Il cardinale Scola (©Pino Franchino).

«Responsabili del dono ricevuto»

L'omelia del cardinale Angelo Scola alla messa per il IX anniversario della morte don Giussani e il XXXII del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Milano, 11 febbraio 2014
del cardinale Angelo Scola*

1. Gratuitamente dissetati e sfamati
«Venite all’acqua… venite, comprate senza denaro…» (Lettura, Is 55,1-2). Il profeta, con immagini limpide ed incisive, descrive l’ardente desiderio di compimento del cuore dell’uomo. Un desiderio che nessuna persona è in grado di colmare con le proprie forze. Tanto è vero che il profeta esordisce con un invito: «Venite all’acqua, venite e comprate senza denaro». Nessuno può acquistare la propria salvezza, cioè la soluzione dell’enigma che ognuno di noi è: ieri non c’ero, oggi ci sono, domani non sarò. Da dove un essere simile così enigmatico? Ogni tentativo di acquistare la propria salvezza è uno spreco. Solo Dio sazia, solo Dio può saziare gratuitamente il cuore dell’uomo.

2. Uno stupore grato
È questo - amiche e amici carissimi - che accadde precisamente quel giorno in cui Maria, dopo l’annuncio dell’Angelo, commossa e mossa da operosa gratuità, si spinse fino alla casa di Elisabetta portando nel suo grembo Gesù, aurora della salvezza. Il nostro padre Ambrogio commenta così l’episodio evangelico mettendosi nei panni di Elisabetta: « “Donde a me questo?”. Come se dicesse: Che grande favore è quello che mi accade, che la madre del mio Signore venga da me! Non riesco a comprenderlo. Per quale virtù, per quali buone opere, per quali meriti?» (S. Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, II, 19: 24-26). Nessuna virtù, nessuna buona opera, nessun merito di fronte al bimbo che Maria porta in grembo. Domanda, ripetuta domanda.
Ebbene, uno stupore analogo a quello che riempì Elisabetta per il dono della visita di Maria, che portava a compimento la storia di salvezza del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ha colmato il cuore di molti quando hanno incontrato Monsignor Luigi Giussani. Il dono, il carisma, fatto a questo grande sacerdote educatore ha reso umanamente persuasiva e perciò incisiva la grazia della fede per molti.
E allora «Troppo perde il tempo chi ben non t’ama, dolce amor Jesù». Sarebbe sprecato il tempo della nostra vita se lo stupore dell’incontro non diventasse domanda incessante. Supplica tenace di riconoscere Cristo presente e vivo nella Sua Chiesa e presente e vivo per il bene del mondo, che è l’unico scopo dell’esistenza della Chiesa. Tutto, proprio tutto dell’umano sta a cuore al cristiano. A lui, come disse genialmente una volta Don Giussani, «interessa tutto l’esistente e tutta l’esistenza».
Espressione privilegiata, quotidianamente perseguita di questa apertura totale fu la dolce fede mariana di Don Giussani: «È inconcepibile – scrive - la Madonna se non come [figura piena della] preghiera in atto. Infatti la preghiera in atto è la coscienza di sé, la coscienza del rapporto di sé col proprio destino, e per questo è l’unico atteggiamento [quello mariano] dignitoso della vita dell’uomo, dove la vita dell’uomo si realizza secondo tutta la sua statura» (Tutta la terra desidera il Tuo volto, 164).
Di questo desiderio di pienezza sono segno benefico l’incessante pellegrinaggio di preghiera sulla tomba di don Giussani, così come i numerosi messaggi scritti che vi vengono lasciati.

3. Responsabili del dono ricevuto
Dal carisma di Don Giussani - vissuto nella Chiesa - scaturisce un amore grato e responsabile a Cristo e alla Chiesa. Per questo il Servo di Dio nel suo coraggioso sforzo innovativo, per il quale ha sovente pagato di persona, ha sempre perseguito in tutti i modi l’unità – nota essenziale della vita della Chiesa -, unità fondata sulla roccia del ministero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui. Roccia che sola garantisce l’apertura totale del cuore dei fedeli. E l’unità, questa oggettiva, totalizzante unità si alimenta quotidianamente nella sequela di coloro che sono stati chiamati a guidare la Fraternità di Comunione e Liberazione, e come tali sono stati riconosciuti dalla Chiesa, nostra madre.
Celebrare in tutti i continenti, in questi giorni, l’Eucaristia in occasione del nono anniversario dalla morte del fondatore, nel giorno della trentaduesima ricorrenza del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione, a sessant’anni dalla nascita del movimento, significa quindi lodare Dio per la grazia dell’unità, nota essenziale di ogni autentica esperienza ecclesiale.
L’unità, infatti, assicura il fiorire della libertà dell’io nella comunità. Non si dà libertà piena se non si esprime nell’appartenenza sensibile ad una comunità ecclesiale guidata, ma nello stesso tempo non c’è vera comunità che non faccia fiorire pienamente la libertà di ciascuno.
Cristo stesso, che ci dice «venite» - se vogliamo fare eco al profeta -, stabilisce con ognuno di noi un legame (con ognuno di noi, e la seconda lettura l’ha descritto in maniera potente e mirabile) che, attraverso la comunione, genera permanentemente comunità: questa infatti è la condizione storica da Lui scelta: «Fate questo in memoria di Me» e da Lui pensata per donarsi agli uomini. In Cristo Gesù eucaristicamente, ecclesialmente, Dio ha voluto aver bisogno degli uomini.
L’Eucaristia che stiamo celebrando ci aiuta a meglio comprendere questo mistero: Cristo è realmente presente; come fatichiamo ad accogliere questo dato in tutta la sua intensità affettiva e commovente! È realmente presente, è Lui che ci convoca questa sera, è Lui che si dona a noi nel sacrificio eucaristico e, in esso, ci rende una sola cosa, un Corpo solo, in modo tale che non è più possibile per i battezzati vivere separati da questo nuovo Corpo che, nell’ottica paolina, giustamente è compreso come un Corpo cosmico che ricomprende ogni essere. Allora vi raccomando di cuore di non lasciar cadere il gesto, vivo fin dagli inizi del movimento, di partecipare alla Santa Messa con consapevolezza, per quanto possibile, anche nei giorni feriali, con un po’ di sacrificio.
La responsabilità per il dono ricevuto si esprime nel culto cristiano. Ma, come Monsignor Giussani non ha mai cessato di richiamare sulla scia di San Paolo, il culto cristiano (cf. Rm 12,2) coincide con l’offerta totale della propria vita perché si manifesti la gloria dell’umanità di Cristo nel mondo: la vita è in se stessa vocazione: chiamata e risposta di colui che accoglie la chiamata e si dona. Papa Francesco parla di Chiesa in uscita (Evangelii gaudium 24): il Seminatore instancabilmente percorre tutto il campo del mondo fino ai luoghi delle sue fragilità e delle sue bassezze, delle sue debolezze e delle sue contraddizioni, perfino fino al luogo delle bestemmie contro di Lui. Il Seminatore non cessa mai di gettare il buon seme. La missione, perché di questo si tratta, non è questione di strategie o di particolari attività da aggiungere al tessuto della nostra esistenza quotidiana. La missione è, soprattutto, una questione di responsabile consapevolezza, alimentata quotidianamente da una esperienza di fraternità, che ripropone ad ogni singolo, ogni giorno, la domanda “che sono?” e, soprattutto, “per Chi agisco?”.

4. Realisti o narcisi
Il Vangelo di oggi propone con chiarezza la strada della risposta a queste domande costitutive come imprescindibile risorsa per vivere l’unità e la missione, è la virtù proclamata dal Magnificat: «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (Vangelo, Lc 1,48), così Maria dice di se stessa indicando a ciascuno di noi la strada.
Umiltà viene dal latino humus. Dice perciò lo stare aderenti alla terra, ben attaccati alla realtà. Ed il Magnificat stabilisce una radicale alternativa tra l’umile e il superbo («Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore [questa immagine potentissima descrive assai bene la grande tentazione dell’uomo post moderno, anche se si può capire una debolezza così estrema. «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore» (un gorgo che tira giù)] ed ha esaltato gli umili», Lc 1,52). Per dei figli di San Carlo, quali sono gli ambrosiani, l’humilitas non può non attraversare ogni fibra dell’essere e va guadagnata in una domanda quotidiana e incessante.
L’opposizione tra umiltà e superbia, prima che opposizione tra virtù e vizio, è, a ben vedere, opposizione tra ragionevolezza e irragionevolezza. Per finire, il superbo è un narciso che prolunga per tutta la vita l’inevitabile esperienza della primissima infanzia: vedere nello specchio sé come l’altro. La maturità domanda, invece, di lasciar essere l’altro come altro. Questo è il portato dell’amore pieno. Questo avviene nella Vita stessa della Trinità, e pertanto può avvenire per grazia e per libertà in famiglia, a scuola, nella comunità cristiana, nella vita civile in tutte le sue espressioni. La superbia rende impermeabili all’altro, finisce per generare una solitudine cattiva anche se si sta insieme a tutti. E allora la vita pesa, come ha genialmente intuito Dante, condannando i superbi a camminare schiacciati da enormi massi sulle spalle.
L’umiltà, invece, genera fedeli lieti e costruttivi e, come diceva Péguy, li rende «i più civici tra gli uomini».
Questo ha insegnato fino all’ultimo respiro il Servo di Dio Monsignor Luigi Giussani.
La potente intercessione di Maria Santissima, nella tenera festa di oggi, procuri alla Chiesa e al mondo, in quest’epoca di intenso travaglio, donne e uomini di tale fatta. Amen.

*Arcivescovo di Milano

Le parole alla fine della celebrazione

Anche a nome del Consiglio Episcopale, qui ben rappresentato questa sera, ringrazio don Julián e, in lui, tutti voi per la vita di fede che, nonostante i limiti umani, cercate di condurre a beneficio della Chiesa ambrosiana, di tutta la Chiesa e di tutta la realtà umana, sociale e civile nella quale siete capillarmente immersi.

La potenza del carisma del servo di Dio Monsignor Luigi Giussani si vede, starei per dire, più adesso di quando egli cominciò sessant’anni fa. Il suo inizio fu come una premonizione di ciò di cui avrebbe avuto bisogno la santa Chiesa, nella sue mille forme intessute di doni gerarchici e carismatici, in questo tempo presente di passaggio travagliato al nuovo millennio: la passione educativa.

Come si può rispondere all’ansia affascinata e confusa dell’uomo post moderno se non educando uomini e donne, fin dalla prima infanzia, ad accogliere il Mistero che ci abbraccia e al dono totale di sé? Lo smarrimento circa i fondamentali del vivere: cosa sia la differenza sessuale, che cosa sia l’amore, cosa voglia dire procreare ed educare, perché si debba lavorare, perché una società civile plurale possa essere più ricca di una società monolitica, come poterci incontrare reciprocamente per edificare comunione effettiva in tutte le comunità cristiane e vita buona nella società civile; come rinnovare la finanza e l’economia, come guardare alle fragilità dalla malattia alla morte, alla fragilità morale, come cercare la giustizia, come condividere incessantemente imparando il bisogno dei poveri? Tutto questo deve essere riscritto nei nostri tempi, ripensato e perciò rivissuto. Il genio pedagogico di Monsignor Giussani ritrova qui, senza averlo mai perduto, un ambito nuovo. Di che cosa? Di testimonianza e di racconto. Non si possono più separare queste due parole, bisogna vivere ciò che si intende comunicare. E ciò che non è comunicato non è interamente compreso; e se non è compreso, è perché non è adeguatamente vissuto.

L’uomo di oggi cerca, cerca anche quando si ribella nei confronti di Dio, cerca anche quando non ama la Chiesa di Dio, quando non ama gli uomini di Chiesa, cerca incessantemente e affannosamente. Chi trova? Deve trovare i cristiani nella nostra bella Chiesa ambrosiana, pluriforme nell’unità, ricca di tanti doni, deve trovare uomini di comunione, accoglienti gli uni degli altri, in ascolto reciproco, tesi a dare la propria esistenza per il bene supremo dell’esistenza stessa che è Gesù Cristo. Dunque, testimonianza e racconto pubblico di ciò che si vive.

Dico qui la mia gratitudine per quanti sono passati all’altra riva tra voi quest’anno, molti dei quali hanno lasciato una testimonianza formidabile di come sia bello vivere fino a quando il Padre non ci chiama, e di come sia ancor più bello – anche se non ce la facciamo a pensarlo, talmente siamo attaccati a noi stessi, ai beni di questo mondo – il volto che, attraverso Gesù, in Paradiso potremo almeno scrutare.

Affidiamo tutte queste intenzioni alla Vergine di Lourdes, seguiamo la Madonna. Raccomando la messa feriale il più possibile e il santo rosario: sono condizioni che non debbono essere messe da parte per nessun ritmo intenso di vita; non c’è giustificazione nel mettere da parte i gesti costitutivi che rispondono al nostro cuore, non c’è giustificazione per non fare quotidianamente spazio eucaristico a Dio. Affidiamo alla Madonna tutto ciò che preme sul nostro cuore in questo momento, in cose buone e in cose meno buone. Affidiamo perfino la domanda di riscatto dal nostro peccato. Consegniamo le nostre fragilità, le nostre miserie al Dio della misericordia e del perdono attraverso la nostra Madre Santissima. Buon cammino.