Piero Ostellino.

Se laicité non fa rima con liberté

Piero Ostellino si confronta col discorso di Sant'Ambrogio del cardinale Scola. L'uso ambiguo del termine "neutralità" e la libertà religiosa. Il punto di vista di un liberale doc
Ubaldo Casotto

Il cardinale Angelo Scola, nel tradizionale discorso alla città di Milano per Sant’Ambrogio ha usato parole difficilmente equivocabili sull’uso ambiguo che oggi si fa della "neutralità" dello Stato. Ricordando come la «libertà religiosa» e la «laicità dello Stato» abbiano il loro atto di nascita nell’Editto di Milano del 313 d.C. (Anche se lo definisce un “inizio mancato”), l’arcivescovo ha chiesto di ripensare «il tema della aconfessionalità dello Stato» minato dal «sostegno dello Stato a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio», spacciando per "neutralità" quella che è invece l’adesione a «una delle varie visioni culturali» e che «attraverso la legislazione diviene cultura dominante». La radice culturale di questa "evoluzione" è, secondo il cardinale, «nel modello francese di laicité».
Piero Ostellino, già direttore del Corriere della Sera e intellettuale di formazione e pensiero liberali, ha ascoltato e letto le parole del cardinale e ne condivide l’attacco al laicismo transalpino: «La laicità dello Stato francese è una forma di religione alla rovescia, frutto del giacobinismo e della rivoluzione, nei confronti della quale un liberale ha una certa diffidenza. Il torto della laicité non significa però che il cardinale abbia ragione».

In che cosa non condivide i giudizi dell’arcivescovo di Milano?

Nel suo discorso c’è anche l’associazione tra la negazione della laicità dello Stato e i problemi sociali affrontati dalla socialità della Chiesa. Rispetto al problema della convivenza tra le religioni io mi trovo più d’accordo con quanto detto da papa Wojtyla, e mi sembra che il cardinale Scola non lo tenga abbastanza in considerazione.

Che cosa disse Giovanni Paolo II?

Disse che la convivenza tra le religioni va giudicata sulle conseguenze sociali delle medesime. Su questo, più che sul livello teologico dove alcune posizioni sono inconciliabili, si può fondare il dialogo. Giudicare dalle conseguenze sociali delle singole religioni comporta anche una riflessione sull’integrazione degli immigrati.

Si spieghi.

Chi viene in Italia deve accettare di vivere in un Paese dove non esistono o non ci dovrebbero essere conseguenze sociali a causa della propria professione religiosa. Sta accadendo invece esattamente il contrario, arriva un immigrazione che erge i principi religiosi a leggi dello Stato. Questo non è accettabile in uno Stato liberale.

Come riformulerebbe allora il principio di aconfessionalità dello Stato?

La neutralità dello Stato è di fronte alla libertà di coscienza dell’individuo. La libertà religiosa è per me una declinazione della libertà di coscienza. Condivido la polemica del cardinale nei confronti del laicismo francese, ma non mi pare ci siano i presupposti per estenderla all’Italia, dove lo Stato non ha fatto della laicità una religione come successo nella Parigi giacobina. Nel nostro Paese non abbiamo trasformato la neutralità dello Stato in "neutralità attiva".

Il cardinale Scola certamente non confonde Roma con Parigi, ma parla di una “evoluzione” che ha nella laicité le sue radici. Cita al proposito il caso della riforma sanitaria di Obama che impone a ospedali e scuole religiose polizze di assicurazione sanitaria che includano contraccettivi, abortivi e sterilizzazioni.
Questa è un’intromissione dello Stato sociale dovuta al fatto che Obama è stato eletto grazie a una mutazione antropologica avvenuta negli Stati Uniti. L’America dei bianchi protestanti anglosassoni, che avevano fatto ricca la nazione con lo spirito di iniziativa di ciascuno di loro, è diventata una società diversa. L’immigrazione latino americana la rende più simile all’Europa. Quando Obama vuole imporre alle organizzazioni cattoliche quello che sta cercando di imporre si comporta più da giacobino che da liberale. E lo fa non perché l’immigrazione latino-americana sia giacobina, ma perché è quella che rivela maggiore insicurezza di fronte alla vita e quindi ha bisogno di maggiore assistenza.

Di mutazione antropologica parla anche Scola quando descrive l’evoluzione dell’«equilibrio si cui tradizionalmente si reggeva il potere politico». Da tempo è venuto meno il riconoscimento generale di strutture antropologiche costitutive dell’esperienza religiosa come «la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione e la morte».
Ha perfettamente ragione, come uomo religioso e anche sotto il profilo laico: il matrimonio o una serie di altri meccanismi di convivenza sociale o di principi di carattere etico politico appartengono alla nostra civilizzazione prima ancora che a una singola religione. Che poi la nostra civilizzazione sia a sua volta figlia del cristianesimo è un dato storico e non sociologico e non vedo perché dovremmo negarlo. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una cattiva parodia del matrimonio, che è invece uno dei capisaldi della nostra civilizzazione indipendentemente dalla natura religiosa che questo istituto può avere. Sotto questo profilo, è vero, anche da noi c’è un laicismo che si spinge fino oltre la negazione non di principi di carattere religioso ma antropologici e culturali che non ha molto senso.

In una società plurale il cardinale sottolinea la necessità di una tensione «al bene pratico comune dell’essere insieme», alla «vita buona» e al «principio di comunicazione». Sul bene comune si rischia spesso la retorica…
E non solo. Nel nome del bene comune si possono commettere, e si sono commessi, delitti. Così come sono stati commessi nel nome della libertà. Parlare del bene comune da posizioni culturali diverse vuol dire cercare di capirsi. «Vita buona» è la vita che valga la pena di essere vissuta, nel senso che chi non ce la fa da solo possa essere assistito e aiutato. Resta il fatto che le civilizzazioni più progredite e che hanno prodotto condizioni di vita e ricchezza migliori sono quelle all’interno delle quali l’individuo ha una capacità di iniziativa e non si affida sempre soltanto alla Stato.

Non pensa che il concetto di persona…

Assolutamente sì. Il liberalismo è debitore al cristianesimo proprio del concetto di persona. Quello di Gesù Cristo è un messaggio di liberazione che ha posto al centro della fenomenologia sociale e dell’interesse politico la persona. E’ il baluardo della nostra libertà: finché l’uomo è un fine e non un mezzo siamo ancora una comunità libera.