L'incontro con gli Zerbini e don  Julián de la Morena.

LA LETTERA Cleuza, i miei alunni e quel foglietto

L'incontro tra la comunità di Bogotá e alcuni amici brasiliani. La lettera di un'insegnante racconta un fine settimana «per conoscerli. Ma c'era molto di più...»

Marcos, Cleuza e don Julián de la Morena sono venuti a trovare la comunità di Bogotá. Sono venuti per accompagnarci durante il fine settimana, insieme a Carras. Il primo giorno ci troviamo con la diaconia, per un dialogo su quello che ci interessa conoscere: loro. Ma non è solo questo! Anch'io ero lì per conoscere loro. Ma c'era molto di più.
Sono venuti qui in Colombia per l’amicizia con don Marco e Juan Carlos, Patrizia, Iano e altri di noi, conosciuti a La Thuile e poi in Brasile all’Aral: «Siamo venuti per pura amicizia», ci dicono. Un’amicizia che dopo i tre giorni insieme si é giá allargata a tanti altri volti.
La prima cosa che mi ha colpito è stato un gesto di Cleuza, durante la cena, apparentemente banale. Marcos stava parlando, e parlando teneva in mano l’invito che abbiamo preparato per l’incontro pubblico del giorno dopo, al Museo Nazionale di Bogotá. Senza accorgersene, stava rovinando l’invito, lo piegava quasi impercettibilmente. Cleuza glielo prende, ma gentilmente, e lo pone davanti a sé sulla tavola e con le sue mani lo stira. Mi sono commossa: mi sono ricordata dell’intervento via video che don Giussani aveva fatto agli esercizi della Fraternitá di anni fa, in cui alla fine raccolse tutti i fogli ed i libri usati e se ne andò. Lo stesso gesto e la stessa gentilezza, la stessa cura.
Ed il fine settimana è stato questo: il dramma della mia libertà in atto, davanti a tutti loro. Costantemente in lotta tra il rimanere fissa al sentimento di me negativo, o guardare e chiedere la caritá di poter stare, esserci, cosí, anche con questo sentimento di me, senza doverlo eliminare.
E non potevo fare diversamente: loro vivono una memoria continua, cioè per loro Cristo è il tesoro della vita. Abbiamo chiesto a Marcos: «Come fai tu ad essere fedele, a riconoscere Cristo in tutto ciò che accade?». Lui ci ha detto: «Non mi preoccupo di questo, quello che mi interessa di più è vedere come Lui mi raggiunge, come Lui mi cerca continuamente e non si dà per vinto». È insomma la vita reale, non un discorso o una tensione alla perfezione, ad essere io, ma a che Tu sia.
Giovedì mattina sono venuti nella scuola "A. Volta", dove io insegno, ed hanno incontrato i ragazzi del liceo, delle medie ed i piú piccoletti delle elementari. Noi insegnanti non avevamo raccontato tanto, né detto molto, ma i miei alunni - che vivono sempre distratti, nel loro mondo - hanno guardato questi tre amici che parlavano con un'attenzione e con un silenzio incredibili, ed hanno fatto domande intelligenti, cioè vere.
Cleuza ha iniziato a parlare con i ragazzi: «Quando avevo 15 anni, io vivevo in una zona molto povera della mia città, eravamo molto poveri e dovevamo lavorare perché la famiglia mangiasse, non abbiamo potuto studiare. Io mi ero legata alla parrocchia perché desideravo fare qualcosa, fare tutto il possibile perché gli uomini fossero felici. Desideravo questo, da sempre l’ho desiderato. A 15 anni si hanno grandi ideali, come voi sicuramente…». E tutto quello che hanno fatto è stato dettato dal desiderio profondo del cuore, fino a vedere che è Cristo che arriva lì, alla radice del desiderio.
Loro dicono cose che non sono parole, sono quello che vedono e vivono. Sempre. È possibile questa memoria continua? Pare il Paradiso, cioè la presenza Sua sempre, senza più velo.
Chiara, Bogotá