Giulio Sapelli.

Perché continuiamo a sperare nel cambiamento?

Giulio Sapelli commenta il quartino di giudizio di Comunione e Liberazione. A partire dalla speranza, e dalle parole del Papa, «l'ultimo grande intellettuale dell'Occidente»
Giulio Sapelli

Caro direttore,
c’è una frase del Péguy di Notre jeunesse che cito spesso quando mi confronto con degli interlocutori giovani: «La speranza è una virtù bambina». Lo è perché possiamo prenderla per mano e camminare con Lei per lunghi tratti della nostra vita e soprattutto perché quando tutto ci pare perduto, quando cadiamo nella disperazione più desolante ci accorgiamo che essa è lì. Ci guarda e guardandoci ci consola. E allora ripartiamo nel cammino e trasciniamo la nostra disperazione trasformandola via via in tranquilla consapevolezza della forza che è in noi e negli altri con cui ci riconosciamo.
Se la storia è un lungo tunnel senza fine dove si odono grida e lamenti e dove la violenza e la menzogna premiano coloro che se ne fanno portatori, e solo una luce flebile ma ferma ci indica che la presenza di Dio è sempre in noi e per noi... ebbene, sappiamo anche che pascalianamente quel Dio è nascosto... La speranza disvela la presenza del divino, e la presenza è nella vitalità straordinaria del soggetto, della persona. Sempre risorge, sempre s’invera, sempre ci indica che la teodicea è in noi allorché ci rivolgiamo all’altro per aprirci al cuore infinito dell’umano rischiarato dalla volontà.
Per questo mi riconosco nella sostanza ispiratrice del documento di Cl sulla crisi, al di là di qualche dissenso sulle misure concrete (per esempio, non selezioniamo nessuna azienda che non sappia autoselezionarsi da sé...).
La crisi è terribile per le sofferenze che porta agli ultimi e deve essere denunciata con fermezza quella quantità di concause che l’hanno generata e che risiedono nel comportamento umano. Certo senza manicheismi, ma con fermezza: i giusti esistono, come esistono i malvagi.


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