Antonio Polito.

«Quella domanda che vale per tutti»

Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, commenta la lettera di Carrón apparsa su Repubblica lo scorso 1 maggio. «Quello che mi ha colpito è stato il dolore, la sofferenza, l’umiliazione. E la richiesta di perdono»
Antonio Polito

Che cosa abbiamo fatto della Grazia che abbiamo ricevuto? Ecco una bella domanda. Se la pone nella sua lettera a Repubblica Julián Carrón per chi ha fede, e magari una fede militante, esercitata nella fratellanza di Comunione e Liberazione. Ma se la pone anche chi non ha fede, eppure ha sempre creduto che la fede fornisca una corazza migliore e diversa per resistere alle tentazioni del mondo. Non perché si debba pretendere troppo dall’uomo che crede, presumere in lui una coerenza tra il suo essere e il suo dover essere che dal laico, e ancor di più dal miscredente, non ci si aspetta.

No, so anch’io che Formigoni è umano, troppo umano, esattamente come me, e che io non ho titolo a chiedergli di non esserlo solo perché lui crede, e crede fortemente. So anch’io che le opere contano quanto e più della coerenza personale per un cristiano che opera nel mondo, magari in politica, per renderlo migliore, e che il bene fatto a molti non vale meno se se ne è fatto di più a pochi. La giustizia non è di questo mondo. A noi non resta che fare del nostro meglio: fai quel che devi, accada quel che può.

Mi fanno orrore quelli che parlano con ribrezzo dei peccati degli altri, del tutto ignari dei propri, che vedono la pagliuzza nell’occhio dell’avversario e non la trave nel proprio, come tutti coloro che predicano una morale sessuale spregiudicata, ma poi si scandalizzano della spregiudicatezza sessuale, o sorvegliano la correttezza della moglie di Cesare sorvolando su quella della loro moglie. In realtà, dunque, ciò che mi ha colpito nella lettera di don Carrón è il dolore. La sofferenza. L’umiliazione. La costernazione. La richiesta di perdono.


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