Eugenio Mazzarella.

«Cristo, il termine di paragone per l'Io e per gli amici»

Eugenio Mazzarella, filosofo e deputato del Pd, riflette sulla lettera di Carrón a "Repubblica". «Prima di tutto viene Cristo». Prima di ogni tipo di potere, consenso e compagnia
Eugenio Mazzarella

Dolente e severa la lettera di Julián Carrón sugli scandali che hanno coinvolto autorevoli esponenti di Cl in Lombardia: «Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato»; e di una sincerità che ha pochi precedenti nel dibattito pubblico in Italia sui rapporti tra cattolici e politica. E serve, non solo ai cattolici. C’è nella lettera anche una domanda, per certi aspetti sgomenta, su com’è potuto accadere, sull’umiliazione che ne è venuta a Cl come "compagnia cristiana", legata al carisma di don Giussani. Una domanda che non rimane inevasa: «A volte per noi non è bastato il fascino dell’inizio per renderci liberi dalla tentazione di una riuscita puramente umana; la nostra presunzione di pensare che quel fascino iniziale bastasse da solo, senza doversi impegnare in una vera sequela di lui, ha portato a conseguenze che ci riempiono di costernazione». Cos’è accaduto? Credo che Carrón, scrivendo queste parole, si sia ricordato di un ammonimento di don Giussani: «Più che del "potere", di "aver paura" – sempre – della gente che dorme e, perciò, permette al potere di fare di loro quel che vuole». Anche in Cl, qualcuno (troppi?) si è addormentato (troppo?). Per questo, pur nella sequela del carisma di don Giussani, ci si è scoperti "deboli" come tanti altri; e non, come si credeva, e si doveva, "molto più forti del potere". Ci si è cullati, addormentandosi, nell’illusione, che quando si è in tanti "in compagnia" – si sia così "riusciti" nel mondo da vedervi una "conferma" di quel carisma –, non si sia nell’essenziale sempre i "quattro gatti" che erano vicini a Cristo, all’inizio; e quell’inizio è sempre; sempre da riprendere; lì da dove inizia, da Cristo, da quell’Incontro. Si è perso di vista che la fondatività di quell’incontro non è surrogabile da nessuna compagnia ("astratti nel rapporto con stessi, affettivamente scarichi [...] ci si rifugia nella compagnia come in una protezione", ammoniva per tempo don Giussani).

Che prima di tutto viene Cristo. Cristo è un esigente termine di paragone. Più dei nostri amici. Se lo può permettere. E’ quando pensiamo di poter bastare a noi stessi, perché l’abbiamo incontrato, una volta, magari grazie a qualcuno che ne traboccava, e questo ci può bastare come vademecum, e ci sentiamo una volta per tutte "pronti" per il mondo, che cominciano i guai: l’illusione che nelle decisioni che contano si possa scambiare un’economia della riuscita mondana con un’anticipazione sufficiente dell’economia della salvezza.

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