La scrittrice americana Flannery O'Connor.

«Niente trucchi da quattro soldi»

Il 21 febbraio riparte la Scuola di Scrittura del Centro Culturale di Milano. Luca Doninelli, scrittore, spiega che per comunicare «occorre creatività, rigore ed esercizio». Anche in un'epoca in cui regnano Twitter e Facebook?
Francesca Mortaro

Si può scrivere la storia di Cappuccetto Rosso senza usare aggettivi? «È un esercizio che serve per stimolare la fantasia», spiega Luca Doninelli, «lo propongo ai miei allievi della Scuola di Scrittura. Mettendoli davanti ad una difficoltà, l’inventiva e il genio di ognuno si esprimono al meglio». Infatti, la fantasia, non nasce dalla libertà o dall’assenza di vincoli con le cose, non è solo un talento innato. «Per scrivere serve creatività, ma allo stesso tempo rigore, disciplina e tanto esercizio». Il 21 febbraio si ritorna sui banchi. La Scuola di Scrittura “Flannery O'Connor” riapre i battenti. Ma andiamo con ordine.
Nel 1994, Luca Doninelli, insieme ad altri collaboratori, fonda “L’Officina del Racconto”: incontri e seminari sulle tecniche narrative, sulla costruzione di personaggi e di trame. Giuseppe Pontiggia, Franco Loi e Alessandro Baricco, sono solo alcuni degli scrittori che hanno dato il loro contributo partecipando come relatori. «Per non perdere la ricchezza culturale di quegli anni e per andare a fondo della passione per la scrittura, abbiamo deciso, nel 2004, di fondare una scuola», racconta Doninelli. E aggiunge: «L’idea è stata di Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano. Ed è stato lui a scegliere il nome: “Flannery O’Connor”». Perché prendere come esempio proprio la scrittrice americana? «Riflette quell’idea di letteratura che non accende i riflettori per dimenticare il periodo difficile in cui viviamo, ma anzi, li spegne per poterlo guardare meglio. Per dire che, in quello che ci sembra orrore, c’è una via di bellezza e di salvezza. Lei è stata una grande maestra per me e può esserlo anche per chi vuole iniziare a scrivere».
Quest’anno la "Flannery O'Connor" è arrivata alla sua XIII edizione. Tra lezioni sulla suspence, sull’ironia e sui dialoghi, non c’è spazio per «trucchi da quattro soldi», come diceva lo scrittore americano Raymond Carver. La scuola non fornisce un pacchetto di regole da seguire, ma è l’occasione per condividere una passione e approfondirla. «La scrittura è il modo attraverso cui un uomo tenta di stringere la mano ad un altro uomo», spiega Doninelli, «e lo fa attraverso storie e racconti. Comunica se stesso. Certo, si possono imparare le tecniche, ma scrivere è un dono».
È un dono, e anche un metodo per conoscere la realtà. Luca Doninelli lo ha scoperto lavorando, o meglio, scrivendo. «Mi sono accorto che intorno a me c'è un tesoro inesplorato sia osservando la mia città, Milano, sia girando per tutta l'Italia. Ogni cosa contiene in sé una storia affascinante, da conoscere. Da qui è nata l’idea di iniziare, all’interno della scuola, anche un corso di Etnografia della scrittura». Agli studenti viene data la possibilità di andare direttamente sul campo per raccontare i segreti della città. «Voglio che ognuno scriva quello che vuole, quello che lo colpisce di Milano, perché è dal massimo della soggettività che si raggiunge il massimo dell'oggettività». E grazie a questo lavoro di ricerca, negli ultimi anni, sono nati due libri, Milano è una cozza e Michetta addio, che contengono i racconti e i reportage realizzati dagli allievi della scuola.
Ma la scrittura non è solo conoscenza della realtà. «È anche, e soprattutto, conoscenza di se stessi, del mondo che c’è dentro ognuno di noi», spiega Doninelli. «Fa venir fuori cose diverse da quelle che ci si aspettava e per questo permette di conoscere veramente chi si è».
Ma si può parlare ancora di scrittura in una società in cui dominano Twitter e Facebook? «È semplice esprimere sentimenti e reazioni immediate in pochi caratteri», risponde Doninelli, «ma spesso si rischia di essere superficiali e approssimativi. Questo non ci appartiene. La scrittura è comunicare la parte più vera e intima di sé. E non è sempre facile farlo. Occorre lavoro, fatica, esercizio. La scuola serve proprio a questo. A scavare nel profondo, fino ad arrivare alla bellezza delle cose. E del proprio cuore».