Clemente VII ritratto da Sebastiano del Piombo.

CLEMENTE VII La minaccia al re

Con Giulio dei Medici continua la serie su alcuni tra i più grandi pontefici della storia. Colto e pieno di esperienza, ha protetto artisti e letterati. Fino a quel "Giudizio Universale"...
Eugenio Russomanno

Giulio dei Medici nacque a Firenze il 26 maggio 1479, poco dopo l’assassinio del padre, e venne allevato dallo zio Lorenzo il Magnifico. Nel 1513 Leone X lo nominò arcivescovo di Firenze e cardinale: Giulio fu praticamente il responsabile di buona parte della politica di Leone. Poi sotto Adriano VI contribuì alla stipulazione di una alleanza difensiva tra la Santa Sede e l’Impero di Carlo V (1519-1556).
Ne compone un ritratto lo storico John Kelly: «La sua elezione fu accolta con grande gioia, ma ben presto divenne evidente che egli, eccellente come comandante in seconda, non aveva il carattere e l’abilità necessari per occupare la massima carica in un momento di crisi. Colto, pieno di esperienza e buon lavoratore, ma anche poco risoluto e facile allo scoraggiamento, era di corte vedute e limitato nei suoi interessi. Incapace di penetrare a fondo la rivoluzione spirituale in atto in quegli anni della Chiesa, si comportò come un qualunque principe italiano, o piuttosto come un Medici».
Coinvolto nella lotta tra Carlo V e Francesco I di Francia (1515-1547) per il dominio sull’Italia, Clemente si adoperò per instaurare la pace tra le potenze cristiane prendendo come pretesto la necessità di creare le condizioni favorevoli per affrontare il pericolo turco. Ma i rapporti del papa con Carlo V e Francesco I non furono né chiari né univoci: ora si alleava con l’uno ora con l’altro. Forse il suo obiettivo principale non consisteva nelle alleanze politiche ma semplicemente nella difesa del territorio e degli interessi dello Stato Pontificio e della Chiesa. Per esempio, secondo il Franzen, «il suo scopo principale fu portare a compimento l’opera dei predecessori e, poiché il raggiungimento di questo fine gli sembrò minacciato soprattutto dalla monarchia universale asburgica, che comprendeva anche il regno di Sicilia e di Napoli e il regno d’Italia del nord, cercò l’amicizia della Francia». Ma è altrettanto doveroso ricordare che, tra i fatti storici accaduti nel corso del suo pontificato (ad esempio, la nascita della Lega di Cognac e il sacco di Roma del 1527), durante il suo pontificato ha avuto luogo l’ultima incoronazione imperiale eseguita da un papa: a riconciliazione avvenuta tra la Santa Sede e l’Impero, il 24 febbraio 1530 papa Clemente VII incorona imperatore Carlo a Bologna.
Una certa attenzione dobbiamo dare all’episodio del divorzio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona, episodio che si sarebbe concluso con lo scisma della Chiesa d’Inghilterra. Nel 1531 Clemente VII proibì al parlamento inglese e a tutti gli altri organi di governo, sotto pena di scomunica, il matrimonio del re o di dichiararlo nullo. Nel 1533 l’arcivescovo di Canterbury unì segretamente in matrimonio Enrico con Anna Bolena e successivamente dichiarò nullo il matrimonio con Caterina. Nello stesso anno papa Clemente minacciò il re di scomunica se non avesse lasciato Anna e ripreso con sé Caterina. Nel 1535 Enrico e Anna furono scomunicati dal papa. Con il successivo “Atto di Supremazia” si consumava in modo definitivo la rottura con il papato.
Sull’opportunità o meno della convocazione di un Concilio Universale da parte di Clemente VII (convocazione che non avvenne) gli storici non sono concordi. Secondo alcuni l’incapacità di Clemente di comprendere le urgenze del momento è dimostrata proprio dal suo rifiuto di convocare un Concilio Universale che sarebbe stato ancora in grado di dare l’avvio ad una azione costruttiva, ad una riforma della Chiesa. Secondo altri papa Clemente faceva bene a temere un Concilio Ecumenico. Gli stati dell’Impero avevano fatto comprendere fin troppo chiaramente che cosa intendessero con la nota espressione di un «libero concilio cristiano in terra tedesca»: che esso doveva essere libero dal papa, cui sarebbe stata tolta ogni influenza. I Padri conciliari dovevano essere precedentemente dispensati dal loro giuramento verso il pontefice. Insomma, le preoccupazioni del papa da questo punto di vista non erano affatto ingiustificate.
Da vero Medici e quindi come vero mecenate, Clemente protesse letterati, tra cui lo storico Francesco Guicciardini, e il teorico politico Niccolò Machiavelli, e artisti come il Cellini, Raffaello e Michelangelo, al quale ultimo commissionò, poco prima di morire, il Giudizio Universale della Cappella Sistina.