo e quella donna, che prima di essere padre e madre sono uomo e donna. Quindi non basta che siano due - a estremizzare: tre è meglio di due e via discorrendo -, bensì che devono essere uomo e donna. Avvallare il singolo è il primo passo per la coppia gay, cioè si sancisce l'inutilità che ci sia un uomo e una donna nella famiglia.

Perché non due donne o due uomini?
Per sua natura il rapporto è asimmetrico. Quindi, il bene si riceve da un altro che io percepisco come altro. La dissimetria sessuale uomo/donna facilita la comprensione che il soggetto è altro da me. Allora, un bambino viene introdotto alla dissimetria di un rapporto dalla dissimetria sessuale. Cioè è introdotto al fatto che il bene si riceve da altro, diverso da lui. Il dato di partenza facilitante per un bambino - adottato o naturale - è la presenza di questi due soggetti che lo ospitano, che gli fanno spazio nella famiglia, a lui come un terzo nel loro rapporto. Perché il figlio è un supplemento nel rapporto.

In che senso?
Un di più che si aggiunge a qualcosa che c’è già. Sottolineo: un di più. Il rischio del singolo è che invece il bambino venga a colmare un vuoto affettivo enorme. Non è più un supplemento. Che posto va a colmare nella vita di questa persona? La questione diventa delicatissima. Cosa muove il singolo a adottare?

A perorare la causa dei single si prendono come esempi i genitori che o per causa naturale, morte, o per libera scelta, o separazione, educano da soli i figli. E le cose non vanno così male...
Certo, ci mancherebbe. Sappiamo benissimo, però, che questa non è una condizione riconosciuta come facilitante per il bambino. Nel caso dell'adozione decidere che questo sia il punto di partenza per introdurre il bambino alla realtà mi sembra una scelta rischiosa. Siamo sempre lì: non si riconosce il rapporto uomo/donna come punto facilitante per cui un bambino può stare bene nella realtà.

Spesso e volentieri si parla del diritto del bambino ad avere una famiglia...
Ma la famiglia è un uomo e una donna, è un rapporto, che il single non ha. I bambini, normalmente - secondo natura - nascono perché in quel momento un uomo e una donna si sono amati, è successo qualcosa. Siccome questo è l'inizio anche biologico, il problema è se vogliamo dare come nuova partenza a un bimbo adottato un rapporto analogo a quello che lo ha generato. Con cui lui farà i conti. Improvvisamente si decide che non è più così, che basta uno.

Ma perché? Cioè, perché c’è questo attacco culturale al rapporto uomo/donna, in questo caso in campo educativo?
La questione si allarga. È la diffusione della perversione dei rapporti: annullando l'uomo/donna si annulla la differenza tra il soggetto e l'altro. L'altro cessa di essere fonte di un beneficio e questo va di pari passo con la diffusione del narcisismo: esisto io e gli altri mi adorano. L'attacco a questo rapporto è strumentale all'attacco al rapporto tout court. Esiste il soggetto. Punto. Che non è più capace di orientarsi nella realtà e di trarre un bene dall’altro. E, come dice Giacomo Contri, il cui pensiero faccio mio, è diverso dire: fai il bene (imperativo categorico). Oppure: fai in modo che il tuo bene provenga da un altro. La seconda ipotesi mi sembra molto più affascinante.