La presentazione di <em>Vita di don Giussani</em>, Livorno.

«Don Giussani, testimone entusiasta»

Da chi l'ha incontrato a fine anni Ottanta, a chi oggi rifà la sua esperienza in classe. Per descrivere il fondatore di Cl non bastano le qualità personali. «È come se uno si innamorasse e vivesse sempre questa dimensione in tutto quello che fa»
Andrea Capaccioli

Quando sul maxischermo della sala del Centro Pancaldi di Italia Eventi a Livorno cominciano a scorrere le immagini del video su don Giussani, le duecento persone presenti rimangono ammutolite. Forse molti non hanno mai visto in faccia don Giussani. Ora è lì, davanti a loro, un uomo “preso”, indomito anche durante gli anni della malattia. E poi quel «ciao!» finale che non ti aspetti...

Comincia così l’incontro, sul litorale vicino alla terrazza Mascagni, col tramonto sul mare che fa da cornice a uno tra gli eventi più importanti della vita del movimento di questa città.

Accanto a Riccardo Lucchesi, responsabile diocesano della Fraternità di Cl, ci sono il professore Salvatore Abbruzzese, sociologo dell’Università di Trento, Alberto Savorana , autore di Vita di don Giussani, e monsignor Simone Giusti, vescovo di Livorno. Il breve saluto dell’assessore Valter Nebbiai porta l’abbraccio del Sindaco e di tutta la città, riconoscendo in don Giussani una «persona di grandissimo spessore che ha proposto un cristianesimo autentico, che si può vivere in modo sincero, sereno e generoso tanto da proporlo nei propri ambienti». Introducendo l’incontro, Lucchesi ha ricordato «quando a diciotto anni incontrai don Giussani, capii subito che valeva la pena seguirlo perché era uno innamorato di Cristo. Leggendo il libro non si rimane come prima, è come rincontrare di nuovo don Giussani».

Per preparare quest’incontro gli amici del Centro Culturale e del movimento si sono mossi molto, una febbre di vita che ha risvegliato da una certa assuefazione di cui spesso il nostro cuore si rende complice. Così Daniela racconta: «Ho cominciato a leggere il libro e ad un certo punto ho desiderato condividere la vita di Giussani con tutti. Ho visto l’entusiasmo di alcuni nel preparare il gesto e l’interesse che cresceva intorno a me. Ho invitato i colleghi e mi è stato più facile portargli Tracce. E ho anche visto il dispiacere sincero di alcuni che non sono potuti venire». O Chiara, che, dice, ha capito ancora di più perché suo padre andava dietro a don Giussani. «Ero piccola, non capivo perché usciva tante sere e non restava con me. Poi un giorno ho visto chi era che lo tirava via da casa: quell’omino neanche troppo bello, pensavo, ma non so come da quella sera ho iniziato a volergli bene anch’io. Era come per gli apostoli: andando dietro a Lui non si dimenticavano la loro casa la loro famiglia, ma imparavano ad amarla di più e tutto assumeva un significato più grande».

«Era l’aprile dell’88...», attacca così, con una nota autobiografica, l’intervento di monsignor Giusti: «Ero a Roma, e accompagnavo l’assistente generale dell’Azione Cattolica, monsignor Bianchin, a un appuntamento con don Giussani. Giussani era un uomo di Dio, che aveva incontrato il Signore perché poteva rifarsi alla sua esperienza personale». Quando incontriamo persone che hanno fatto esperienza diretta del Signore, ha continuato Giusti, ci trasmettono un avvenimento che segna profondamente, e questo vale più di tanti studi di Teologia. Don Giussani era un uomo cui lo Spirito Santo spalancava le porte facendogli capire dove doveva andare. «Era un uomo che aveva una profonda coscienza che la comunione con Cristo dona la liberazione per sé e per gli altri nella società. Questa liberazione doveva farsi quotidianità, farsi storia come per Gesù».

«Quando si parla del fondatore di un movimento religioso, la sua persona ha un peso tutto particolare, non bastano le qualità personali, la sua sensibilità le sue esperienze a definire», ha detto prendendo la parola Salvatore Abbruzzese. Il professore ha continuato sottolineando che il testo non è soltanto il racconto di una personalità eccezionale, c’è altro. Don Giussani dichiara di essere investito da un impeto di vita che giustamente chiama carisma. E lui stesso è come stupito di quello che si trova a vivere: afferrato da questo impeto. Un impegno radicale alla luce di una relazione significativa, all’interno del rapporto con Cristo. È come se uno si innamorasse di qualcuno e vivesse sempre questa dimensione affettiva in tutto quello che fa. «Il libro non è altro che il racconto di quello che fa fare a don Giussani questa relazione. Egli non è un prodotto culturale, un rappresentante di una scuola di pensiero, ma il testimone entusiasta di questo». E un testimone non fa analisi, non fa un passo se prima non ha sentito l’eco del proprio animo.

«Questo libro va letto in modo del tutto particolare e ci sono tre motivi importanti». Il primo è che la vita non è insulsa, ma legata a un destino. A noi, continua Abbruzzese, spesso sembra che la realtà, alla fin fine, sia senza senso, e invece don Giussani dice che no, tutto ha un senso. Il secondo motivo è che il sacerdote brianzolo vuol mostrare che la fede ha a che fare con la realtà: una fede che fosse lontana dalla realtà sarebbe irrazionale. Non serve una fede solo emotiva, ma deve essere ragionevole, cioè deve passare attraverso il tribunale dell’esperienza, deve avere un nesso con la pratica quotidiana della vita. «È per questo che era attento anche a quello che si metteva in tavola». E quanti ancora cercano di guardare don Giussani a partire da una strategia. Si tratta, invece, «di capire che la fede che ci anima ci occupa e ci preoccupa». Il terzo motivo con cui leggere questo libro è dato dal tesoro dell’esperienza di una Chiesa rinnovata dal rapporto con quella relazione significativa. Questo accade nei movimenti ecclesiali. Lo spirito è costantemente in azione, lo spirito produce delle nuove realtà «e don Giussani ha prodotto una di queste realtà».

Ultimo a intervenire è proprio l’autore, Alberto Savorana. E lo fa partendo da sé: «Il tema dell’esperienza è stata la costante del lavoro che io ha fatto nello scrivere della vita di don Giussani». Detto da uno che ha condiviso con lui vent’anni di attività professionale fino alla sua morte curando quasi tutte le sue attività pubbliche, tanto da considerarlo «un padre: perché tutto si è legato a lui. Il mio lavoro la mia famiglia i miei figli». E poi inizia a raccontare alcuni episodi del libro, come quando don Giussani a dieci anni sentì dire dalla madre: «Come è bello il mondo e come è grande Dio», e «questo momento è uno di quei momenti che contengono la chiave di volta di tutta la vita. Come è bello il mondo: non è inutile vivere, soffrire, c’è un destino. Come è grande Dio: tutto fluisce in quel Destino». E ancora gli anni del seminario, il rapporto con la famiglia, l’”incontro” con Giacomo Leopardi... Con una costante, dice Savorana: «Tutta la vita di don Giussani ruota intorno alle parole esperienza personale». E all’affidarsi a un Altro, a Dio. Non un Dio astratto, ma un Dio che ha tessuto il filo della storia tanto da arrivare fino alla sua mamma, e fino a lui attraverso di lei. «Questo è il filo di una vita così eccezionale perché dentro la normalità, come ha detto don Giussani stesso. E questo mi tranquillizza molto perché vuol dire che è anche alla mia portata. E noi possiamo dire che è anche alla nostra».