La presentazione de ''La bellezza disarmata'' a Siena.

Un dialogo «da rimanere tutta la notte»

Il libro di don Julián Carrón fa tappa nella città toscana. Nella Basilica di San Francesco, insieme all'autore, Tania Groppi, ordinario di Diritto pubblico a Siena, e don Benedetto Rossi, rettore del Santuario di Santa Caterina
Nicoletta Tartandini

È l'imbrunire a Siena, la sera dell'11 maggio e la via dei Rossi, in leggera discesa, accoglie un gruppo di amici che, con don Julián Carrón, si approssima a piazza San Francesco per la presentazione de La bellezza disarmata. Nel cammino, il gruppo via via si ingrandisce di altri amici che salutano, domandano, guardano, abbracciano. E si arriva tutti assieme, con la professoressa Tania Groppi, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all'Università di Siena e don Benedetto Rossi, rettore del Santuario di Santa Caterina, fino all'ingresso della Basilica. La sorpresa è quella di trovare già in attesa quattrocento persone: molte, per una città come Siena, in quest'ora tarda di un giorno feriale.

Il Centro Culturale introduce il gesto presentando un brano musicale, il Duetto per viola e violino K423 di Mozart, perché «è sempre un fatto particolare che suscita, ridesta un'attrattiva. E nel pezzo si comprende che la viola sostiene e rende possibile tutta l'espressività del violino».

Dopo il saluto dell'arcivescovo Buoncristiani, il sindaco Bruno Valentini interviene facendo sentire, nei toni delle sue parole, la preoccupazione di un uomo che cerca risposte ai propri dubbi, che si mette in gioco accettando la sfida, sorpreso dall'ottimismo che pervade il libro di Carrón e intravvedendo non l'idea di un progetto di società, ma quello della testimonianza come pungolo per tutti. È come il "la", dato ad un colloquio che si dipana negli interventi successivi in un dialogo familiare.

La professoressa Groppi ricorda a tutti che proprio due anni fa presentava assieme ad Alberto Savorana il libro Vita di don Giussani, avvertendo in questo fatto una continuità, un filo conduttore, soprattutto per la domanda nata in quell'occasione e che ancora porta con sé: come si cambia il mondo?

Incomincia, quindi, a percorrere il libro, intercettando «uno sguardo pieno di intensità, di speranza, in un'epoca in cui questo non è così ovvio», rimanendo sorpresa già dal primo punto, quando Carrón parla di «crisi come opportunità». «Una crisi profonda, quasi paradossale. Abbiamo raggiunto una pace, un benessere e nello stesso momento un'apatia, un misterioso torpore che don Giussani, citato nel libro, chiama "effetto Chernobyl", che lascia affettivamente scarichi».

Dal libro emerge che proprio il crollo delle antiche certezze fa sì che questa sia un'epoca propizia per scoprire l'essenziale, parola «ripetuta con insistenza nelle pagine successive»; una sfida per i cristiani, perché «la proposta cristiana può essere attraente solo se si torna agli inizi» e per questo Carrón si pone un interrogativo «che mi interpella: "Ma noi cristiani ci crediamo nella capacità della fede che abbiamo ricevuto di suscitare un'attrattiva su coloro che incontriamo?"».

Come provocato da queste ultime parole, interviene don Benedetto Rossi. «Mi chiedo come mai sono qui stasera, pur non essendo di CL. La risposta è che ho tanti amici che appartengono al movimento, peccatori sani, cioè veri, sinceri, che danno una testimonianza reale». Proseguendo, dice che nel «libro c’è un muoversi, un confronto poliedrico e polifonico con poeti, artisti, Papi come san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco». Avverte «l’idea di una paternità che è relazione, non dogmatismo, ma un rapporto io-tu, che la verità è una persona e che distaccandosi da questa evidenza diventa una ideologia».

«Sono confuso dalla bellezza di ciò che ho ascoltato», esordisce Carrón: «E spero di non deludere la platea!». E prosegue: «Durante la crisi, davanti a quello che stava succedendo, ho cercato di prendere, e scusate l'espressione tratta dalla mia terra, "il toro per le corna", per il desiderio di vedere se la mia fede fosse in grado di rispondere. Questo momento di crisi ci ha reso tutti più disponibili al dialogo e ci costringe ad affrontare la questione di che cosa sia il cristianesimo, qual è la natura del cristianesimo. Il cristianesimo è una persona». E parlando del Premio Carlo Magno dato ultimamente a papa Francesco, sorprende la platea con una considerazione: «Coloro che avevano contribuito a togliere il riferimento ai valori cristiani come costituenti l'Europa, hanno percepito che c'è un bene incarnato in una persona così e che questo è un bene per tutti». Occorre vedere, insomma, «se c'è qualcosa in grado di affascinarci, se c'è qualcosa che non vedo in un altro e che ha una tale attrattiva da non volerla perdere».

«Il libro è ricco e denso», riprende la professoressa Groppi, provocata dalle parole di Carrón, «ma è sempre diverso l’incontro e la presenza, sentire e vedere incarnate queste cose». Ricorda poi che Etty Hillesum, figura dal cui incontro è rimasta affascinata, si definiva, nella sua sofferenza dentro ai campi di concentramento «il cuore pensante della baracca». E questo porta a sottolineare come nel libro si avverte una «forte spinta all'abbandono del pensiero astratto», perché la riscoperta che «l'altro è un bene per me viene dalla concretezza» di una relazione. Questo «è un approccio nuovo, inter partes», prosegue utilizzando un termine della sua disciplina, «ovvero uno ad uno» così come afferma un altro testimone della sua vita, Jean Vanier: «Occorre convertire i cuori uno ad uno».

Continuando, affronta il tema dell'educazione, per lei fra quelli centrali del libro, intesa come «l'esperienza di un incontro con persone in cui Cristo è già presente, nelle quali la vita è cambiata». E si domanda: «Come si genera questo soggetto risvegliato, cioè che prende consapevolezza della propria natura? Le soluzioni astratte, erga omnes, non servono». Quindi cita don Julián: «Anche se esiste l'apatia, io credo che ci sia un punto profondo di ciascuno che rimane vivo, il punto infiammato di cui parlava Pavese» e questo punto infiammato «non può essere risvegliato da appelli etici». Sente quindi nel libro una «spinta ad immergersi sempre di più nel reale», ritenendo «il "perché diventiate dei viventi" del Vangelo di Giovanni, il punto di partenza per una risposta all’emergenza educativa».

Don Benedetto interviene affermando che «noi vogliamo chiudere subito le nostre domande, mentre Gesù riapre sempre e continuamente la domanda sulla Sua identità. Gesù è colui che guarda dentro la persona e crea l'occasione dell'incontro; il Suo sguardo disarma e invita alla confidenza».

Chiude il suo intervento raccontando di aver ricevuto il libro da un'amica del movimento, introdotto da una dedica: «Questo libro è di un amico che mi ha guardato con gli stessi occhi con cui mi hai guardato tu». «Essere trasmettitori della fede», conclude, «è quindi guardare con lo stesso sguardo di Cristo».

«Ci sarebbe da rimanere tutta la notte» vista l'intensità degli interventi, dice Carrón introducendo l’intervento finale. «Il Mistero, invece di farci una lezione per farci capire le cose, ce le fa accadere, superando così l'astrattezza. La realtà», prosegue, «è la cosa più concreta che ci sia perché costantemente ci risveglia: è il reale il primo a risvegliarci».

Rispondendo all'interrogativo posto dalla Groppi, cioè di cosa possa «risvegliare costantemente il punto infiammato», sottolinea che «Dio, avendo compassione per noi, è diventato un uomo concreto, talmente concreto che chi lo incontrava non poteva evitare di tornare indietro a cercarlo». E domanda: «Quante volte ci è capitato di trovare un uomo per cui la mattina dopo avevamo voglia di reincontrarlo? Poche volte. Un uomo può essere risvegliato solo da un altro uomo che è stato risvegliato, a sua volta, così». Carrón sembra raccontare ognuno dei presenti, convocati all'incontro con lui e i suoi amici (perché questa è l'impressione che si ha guardando i relatori) da un rapporto uno ad uno, da una "chiamata inter partes". Questa la sfida che ci lascia perché per superare il rischio di «perdere la vita vivendo» (Eliot), il cristiano è chiamato a guadagnarla, la vita. Vivendo.