Papa Francesco.

Perché insegnare è (sempre più) bellissimo

Sabato 14 marzo papa Francesco ha ricevuto in udienza l'Unione cattolica degli insegnanti delle superiori salutandoli, da ex docente, come colleghi e incoraggiandoli a rinnovare la passione per l'uomo. Ecco il commento di un professore

Carissimi amici, mi ha commosso leggere quanto papa Francesco, parlando all'Uciim (Unione cattolica italiana insegnanti, dirigenti, educatori e formatori), ha detto sul lavoro che da anni mi trova impegnato con tutte le mie energie e che più passa il tempo e più mi vede più appassionato: il lavoro dell'insegnante, che è, insieme, una vocazione e una missione.

Il Papa ha detto ciò sento vero per me, che «insegnare è un lavoro bellissimo», tutti i giorni: che ogni volta inizio qualcosa di affascinante per me, che fare l'appello, guardare in faccia uno ad uno gli studenti, iniziare la lezione, interrogare o fare una verifica sono tutte parti di un lavoro che non cambierei con nessun altro, tanto mi compie e realizza la mia umanità.

E che sia bellissimo insegnare, il Papa lo ha indicato soffermandosi sulla figura dell'insegnante e delineando le caratteristiche che lo rendono punto di riferimento autorevole per le giovani generazioni. Francesco ha detto che oggi quanto mai c’è bisogno di «insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto ed amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità. In questa direzione il vostro compito è quanto mai necessario. E voi dovete insegnare non solo i contenuti di una materia, ma anche i valori della vita e le abitudini della vita. Le tre cose che voi dovete trasmettere. Per imparare i contenuti è sufficiente il computer, ma per capire come si ama, per capire quali sono i valori e quali abitudini sono quelle che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante».

Per questo è bellissimo insegnare, perché non è solo trasmissione di nozioni o tecniche per le quali basterebbe un computer, ma un impegno quotidiano con il destino di ciascuno dei ragazzi che si incontrano tra banchi di scuola. È un impegno con la loro libertà.

Insegnare è il percorso di uno sguardo, e, più passano gli anni, più cresce in me la simpatia per i miei studenti, sempre più certo di poter puntare sulla loro libertà.

Per questo, come ha detto il Papa, un insegnante non è mai solo: ha come compagnia della sua avventura la libertà dei colleghi e dei genitori, con cui si condivide il lavoro educativo, e quella di ogni ragazzo e ragazza, i terminali dell'educazione. In questa direzione ci sono due sottolineature di papa Francesco da cui mi sento particolarmente sfidato e su cui spero di trovare, dove sono, dentro la scuola, una compagnia utile.

La prima è che «la scuola è fatta certamente di una valida e qualificata istruzione, ma anche di relazioni umane». È questa la consegna che ho sentito più importante e decisiva, una consegna da prendere quanto mai sul serio per evitare che la scuola si riduca a luogo di istruzione e di regole di comportamento. È un impegno prioritario quello di costruire relazioni umane, perché i ragazzi oggi crescono non tanto per l’accanimento sull’istruzione o sulle regole, ma se incontrano uno sguardo di amore, una simpatia vera e gratuita alla loro umanità.

La seconda sottolineatura è quella che riguarda gli studenti difficili, per i quali il Papa ha chiesto un impegno determinato e senza remore. «Il dovere di un buon insegnante è quello di amare con maggiore intensità i suoi allievi più difficili, più deboli, più svantaggiati. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? E ce ne sono alcuni che fanno perdere la pazienza, ma quelli dobbiamo amarli di più! Qualsiasi insegnante si trova bene con questi studenti. A voi chiedo di amare di più gli studenti “difficili”, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili, gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola» È da brividi questa richiesta, e ricorda il monito di don Milani, per cui il problema della scuola sono i ragazzi che si perdono. Sì, da brividi. Ma quanto mai importante, perché la capacità educativa cresce non solo svolgendo le proprie lezioni, ma affrontando i problemi che si incontrano quotidianamente.

È il problema che nasce dentro un rapporto, dentro una classe, a verificare quanto valga lo sguardo e la cura che si ha dell'altro. Per questo, che ci siano i ragazzi difficili è una possibilità di diventare più veri, di scoprire, vivendola, la ragione per cui si è scelto di insegnare. Così, un ragazzo difficile o una sconfitta non sono la negazione dell’educazione. Al contrario, la rendono più forte. Perché l'educazione è in quanto è per tutti.

Quello che il Papa ha detto all'Uciim è una sfida a ritrovare la passione originaria per questo lavoro che, pur malpagato e con mille problemi, rimane bellissimo. Sempre più bellissimo!

Gianni, Abbiategrasso