Una donna somala nel campo profughi di Dadaab.

Perché in Kenya attaccano i cristiani?

Una bomba a Nairobi durante la messa. Un altro attentato in Nigeria. Qual è il significato del crescere della violenza? E chi ha interesse a diffondere l'insicurezza? Lo spiega Leonida Capobianco, responsabile Avsi in Kenya

«L’ambasciata americana in Kenya aveva diramato nei giorni scorsi una comunicazione d’allerta, facendo sapere che esisteva il forte rischio di un grande attentato da parte dei militanti al-Shabab a Nairobi che avrebbe potuto colpire palazzi governativi o grandi alberghi. Il pericolo negli ultimi giorni era quindi nell’aria, e ci era stato comunicato che quanto sta avvenendo in Somalia poteva avere delle ripercussioni anche in Kenya». Leo Capobianco, responsabile Avsi in Kenya, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net i due attentati compiuti ieri in Kenya e in Nigeria: un morto e quindici feriti è il bilancio provvisorio dell’esplosione di una granata all’interno della chiesa di Nairobi Maison de Dieu du miracle, mentre molto più grave è il bilancio dell’attacco avvenuto all’interno dell'Università di Bayero a Kano, nel nord della Nigeria, dove l’esplosione ha causato la morte di almeno venti persone.

Come si spiegano questi attacchi?
Attentati di questo tipo si vedono normalmente nei paesi vicino al confine del Kenya, soprattutto nel campo profughi di Dadaab, ma non è la prima volta che avvengono anche in altre zone del Paese. Sono attacchi che vengono messi a punto per generare panico e paura tra la gente, e soprattutto per fare in modo che il governo cambi idea sull’incursione che sta portando avanti in Somalia con l’obiettivo di eliminare questa falange di Al Qaeda. Assistiamo quindi a questa sorta di vendetta che però colpisce persone innocenti, che non c’entrano niente con quanto sta accadendo.

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