La Via Crucis a Rimini.

«Quella bellezza, con la B maiuscola»

Altre lettere dai giessini, per raccontare della "tre giorni" di preparazione alla Pasqua che ha riunito a Rimini più di cinquemila ragazzi delle superiori. Ecco cosa è successo lì e una volta tornati a casa

È proprio vero che tutto nasce da un incontro. Io non sarei quello che sono adesso senza questa compagnia, e mi accorgo sempre di più dell’importanza di questi amici che la compongono. È un dono che all’inizio non avevo compreso, ma di cui ora ho riscoperto tutta la bellezza. La bellezza di un carisma che non è “campato in aria”, come si suol dire. Ma che si fonda su esperienze concrete, e che attraverso queste testimonia il miglior modo per affrontare la vita, in tutti i suoi aspetti.
È il secondo anno che partecipo al Triduo di Pasqua. Ma per me è stato come se fosse la prima volta. Come se in mezzo a quei 6000 ragazzi, tra le mura e i prati di san Mauro di Romagna, avessi sentito per la prima volta l’abbraccio di Cristo. Mi sono sentita voluta bene come mai mi era capitato prima, di un amore che non ha limiti, non ha tempo e non ha età. Papa Giovanni XXIII diceva: «La nostra vita è formata da tanti piccoli momenti di solitudine, ma sapete, noi non siamo mai soli». Medina, nei suoi incontri, ha parlato al cuore di tutti: ho sentito quello che diceva come qualcosa che mi corrispondeva veramente. Anche io sento struggente quel desiderio di verità, bellezza, giustizia, felicità. Anche io spesso vedo come obiezioni ingiuste alcune circostanze della vita, e trovo difficile starci davanti e affrontarle. Ma attraverso la testimonianza di Davide Prosperi ho capito che c’è un altro modo di stare di fronte alla realtà: nel guardarla come un’alleata e non un limite, nel cammino verso una gioia più vera e più grande. Adesso posso dire che la mia vita, pur nella piccolezza e limitatezza, si è riempita di una bellezza e di un fascino che non credevo potesse avere. Sono io tale e quale, piena di errori ogni giorno, ma è diverso: «È l’incontro che porta l’uomo a essere diverso da se stesso, ad essere un altro». 
Letizia, Arezzo


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Scrivo questa lettera per raccontarvi di come ho passato i tre giorni del mio ultimo Triduo a Rimini, in particolare nel Venerdì Santo e nella Via Crucis. Nell'assemblea che abbiamo fatto al mattino ero rimasta colpita quando Medina parlava della realtà. Sono ormai quattro anni che partecipo alla Via Crucis, e pensavo ad essa come ad un momento in cui dovevo camminare e stare zitta. Insomma, sapevo già tutto: come doveva essere, come sarebbe andata. Ma quest'anno l’ho vissuta in modo diverso. Innanzitutto, già da quando ero in pullman, ho iniziato a pregare. Poi, lungo il cammino e durante le stazioni, ascoltavo i canti e le letture. Ero totalmente travolta da questo, tanto che un'adulta del nostro gruppo, con cui stavo facendo la Via Crucis, si è avvicinata a me e mi ha chiesto per chi stessi pregando. Io non me ne ero resa conto, ma stavo pregando. Pregavo per il rapporto con mia madre e con il mio fidanzato.
La sera, quando abbiamo fatto l'assemblea tra di noi, ho chiesto in che modo quello sguardo, che finalmente avevo rivisto, potesse non svanire e accompagnarmi anche il prossimo anno, quando prenderò una strada diversa. Il giorno di Pasqua ho avuto una discussione con mia madre. Di solito siamo pronte a darci battaglia, ma quel giorno non potevo comportarmi come sempre, perché davanti a me avevo il volto di Cristo, come lo avevo avuto davanti quel venerdì pomeriggio. E in quel momento, a casa, quel volto era diventato il volto di mia madre, e non potevo nasconderlo a me stessa.
Marika


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Anche quest'anno è arrivato puntuale l'appuntamento col Triduo di Gs. Pur avendo già vissuto il gesto gli anni passati, e consapevole di quello che sarebbe successo in quei giorni, non riuscivo a trovare una buona motivazione per partire. Il semplice "averlo già fatto" non mi bastava. E poi avevo una grande paura di annoiarmi, o meglio, di sentirmi sola, visto che sarei stata l'unica ragazza a partire da Mantova. Poi, solamente grazie all’invito di un amico, ho deciso di scendere a Rimini.

Appena sono arrivata, però, qualcosa è successo. Mi sono sentita immediatamente voluta bene, e da quel momento ho deciso che, nonostante i miei dubbi, avrei vissuto ogni momento in maniera unica. E guarda caso le circostanze non si sono fatte aspettare. Il Venerdì Santo siamo andati alla Via Crucis. Io non stavo troppo bene e alla fine della prima stazione avevo perso tutti gli amici del gruppo con cui ero partita. Di primo impatto mi sono sentita persa tra seimila persone che non conoscevo. Ma, per la prima volta, non mi sono arrabbiata, non ho rimpianto il fatto di essere venuta. In preda allo smarrimento, mi sono lasciata trascinare dai volti e dagli sguardi dei ragazzi che avevo attorno e, così facendo, mi sono sentita amica di tutti, anche se effettivamente non conoscevo proprio nessuno. Ma come questo è stato possibile, se non per il fatto che tutti eravamo mossi dallo stesso desiderio? Sono tornata a casa contenta, grata e commossa per tutto quello che ho vissuto e incontrato in quei giorni, pronta a continuare il mio cammino e la mia avventura.
Caterina, Mantova


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Questo è stato il mio primo e ultimo Triduo da giessina, dato che l'anno scorso non sono potuta venire per vari motivi. Prima di partire, quindi, ero davvero felice e curiosa rispetto a quello che sarebbe accaduto. Consapevole di ciò, mercoledì sera mi ero preparata mettendo per iscritto tutte le domande più care. C’era il problema con la migliore amica, dalla quale ultimamente mi sono allontanata, c'era il rapporto con i miei genitori, col mio ragazzo. Insomma, i classici dubbi e problemi di una diciannovenne.
Dopo l’arrivo di giovedì, ecco la prima sera. Tutto mi sembra molto bello e vado a dormire tranquilla. La mattina dopo, di nuovo in fiera con un’altra lezione interessante e, nel pomeriggio, la Via Crucis. Ma ecco che, paradossalmente, accanto alla gioia, inizia a farsi strada in me una sorta di malinconia, una strana tristezza. Comincio a pensare che la verità delle parole dette da don Josè Medina durante le lezioni non corrisponde alla mia compagnia, alle persone che ho attorno. Provo ad analizzare e vedo solo i difetti in tutto ciò che mi circonda, i contrasti tra gli adulti che ci guidano, tra i ragazzi stessi. Per evitare di buttarmi giù durante la Via Crucis, decido di passare oltre, convinta che se mi fossi soffermata a guardare tutti i difetti non mi sarei goduta il Triduo. Tornati in hotel, però, inizio a rendermi conto che più passa il tempo e più sto male.
Venerdì sera, così, vado a dormire molto abbattuta. Mi manca tutto e ho molta confusione in testa. Vorrei rileggermi gli appunti ma non riesco. Per quanto il mio cuore sappia cosa mi manca, perché lo sta gridando, io non riesco a sentirlo, condizionata dai limiti e dai difetti della mia compagnia. In fin dei conti, «è proprio un vedere nelle circostanze delle obiezioni e non delle condizioni», come aveva detto don Josè Medina la sera prima.
Presa da questi pensieri, entro in fiera sabato mattina. Mi avevano detto che l'ultimo giorno di solito vengono scelte delle domande e c'è una specie di assemblea generale. Non mi aspetto molto. Penso che il mio primo e ultimo Triduo finirà finito lasciandomi un vuoto terribile.
Poi inizia l'assemblea. Dopo un'introduzione di Albertino, prende parola Davide Prosperi. Durante la testimonianza, non so bene per quale motivo, inizio a prendere appunti. Ad un certo punto mi fermo e non riesco più a scrivere. Sta raccontando di una vacanza maturandi in cui erano emerse tante domande. «Le preoccupazioni più forti dei ragazzi erano due», dice Prosperi. «Una rispetto alla vocazione, l'altra la paura di perdere quello che si è incontrato, il rischio di concentrarsi per cinque anni su una cosa per poi perderla. Con la conseguenza di dimenticare poi anche il proprio desiderio».Quelle sono le mie più grandi preoccupazioni. Sta parlando di me, sta parlando a me. Finalmente mi sento capita.
Terminata l'assemblea, dopo il pranzo, torno a casa. Ma in pullman, ripensando alle parole di Prosperi, non posso fare a meno di piangere. Piango, perché la verità delle cose dette durante la testimonianza è talmente grande che non si può reagire in altro modo. Posso dire di aver visto una bellezza davanti alla quale svaniscono tutti i difetti ed i limiti.
Cristina, Arezzo


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Durante le vacanze di carnevale, uno dei miei più cari amici mi ha parlato di quello che aveva vissuto: di come da una situazione complicata, semplicemente grazie a un discorso con alcuni amici, era riuscito a vivere una serata indimenticabile. All’inizio pensavo che parlasse di cose che non mi interessavano e che affrontasse la vita solamente in modo intellettuale e filosofico. Gliel'ho detto e lui mi ha proposto di andare la sera stessa a cena con lui e con gli altri suoi amici, per rendermi più partecipe di quello che aveva detto. Controvoglia ho accettato.
A quella cena sono rimasto colpito da quello che si diceva. Veniva demolito tutto ciò che pensavo rispetto alla felicità. Io credevo che le persone felici non esistessero. Allora un mio amico mi ha detto: «Secondo me, mio padre è felice». Ho replicato che non ci credevo, allora lui mi ha invitato a cena da loro per parlare con suo padre di questa cosa. Ci sono andato. Sono tornato a casa molto provocato, con un desiderio enorme, ossia che se c’erano delle persone felici io volevo essere tra quelle. Il padre del mio amico viveva ogni cosa con semplicità: dal lavoro allo stare a casa con sua moglie e i suoi figli, viveva con gioia e si sentiva pieno, viveva davvero. Parlando con altri di questa cosa mi sono accorto che questa pienezza era provata da molte altre persone, e il punto comune era solo uno: Cristo.
Allora fidandomi di quelle persone ho incominciato a frequentare con più coscienza la vita cristiana. Sono andato alla messa per l’anniversario di morte di don Giussani, al raggio con più interesse. Pregavo tutte le sere, sono andato dal Papa a Roma. Mi sentivo contento, pieno e lieto. Avevo dentro di me un’energia incredibile che mi faceva vivere tutti i rapporti, dalla scuola fino a quello con la mia morosa e gli amici, con un'intensità che non avevo mai provato prima, una cosa eccezionale. Ma nel giro di un paio di settimane tutto questo si è esaurito.
Ero distrutto, non mi importava di niente e nessuno, ero perennemente apatico e non avevo voglia di fare nulla, tiravo avanti passivamente perché dovevo farlo. Dopo qualche settimana, mi sono accorto che mi faceva schifo stare così, allora ho cercato di farmi aiutare dalle persone che mi volevano bene. Tutti mi hanno detto la stessa cosa: se in quella cosa avevo visto una bellezza così immensa, dovevo puntare tutto su quello, fare all in su quella cosa, perché sicuramente se la prendevo realmente in considerazione, e non mi facevo fermare dalla non voglia, una risposta l’avrei trovata.
Mi sono fidato. Quindi sono andato al Triduo con una domanda: «Una volta fatto un incontro vero e trovata una bellezza reale, come faccio a non esaurire l’energia donatami da quella bellezza?».
Appena arrivato, vado a confessarmi e il prete mi dice: «Sicuramente il Signore ti darà una risposta». E così è stato. Il giorno dopo, don Josè Medina pronuncia queste parole: «Come faccio a vivere la vita senza abusarne, senza subirla? Sentendo questa impotenza di non potersi fare da sé, si mente, accusando la realtà di tradire, deludere, ma guardando solo questo la curiosità del vivere muta nel dubbio, ossia distoglie lo sguardo, perde l’energia del vivere, dell’amare, dello studiare e questo introduce un orrendo forse che compromette tutta la vita».
Questo era il mio problema. Il dubbio, la distrazione, e questo, appunto, mi introduceva un enorme forse che mi sembrava più grande di me in ogni circostanza della vita, anche nelle cose su cui apparentemente ero più sicuro.
Ero arrivato alla radice del problema, ossia il motivo per cui perdevo la mia vivacità, ma la risposta non l’avevo ancora chiara. La sera stessa ne parlo con alcuni amici e una ragazza mi chiede: «Ma tu ora come stai?». Io: «Bene». E lei: «Io non vorrei essere in un posto diverso da questo!». Quella frase apparentemente banale mi ha colpito: in quel momento lei stava veramente guardando il reale. Ho capito che con quello sguardo, con quella sorpresa, io dovevo vivere ogni istante della mia vita.
Il giorno seguente, Davide Prosperi all’incontro finale del Triduo, ha detto questa cosa che mi ha colpito: «Maria è l’unica che capisce che doveva solo stare vicino a suo figlio, perché Lui stava salvando se stesso ed il mondo. Dobbiamo guardare come Maria». Era vero: noi dobbiamo fare esattamente ciò che ha fatto Maria sotto la croce ogni giorno, dobbiamo guardare come Lei, e capire come Lei, che quello che sta accadendo è per noi.
Prosperi ha detto anche che l’incontro vero è una certezza di presenza della vita, dobbiamo attaccarci a questo con affetto, dobbiamo seguirlo. Dobbiamo mettere la vita dietro ciò che abbiamo incontrato di vero. Ecco. Questa è la risposta, questa è la verità, quello che dove fare: mettere la mia vita dietro la bellezza che ho incontrato e che ho rivisto al Triduo.
Adesso sono tornato a casa, e avendo fatto questa cosa e cercando costantemente di farla, mi sento lieto, ma sul serio, mi sento felice. E anche in mezzo ad un mare di difficoltà mi sento comunque in cuor mio lieto e pieno.
Tommaso, Corsico (Milano)


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Ho partecipato al Triduo Pasquale di Gs, a Rimini. Anche se sono di quarta superiore è stata la mia prima esperienza. Infatti una mia amica, vedendomi persa e soprattutto bisognosa di qualcosa di più rispetto al mio percorso in oratorio, mi ha proposto di andare con lei.
All'inizio ero titubante, avevo mille perplessità e dubbi: se non incontrerò nessuno? Se non mi sentirò a mio agio? Se non è quello di cui ho bisogno? Alla fine mi sono lasciata guidare dal mio cuore e sono andata.
Vedere 5.200 studenti in silenzio, che ascoltavano attentamente le lezioni di Medina e che, sempre in assoluto raccoglimento, facevano la Via Crucis, mi ha spiazzata.
Mi ha meravigliata e mi ha resa felice, perché prima di questa esperienza mi sentivo sola e stupida. Invece ora so che non sono sola: migliaia di ragazzi provano, sentono le stesse cose che provo io. E si fanno le stesse domande.
Questi ragazzi, di cui adesso faccio parte, sono estremamente fortunati. Perché sono stati educati in un certo modo, ed hanno appreso che Dio può essere trovato nella vita quotidiana: per esempio in un incontro con una persona, o in uno sguardo. Prima di venire a contatto con il movimento percepivo la fede come una cosa astratta, che non potevo applicare alla vita di tutti i giorni. Mi sbagliavo. Ma è stato lo sbaglio più bello della mia vita, perché adesso sono consapevole che Dio è sempre con me.
Non smetterò mai di ringraziare questa mia amica, perché grazie a lei e alle persone che ho incontrato ho scoperto di poter far parte di una cosa grande, e posso farlo a testa alta.
Alessandra


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Il Triduo è stata una vera e propria opportunità per ognuno dei ragazzi presenti. Occasione di crescita personale nel rapporto con Cristo, quell'Uomo che in ogni momento dei tre giorni era evidentemente al centro della nostra attenzione.
A partire dall'arrivo dei pullman in Fiera tutto è stato occasione di riscoperta. Una ragazza mi diceva: «È stato molto bello vedere tutti i pullman che venivano parcheggiati e la gente che usciva, perché mi ha dato come un segno di unità: tutti che si muovono verso la stessa cosa». Già dall'inizio era stato evidente. E questa unità si è mostrata nella celebrazione della Messa in cui oltre cinquemila ragazzi hanno riconosciuto in un pezzo di pane effimero, come l'uomo, l'intensità estrema del divino.
Proprio riconoscendo questa "pochezza" dell'uomo, don Medina ci ha richiamati a "mendicare", riprendendo la provocazione di Giussani. Ci ha invitati a gridare come Bartimeo che, nonostante la folla lo volesse far tacere, non ha interrotto il suo grido a Cristo perché lo salvasse.
L'invito di Medina non si è fermato a questo. Ha continuato perseverando nell'affermare l'importanza del grido, della preghiera perché: «La fantasia di Dio è più grande della nostra». E questo si vede in quanto Cristo ci ama: nella mattina prima della Via Crucis il fatto che Cristo si sia sacrificato per noi era uno dei cuori della discussione che durante un pranzo ha fatto commuovere fino alle lacrime tre persone. Quelle lacrime che nascono solo quando si è di fronte a una Presenza che ti invade nel profondo della tua debolezza.
E cantare in ogni stazione della Via Crucis «dulce lignum, dulces clavos, dulce pondus sustinet» (dolce legno, dolci chiodi che sostengono il dolce corpo) permetteva, a chi ne coglieva l'importanza, ancor più quella immedesimazione che all'assemblea di sabato mattina Prosperi nella sua testimonianza ha tanto e in maniera commovente esclamato. Un'immedesimazione che ti fa vivere ciò che provavano coloro che, in quel preciso momento raccontato nel Vangelo, erano sotto la croce di Cristo morente, come ci diceva Prosperi. È una cosa commovente.
E poi il saluto di don Carrón che ci ha augurato di sfidare la vita perché può sorprenderci. Effettivamente è capitato proprio in questi tre giorni. Il Triduo ci ha sorpreso.
Tante cose hanno colpito i miei amici in maniera diversa. Ognuno si è sentito provocato in qualche modo. Per una mia amica è stato un'opportunità per tirare le fila del discorso sulla sua vita, un'occasione per riordinare ciò che si era scombussolato nel cammino. Per gli amici del mio albergo è stata occasione di porsi tante e provocanti domande a cui Prosperi ha risposto con il semplice racconto della sua vita. Una mia amica ha potuto capire di più l'importanza della nostra compagnia: «Ogni canto proposto nella Via Crucis mi ha aiutato tantissimo» e «adesso stando qui con questi amici, anche semplicemente camminando con loro, ho una risposta continua alle mie domande». L'amicizia che si è mostrata in questi tre giorni è la stessa che Gesù rivela ai suoi apostoli: «Ma io vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15,15), una comunione in cui a partire da Medina si è messo in comune il fondamento della vita.
Personalmente mi ha aiutato a capire che Cristo c'entra con ogni aspetto della mia vita, perché è morto in croce portando con sé tutto di me ed è risorto glorificando quel tutto. Perché allora dovrei sprecarlo? La sfida per ognuno di noi ragazzi sarà adesso sperimentare se quello che ci è stato detto può diventare carne nella mia vita, ma sempre mendicando Chi veramente mi può rispondere.
Chiara, Pesaro